La nuova serie messicana di Netflix affronta un tema sempre attuale, che rientra costantemente tra le problematiche politiche e sociali di molti Paesi nel mondo. Il contesto carcerario è già stato esplorato più volte in ambito seriale, con titoli come Prison Break, Orange Is The New Black e molti altri. Tuttavia, questa miniserie trae ispirazione da due fonti fondamentali: da un lato, il pluripremiato film spagnolo del 2009 Cella 211, diretto da Daniel Monzón, un’ottima pellicola che ha ottenuto diversi riconoscimenti; dall’altro, eventi realmente accaduti nel Centro di Reintegrazione Sociale (CeReSo) numero 3 di Ciudad Juárez. Il risultato è una narrazione che, pur cercando di omaggiare il film originale, si perde in eccessi e contraddizioni. Sarebbe stata molto più interessante se più lineare e contenuta.
MA CHE È STA CAFONATA?
Non è difficile immaginare che, in determinati contesti, alcune zone delle carceri possano essere quasi completamente controllate dai detenuti. Tuttavia, in Cella 211 si assiste a un livello quasi ridicolo di anarchia. Il pilot, “CaNbio Di Programma”, ci introduce in un ambiente carcerario dipinto con toni estremi, dove la situazione precipita immediatamente nel caos: sotterranei quasi allagati, celle frigorifere, stanze segrete con doccia walk-in e chissà cos’altro.
Questa scelta, se da un lato vuole evidenziare le criticità di un sistema carcerario corrotto, sovraffollato e fuori controllo, dall’altro compromette la credibilità della narrazione. Il caos regna sovrano a tal punto che la rappresentazione della violenza diventa quasi surreale, con sacrifici animali a fare da ciliegina sulla torta. Tutto questo distoglie l’attenzione dal messaggio sociale, privilegiando scene stilizzate ed eccessive, che in alcuni momenti sfiorano persino il parodistico.
CTRL C + CTRL V
Chiunque abbia visto il film spagnolo del 2009 noterà immediatamente quanto il protagonista della serie, Juan Olvera (interpretato da Diego Calva), assomigli fin troppo ad Alberto Ammann. Lo stesso vale per Calancho, leader della rivolta carceraria nella serie, che sembra una copia sbiadita di Malamadre, il carismatico capo ribelle del film. Queste somiglianze fisiche potrebbero essere considerate un omaggio, ma appaiono più come una scelta di casting priva di originalità, al punto da risultare quasi ridicole. Inoltre, i due personaggi non si distaccano abbastanza dalle loro controparti cinematografiche per poter essere apprezzati a pieno. Chi ha visto il film si ritroverà costantemente a fare confronti, e il risultato non è certo a favore della serie, che risulta meno incisiva e innovativa rispetto all’opera di Monzón.
LESS IS MORE
Cella 211 non si ispira solo all’omonima pellicola, ma cerca anche di attingere agli show alla Breaking Bad, intrecciando dinamiche criminali legate ai cartelli della droga. Il risultato è un mix incoerente: da un lato, la critica sociale su sovraffollamento e condizioni dei detenuti; dall’altro, una narrazione che sembra strizzare l’occhio a modelli di intrattenimento più commerciali e superficiali. Inoltre, il pilot introduce un gran numero di personaggi a un ritmo forsennato, generando più confusione che interesse.
Detto ciò, la serie non è completamente da scartare. Cella 211 non è adatta a tutti: le immagini disturbanti abbondano e le scene di violenza sono spietate. In questo senso, riesce a restituire la brutalità della vita carceraria, anche grazie a una serie di personaggi secondari dal forte impatto visivo, con tatuaggi dettagliati che invogliano quasi lo spettatore a mettere in pausa per osservarli meglio.
Cella 211 non brilla di luce propria, anzi, vive all’ombra delle sue ispirazioni, che risultano decisamente più interessanti di quanto mostrato in questo pilot. Tuttavia, il suo mix di tensione, violenza e tematiche carcerarie saprà comunque conquistarsi una fetta di pubblico.
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Questa nuova serie messicana di Netflix avrebbe tutte le carte in regola per essere un prodotto godibile, ma cade nel solito errore di voler strafare, appesantendo la narrazione con elementi spesso incoerenti tra loro. Inoltre, il suo eccessivo “citazionismo” nei confronti del film di Monzón, più che un omaggio, somiglia a una copia sbiadita, che difficilmente convincerà chi ha già visto l’originale.
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Detto anche Calendario Umano, si aggira nel sottobosco dei prodotti televisivi e cinematografici per trovare le migliori serie e i migliori film da recensire. Papà del RecenUpdate e Genitore 2 dei RecenAwards, entra in tackle in pochi ma accurati show per sfogarsi e dire la propria quando nessuno ne sente il bisogno.