È bene fare una premessa: anche se “Alaska” possiede qualche sequenza e situazione narrativa di piacevole intrattenimento è vitale che voi, carissimi lettori e sfortunati spettatori di questa serie (credeteci, comprendiamo la vostra sofferenza), non vi facciate abbindolare da quelli che potrebbero essere considerati come papabili segnali di ripresa del serial tv di casa CBS. Semplicemente perché quest’ultimi non sono altro che dei trucchi da prestigiatore per farvi distogliere lo sguardo dal vero problema della serie o, meglio, da quello che si sta dimostrando il problema di questa terza stagione. Seguono spiegazioni.
Oltre alla chilometrica serie di difetti che Under The Dome ha tirato fuori a raffica dalla seconda stagione in poi (manco fosse Mario Merola impegnato in una sparatoria infinita delle sue), il nuovo problema che salta fuori in questo terzo anno (terza settimana, invece, per i Domers) di telefilm sta nel mantenere la promessa fatta durante le interviste prima dell’inizio di stagione: quella di svelare i segreti della Cupola e tutti gli altri peccatucci/vizietti dei protagonisti. Il palesarsi di questa difficoltà per gli showrunner non è tanto il frutto di una pochezza di idee e di inventiva, comunque insita nel serial, quanto più il risultato di come il telefilm sia stato caratterizzato finora: il raccolto di quello che è stato seminato dalle prime battute del pilota. È fin troppo evidente che l’adattamento del The Dome di Stephen King, nel periodo in cui la sua bravura soggiornava ad Alassio, è proprio un “telefilm”, ma nel senso dispregiativo del termine: è costruito con un set-up e delle premesse ben precise, oltre alla componente misteriosa legata a vari intriganti misteri che tengono lo spettatore incollato alla visione della storia di episodio in episodio, che permettono di narrare sotto-trame per spaziare un poco dalla trama principale. Ah! Non dimentichiamo gli attori un filo bellocci, ma dalla capacità recitativa sotto le scarpe (salvo qualcuno veramente bravo tipo Dean Norris). In parole povere: la premessa è chiarissima e messa giù a puntino, i risultati di tutto lo svolgimento che ne segue però sono davanti agli occhi di tutti.
Under The Dome si scopre così un telefilm legato alla vecchia, retrograda tradizione ed idea del concetto stesso di serie tv: quello più riscontrabile in una soap-opera. La seconda stagione dimostra una totale adesione e devozione al genere. Genere che anticamente, guarda caso, andava a braccetto con la definizione stessa di serie tv; insomma, quando si pensava ad un film per la televisione, l’immaginario collettivo stuzzicava l’evocazione di un’immagine tipo Beautiful. Ai giorni nostri, fortunatamente, si pensa a Breaking Bad, forse l’esempio più incisivo e famoso che si possa fare quando si vuole parlare di evoluzione televisiva e della sua odierna identità. Breaking Bad ha rivoluzionato il concetto stesso di serialità, utilizzando il format seriale per raccontare un film a puntate, o meglio, una storia a puntate tracciando tappe di un percorso avente inizio, svolgimento e conclusione orchestrata sin dall’inizio. Under The Dome non è Breaking Bad (e fin qui, non c’era bisogno di RecenSerie per capirlo) e non ha una storia precisa da raccontare. Forse ce l’aveva all’inizio ma poi il serial è diventato solo una accozzaglia di eventi a caso, buttati dentro al calderone solo per dare allo spettatore più episodi da guardare, puntando sul cliffangher di fine episodio per invogliare la visione della prossima puntata e di qualche plot twist nella trama, il tutto deciso pensando al presente della serie e mai al suo futuro, mai pensando che un domani dovrà pur finire.
Ora, Under The Dome si trova decisamente con le spalle al muro. Da una parte, ha tirato troppo la corda con la stagione precedente e l’unica carta che gli è rimasta da giocare, per azzeccare ancora un po’ di interesse da parte degli spettatori, è appunto la risoluzione del mistero della Cupola; dall’altra, però, è ormai diventato evidente come questa fantomatica risoluzione stia facendo fatica a produrla (ma è anche vero, che queste risposte sono soluzioni narrative faticose da produrre e da riadattare in TV, rispetto al libro originale). Se all’inizio si seguiva il filo di Arianna, ora si è passati al setaccio della dispensa in cerca dell’AmaroMontenegro-saporevero. Certo, la strana coppia Julia/Big Jim è accattivante per l’opposto assortimento di caratteri dei due personaggi (oltre che per l’alleanza forzata) e la lotta tra Barbie e Pete dà sapore a questo episodio, piuttosto anonimo e maggiormente incentrato su una Christine intenta a recuperare il controllo di Chester’s Mill (già perso dopo cinque puntate, complimenti). Per il resto, quando tenta di dare forma a questa soluzione del comparto mystery, lentamente sostituito dalla soap-opera, nel dare corpose certezze alle sue incognite e interrogativi, deve purtroppo attingere da altre trame e risorse (come successo nella doppia premiere e in “Redux“) e rimescolare le carte con cliché narrativi triti e ritriti. Si confeziona, quindi, qualcosa di buono per tutti ma speciale per nessuno. In questo caso, questa storia dell’oggetto misterioso responsabile di una strage ricorda un po’ troppo La Cosa, tanto per dirne una.
Certo, nessuno si aspettava di fare la storia con questo telefilm, manco quelli che ci recitano e lo dirigono, ma l’impegno (anche e soprattutto nel piccolo) è decisamente d’obbligo. Ma può darsi che anche quello sia rimasto nel Dreamworld, dove Under The Dome ha vinto il meritatissimo Emmy per la categoria “Miglior sceneggiatura non utilizzata”.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Kinship 3×04 | 5.12 milioni – 1.1 rating |
Alaska 3×05 | 4.75 milioni – 0.9 rating |
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