Il mondo delle comedy è pieno di contraddizioni. Sin dalla sua origine più remota, la commedia rappresenta il contraltare della tragedia. Con un grande volo pindarico, zeppo di boriosi e poco chiari significati, potremmo addirittura arrivare a dire che la vera contrapposizione è quella tra staticità (in Plauto, il finale di una commedia prevedeva un ritorno allo status quo) e divenire (vedere concetto di catarsi).
Altro volo pindarico: le serie TV. Esiste il blocco delle serie da 40-50-60 minuti e il blocco delle serie da 20-30 minuti. Le prime prevedono un percorso netto, caratterizzato da un’anima procedurale o un continuo procedere; le seconde fondano tutta la loro struttura su di uno status quo attorno cui esplodono mille fuochi d’artificio e si compiono mille acrobazie.
Poi esiste la HBO, canale via cavo che una garanzia sicura la dà: quella di far parlare dei propri prodotti. E spesso e volentieri ne fa parlare semplicemente accogliendo strutture alterate di modelli ormai radicati nell’immaginario dello spettatore medio. Come una comedy che parli di problemi “reali”, con situazioni estremamente realistiche e personaggi molto ma molto veri. È contraddittoria quindi una tale contaminazione e negazione del genere come lo si conosce, oppure sono contraddittori i cliché e le tante situazioni assurde e di fantasia nelle comedy alle quali più frequentemente assistiamo? La commedia deve essere vita vera di fantasia (HBO) o fantasia nella vita vera (Community, tanto per citarne una)? Il solo fatto di non saper dare una risposta certa a questa domanda definisce l’intero genere, con le sue mille sfumature, come un’enorme contraddizione.
Sarà che il “HBOfilo” doc già ci ha fatto la bocca al concetto di comedy via cavo, grazie, ad esempio, al controverso Girls. Chi ha già visto la creatura della Dunham sa benissimo come il fan di Friends, How Met Your Mother o New Girl possa sentirsi spaesato di fronte a forme narrative simili. La deriva positiva o meno di questo genere di opinione è cosa estremamente soggettiva.
I fratelli Duplass hanno così deciso di dare vita ad una comedy che esplorasse la vita di quattro trentenni costretti a vivere insieme, ognuno con un diverso tipo di crisi. In questo modo, in una sola casa vengono raccolte le maggiori rappresentanze di deriva a cui può essere sottoposto il trentenne medio: disagio matrimoniale, fallimento professionale, fallimento sentimentale, astinenza sessuale. Riescono nell’intento di stimolare ed incuriosire lo spettatore? In parte. Sicuramente la breve durata (8 episodi) della prima stagione consente un minore sforzo anche per gli spettatori diffidenti. I problemi però possono presentarsi all’affezionato spettatore della più classica forma di comedy. La mancanza probabile di vere e ben visibili trame può far sprofondare la serie verso un baratro di autocompiacimento ed elementi gratuiti. Ovviamente può accadere anche il contrario: una buona scrittura anche di soli dialoghi potrebbe sopperire alla mancanza di una grande storia da seguire.
Eppure l’elemento classico c’è: il pilot che fa il lavoro sporco e prepara il terreno. “Family Day” non ci può dire niente sul risultato di quello che sarà, però ci dice tutto sul modello che avrà Togetherness d’ora in poi. Sono state semplicemente poste le basi per la nuova serie dell’anno, o per un flop clamoroso. È stato impostato lo status quo di cui si parlava e questa è la caratteristica base di qualsiasi tipo di comedy: il primo episodio è diverso dai successivi in quanto presenta un antefatto. All’inizio di How I Met Your Mother i protagonisti ancora non conoscevano Robin; lo stesso avviene (parzialmente) in Friends con Rachel; in New Girl, Jess ancora non abita nel loft. Ed in questo caso abbiamo l’occasione di vedere i quattro personaggi ancora non del tutto sotto lo stesso tetto.
Ovviamente è già percepibile il formato di serie in cui abbondano dialoghi futili e lunghe inquadrature, spesso girate a mano. Il ritmo tuttavia è ben gestito, seppur con qualche squilibrio di troppo (eccezionale l’intervento al ristorante di Alex, ridondante la sequenza immediatamente successiva con i rotoli di carta igienica). Ci si potrà probabilmente aspettare molto dal personaggio di Alex stesso, figura che, se ben gestita, potrebbe rivelare un enorme potenziale (complice forse anche una certa somiglianza tra l’attore Steve Zissis ed il compianto John Belushi).
La presenza di figure sposate (50%) e figure single (50%) garantisce inoltre una buona molteplicità di punti di vista ai fini del sopra citato buon ritmo: la predilezione per uno dei due “mondi” andrà a sostituire la noia indotta eventualmente dall’altro.
Per concludere, occorre segnalare il particolare genere a cui i fratelli Duplass (Jay Duplass è anche protagonista nella serie) sono devoti: il cosiddetto Mumblecore. Se, come sembra, Woody Allen sbarcherà nel mondo televisivo, il mondo intimista, conflittuale, familiare e interpersonale da lui sempre rappresentato è a tutti gli effetti arrivato prima di lui. E Togetherness ha tutte le carte in regola per esserne uno dei tanti esempi.
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Family Day 1×01 | 0.427 milioni – 0.2 rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.