“You. God.”
Sin dalla sua morte dal suo dissolvimento in “Swan Song”, nei vari forum e più in generale in Internet si è cominciato a speculare moltissimo sulla possibile doppia identità di Chuck Shurley: è forse Dio?
Nulla è mai stato confermato né è trapelato qualcosa nel corso degli anni dalla camera degli sceneggiatori, tuttavia, la sua apparizione a sorpresa, alla fine di “Fan Fiction“, aveva nuovamente aizzato le folle, soprattutto a causa di un’apparente assenza di logicità nella sua comparsa improvvisa. A distanza di 38 episodi da “Fan Fiction” e di ben 134 da “Swan Song” è stato finalmente tutto chiarito, in maniera encomiabile: Chuck Shurley è Dio.
“Okay, yeah, please, all the kneeling and stuff, it’s always made me deeply, deeply uncomfortable. Just don’t use the G-word, okay? Just… Just call me Chuck.”
Partiamo con il chiarire subito il titolo dell’episodio, “Don’t Call Me Shurley”, chiaro ed evidente gioco di rimando tra il cognome di Chuck e una citazione di “Airplane!”, in italiano conosciuto come “L’Aereo Più Pazzo Del Mondo”. Il titolo è volutamente allusivo e mira a chiarire fin dal principio ciò che verrà poi spiegato meglio dallo stesso Dio.
L’episodio non è certo uno dei più facili da scrivere, è un grosso onere essere lo sceneggiatore della puntata in cui è stato scelto di svelare il più grande mistero di Supernatural di sempre ma, allo stesso tempo, è anche un onore avere questo privilegio che sarebbe un delitto rifiutare. Per trattare un evento del genere Robbie Thompson (che non del tutto casualmente era sceneggiatore anche del sopracitato “Fan Fiction“), sotto la supervisione di Carver, ha optato per una lunga discussione tra Metatron e Chuck, individuando in questa metodologia il modo migliore per agevolare la spiegazione di quest’ultimo e, allo stesso tempo, permettere allo spettatore di immedesimarsi totalmente in quel Metatron disorientato che ha l’arduo compito di porre le domande che albergano in ogni spettatore da tempo immemore.
Fughiamo ogni dubbio fin da subito dicendo che la scelta funziona, e anche molto bene, perché il dialogo trai due è un gioco delle parti che va bene sia per il carattere dei due personaggi, sia per l’equilibrio che c’è nella discussione. Se si capisce fin da subito il timore reverenziale di Metatron, con il tempo si riesce a comprendere anche le scelte fatte da Dio, stanco di vedere “i suoi esperimenti fallire”.
Metatron: “You know, I was a crappy, terrible god. My work was pretty much a lame, half-assed rewrite of your greatest hits. But at least I was never a coward.”
God: “Now… I’ve been called many things: absentee father, wrathful monster. But coward… I am not hiding. I am just done watching my experiments’ failures.”
Metatron: “You mean your failures, Chuck.”
La domanda delle domande, tralasciata la scontata “Chi è Dio?”, è sempre stata il “Quando tornerà?”. In una maniera molto delicata ma al contempo molto forte, Robbie Thompson riesce a intavolare una discussione articolata tra Metatron e Chuck che permette di fare luce sul motivo che va dietro la dipartita di Dio: i suoi esperimenti falliti. Dimenticandoci per un istante quell’inquietante “Every time I’d build a new world… she’d destroy it” che tradotto vuol dire che ci sono state molte apocalissi negli eoni, ciò che rimane è un botta e risposta serrato sul libero arbitrio, l’amarezza e la necessità di avere una famiglia perché, in fondo, Dio è il padre spirituale di tutti gli angeli e di tutti gli esseri umani. La scrittura dell’autobiografia è solo un MacGuffin per avere un dialogo con Metatron, né più, né meno.
Dio giustifica il suo addio alle scene additando un fallimento generale dei suoi “esperimenti”, degli esseri umani, completamente imprevedibili, troppo meschini ed iracondi per poter essere perdonati o anche solo giustificati per le loro azioni. Ovviamente questa descrizione combacia pienamente anche con le azioni di Sam e Dean, rei di aver liberato Amara nel mondo. Quello che si incontra è quindi un Dio stanco di essere deluso dalle sue creazioni, un Dio che comunque è sempre stato sotto gli occhi di tutti, anche manovrando personalmente determinate situazioni (“I’ve rebuilt Castiel more times than I can remember.“), ma che dalla liberazione di sua sorella nel mondo ha fatto un passo indietro accettando, sconsolato, il destino che si ripete nuovamente come per ogni mondo che aveva costruito.
Metatron: “So you’re just gonna let Amara win?”
God: “Eh… it’s her time to shine.”
Lo scontro di prospettive tra Metatron e Chuck si dipana per tutto l’arco dell’episodio ed è estremamente efficace nella sua durezza. Si tratta infatti di uno scontro di ideologie, quella del creatore e padre deluso dai figli che si schianta contro la necessità del figliol prodigo di essere perdonato e aiutato dal padre che ora l’ha ripudiato. Come si diceva, è tutta una questione di “famiglia”, lo è sempre stata e sempre lo sarà. Dio, ogni volta che Metatron esce con qualche domanda ingombrante, svia il discorso su altri temi, non risponde e, se lo fa, è schivo e in parte anche bambinesco per il modo con cui si ostina ad aver ragione. Tutto molto umano.
“Don’t Call Me Shurley” è un episodio importantissimo, e questo lo si sa, tuttavia, pur esplodendo in tutta la sua dirompente potenza, ha il piccolo difetto di essere solo una prefazione di una serie di puntate che condurranno al season finale. L’apparizione finale (e salvifica) ai Winchester è infatti la dimostrazione che la discussione con Metatron ha portato i suoi frutti e ha fatto scoccare qualcosa in Dio, quel qualcosa che, esattamente come un Deus Ex Machina (giocone di parole), ha permesso di salvare Sam e Dean da morte certa. Un po’ prevedibile ma tutto sommato elegante e necessario.
Non è chiaro se Chuck abbia definitivamente cambiato idea ma sulle note di “Fare Thee Well (Dink’s Song)”, cantata da un maestoso Rob Benedict, Carver e Thompson possono permettersi qualsiasi lusso, anche quello di chiudere così la puntata.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Chitters 11×19 | 1.67 milioni – 0.7 rating |
Don’t Call Me Shurley 11×20 | 1.54 milioni – 0.6 rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.