Justin Adler, creatore e showrunner di Life In Pieces, viene da svariate esperienze del mondo comedy: Better Off Ted, Samanta Who? e Less Than Perfect.
Il curriculum (non certo entusiasmante vista la fine di ciascuna serie) gli permette di vantare una certa dimestichezza con il genere e, consci di questo, non sorprende l’utilizzo banale di certi topos classici della commedia americana. Se da un lato Life In Pieces assurge agli onori della cronaca per la scelta di suddividere ogni puntata in 4 mini-storie, scelta sia utile per facilitare gli sceneggiatori sia narrativamente intrigante per differenziarsi dai colleghi, dall’altro deve però fare i conti con la difficoltà insita in questo genere di montaggio, cioè la caratterizzazione dei personaggi. Ma di questo parleremo in seguito.
Essendo un collage di storie legate solamente dal legame di sangue tra i vari protagonisti, proveremo ad utilizzare un diverso approccio per questa recensione e quindi andremo ad analizzare tutte e 4 le storyline in maniera distaccata tentando, però, dia trovare elementi affini, perchè ce ne sono e sono anche parecchio ridondanti. Esattamente come i lati negativi.
Nella prima mini-storia, le scene iniziali già possono indisporre lo spettatore per non essere molto verosimili. Si parla infatti di una giovane donna, Colleen, che ha una relazione con un collega di lavoro e, dopo una bella serata trascorsa insieme, lo porta nel suo appartamento… dove vive l’ex di lei, che viene bellamente invitato a “lasciare un po’ di privacy” alla nuova coppietta. Per fortuna tutto si stempera subito quando viene spiegato come ci siano problemi economici, per cui l’ex non può trovarsi una nuova sistemazione. Non va meglio, inoltre, a casa di lui, dove ci sono gli anziani genitori di fronte alla tv. L’amore al tempo della crisi è un qualcosa di estremamente interessante da riprodurre nel piccolo schermo, sia a livello empatico sia a livello comico. Tutto però è terribilmente scontato, finale della mini-storia compreso, e non si può far finta di niente sia per l’occasione sprecata, sia per la banalità in genere.
Si passa poi alla sotto-storia numero 2, dove si rivela esserci uno dei punti di forza dell’intero cast: Colin Hanks, simpatico come suo padre Tom e relativamente fresco vincitore di un Emmy e di un Golden Globe come Best Supporting Actor in Fargo. In questo segmento della narrazione una coppia deve affrontare, con il comprensibile mix di gioia e trepidazione, la nascita del primo figlio. Il problema principale per i due neo genitori, però, non è quello che ci si aspetterebbe: la creaturina, una deliziosa bimba, è dolcissima, un vero e proprio “baby burrito” nelle sue copertine rosa confetto, non piange e non crea problemi. Ebbene sì, in questa serie il sesso si presenta subito come argomento principe, lo conferma anche la sotto-storia 3. Ci si deve forse aspettare altro quando si racconta di un ragazzo americano che sbarca al college? Con l’immancabile contorno di una festa a cui ubriacarsi sino a svenire. Intanto i genitori gestiscono le sue due sorelline più piccole. Scontatezza a parte, la miglior scena di questa “terza parte” è quella in cui la figlia terzogenita, avendo appena scoperto che Babbo Natale non esiste, comincia a interrogarsi sulla fatina dei denti e arriva fino a mettere in dubbio l’esistenza di Dio. Certe cose non cambiano mai, anche se passano i secoli, vero Melanie Klein?
A conclusione di tutto ciò, imprevedibilmente, padre e madre della sveglia ragazzina valutano l’opportunità di fare un quarto figlio, visto che ormai i primi tre sono così cresciuti e qui c’è stato l’altro momento sgradevole della puntata, dopo quello dell’avvio: il marito considera vecchia la moglie, quando dovrebbe solo guardarsi allo specchio. Tra tutte le possibili motivazioni si finisce nuovamente su quella più banale e scontata, perdendo l’opportunità di sorprendere.
Per fortuna, almeno in questo primo episodio, si sono evitate le derive più volgari, soprattutto una, verso la fine. In realtà, tutta la mini-storia numero 4 è davvero bizzarra e quanto meno discutibile nelle sue premesse. Ok, i nonni sono simpatici, gli americani ci tengono a sottolineare che l’avanzare dell’età non deve per forza fare rima con la pace dei sensi, la fantasia “vorrei essere una mosca sui muri al mio funerale per vedere chi piange e chi dice cosa” ci sta, ma svilupparla in questo modo suona molto strano. Per dirlo chiaramente: la gente che ha già pronta la bara sotto il letto, i vestiti nell’armadio messi da parte per il funerale et simila sono sempre esistiti, ma se si vuol fare una festa per il proprio compleanno, a tutte le età, ce ne sono di temi alternativi da scegliere.
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Pilot 1×01 | 11.28 milioni – 2.6 rating |
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Casalingoide piemontarda di mezza età, abita da sempre in campagna, ma non fatevi ingannare dai suoi modi stile Nonna Papera. Per lei recensire è come coltivare un orticello di prodotti bio (perché ci mette dentro tutto; le lezioni di inglese, greco e latino al liceo, i viaggi in giro per il mondo, i cartoni animati anni '70 - '80, l'oratorio, la fantascienza, anni di esperienza coi giornali locali, il suo spietato amore per James Spader ...) con finalità nutraceutica, perché guardare film e serie tv è cosa da fare con la stessa cura con cui si sceglie cosa mangiare (ad esempio, deve evitare di eccedere col prodotto italiano a cui è leggermente intollerante).