“Then we should get started.”
Sono passati ben ottantaquattro giorni dalla messa in onda del midseason finale e, dopo una così lunga pausa, Designated Survivor torna nel migliore dei modi possibili. Se da un lato c’era bisogno di riaccendere l’attenzione del pubblico, dall’altro bisognava attentamente evitare un sovradosaggio di eventi che turbasse lo spettatore, facendo crollare la Babele di evoluzioni narrative intrapresa dal pilot a questa parte. Una puntata quindi, questa 1×11, che non doveva mostrare né troppo, né tanto meno troppo poco, cercando di raggiungere il giusto mezzo tra ricapitolazione della trama e progressione della stessa.
Oltre a ciò c’erano almeno due problemi strutturali abbastanza importanti che necessitavano di essere sistemati prima che subito: un problema di attualità e un problema di credibilità.
Partiamo dal secondo, forse quello più complicato, perché trova in questa puntata un effettivo punto di svolta, si spera definitivo. Nei primi dieci episodi è stato messo in atto un teatrino poliziesco-politico abbastanza particolare, con quello che potremmo tranquillamente definire come un abuso di informazioni che venivano rivelate a noi spettatori, ma non ai protagonisti. Se questo ha permesso di mantenere alta la suspense per un po’, alla lunga stava diventando esclusivamente fonte di disagio nel vedere, per esempio, il presidente Kirkman interfacciarsi con più o meno dichiarati traditori (Aaron e MacLeish su tutti). Una sproporzione tra personaggi e spettatori che trovava la sua origine nella distinzione principale delle storyline tra il Presidente e l’agente dell’ FBI Wells e che, proprio in virtù dei minuti finali di questo episodio, speriamo trovi la sua più rapida conclusione. L’incontro tra i due è segno di un nuovo inizio dello show, pronto a mettere da parte i segreti circospetti e ad affrontare con determinazione quella che si profila essere una succulenta guerra civile.
“It’s politics. I’d have to make speeches, compromise. I mean, I might even have to stand behind something I don’t even believe in. I’m an urban planner, an architect. I’m not a politician.”
“Tom, the president of the United States is asking you to serve. […] Warriors, right?”
L’altro problema che DS doveva affrontare riguardava più che altro quello che è avvenuto fuori dagli schermi, in America, in questi mesi. Dopo le elezioni presidenziali di novembre la lunga pausa della serie poteva essere malignamente interpretata come un tentativo di prendere le misure su Donald Trump e creare situazioni di denuncia sociale. A differenza di altri show del palinsesto americano come The Good Wife o BrainDead dei King, Designated Survivor ha però deciso di costruirsi in un universo più fiction che realistico, rinunciando ai collegamenti diretti con l’attualità.
Ebbene, per il momento questa può essere la grande forza della serie: senza girarci troppo attorno, la scena alla finestra di Kirkman che saluta la folla mostrando in un semplice gesto una sintesi di responsabilità e fiducia, vale narrativamente infinite volte di più di qualsiasi denuncia formale del muro al confine con il Messico o del travel ban o di tanti altri scandali. Un plauso a Sutherland per mostrare così tanto con così poco è quasi dovuto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Sembrerebbe proprio di sì.
The Oath 1×10 | 6.18 milioni – 1.2 rating |
Warriors 1×11 | 5.86 milioni – 1.3 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.