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Bushmaster: “You’re not faster than Usain Bolt, you know”
Luke Cage: “I never said I was”
Luke Cage: “I never said I was”
Dopo una puntata come quella di “Straighten It Out” che sotto molti aspetti era stata molto più dialogica che non action, “Wig Out” riporta nello show quella sana dose di botte e ignoranza di cui si sentiva il bisogno.
Anche perché il tema sottinteso a tutto l’episodio è proprio quello della rabbia repressa, declinata in vari modi nei vari personaggi protagonisti dello show.
Innanzitutto quella dello stesso Luke Cage che lo porta a ridurre in fin di vita Arturo Rey (vedi cliffhanger della puntata precedente) e a rinnegare il padre, per motivi che non sono ancora del tutto chiariti ma di cui probabilmente si sentirà parlare nei prossimi episodi. La stessa rabbia che porta poi a interminabili discussioni con Claire fino a un’inevitabile e dolorosa separazione (forse temporanea? forse no? anche in questo caso si scoprirà più avanti).
C’è poi la rabbia di Misty nei confronti dei colleghi e della sua nuova condizione di disabile. Anche in questo caso è interessante vedere la contrapposizione tra questo personaggio (finora senz’altro il più riuscito), che deve fare della propria “debolezza” fisica un punto di forza, e il protagonista principale dello show che ha una super-forza ma che non riesce a gestirla risultando, alla fine, proprio il più debole. Si tratta di un tema interessante perchè pone Luke in una prospettiva del tutto nuova e lo rende un personaggio veramente complesso e sfaccettato, come mai era stato mostrato finora, e alza notevolmente l’asticella della qualità di questo show.
Se, infatti, il supereroe non può essere scalfito da niente a livello fisico, può essere scalfito eccome dal punto di vista psicologico, ed è questa la sua vera debolezza. Il riuscire a vincere questo ulteriore ostacolo è il vero leitmotiv che accompagna questa seconda stagione di Marvel’s Luke Cage e che riguarda tutti i personaggi, ma soprattutto Luke e Misty che si dimostrano le vere colonne portanti dello show.
La storyline di Misty regala inoltre il cammeo di Coleen Wing che accomuna sempre di più lo show con la serie di Marvel’s Iron Fist in ottica di crossover. Il che è senz’altro positiva perché offre uno stacco significativo nella storyline principale e un’interessante lezione di para-karate con una buona dose di ironia, fondamentale per non scadere nel pietismo che un tema del genere poteva comportare.
Interessante poi la rabbia mai espressa, ma comunque evidente, del personaggio di John McIver aka Bushmaster (l’esordiente ma già ottimo Mustafa Shakir), il quale si conferma uno dei villain più carisamtici mai visti in questo show, superiore anche al Cottonmouth di Mahershala Ali. Così come tutti i personaggi presenti, il futuro Bushmaster (ancora mai chiamato in questo modo ma già villain completo in questo senso) è un misto di stereotipo e innovazione.
Presentato con le inquadrature storte di Lucy Liu nel primo episodio, che lo hanno reso ancora più emblematico visivamente, questo particolare gangster giamaicano si dimostra misterioso e inquietante al punto giusto, anche a poche puntate dalla sua presentazione. Non si sanno ancora ben i motivi dell’odio che cova nei confronti di Mariah, ma quelli nei confronti di Luke ci sono già tutti e il cliffhanger finale lascia presupporre già uno contro epico tra i due.
Ottima poi la scelta di ambientare le sue malefatte nel quartiere di Brooklyn e non nella già nota Harlem, anche per aumentare lo spazio d’azione di Luke e company (che risulta altrimenti abbastanza ristretto) e la colonna sonora reggaeton che diversifica, anche a livello musicale, i due territori. la presenza delal comunità giamaicana inoltre permette l’aggiunta di un sano umorismo “giamaicano” dove gli sfottò la fanno da padrone, come nell’epica la scena al bar con i vecchietti, e l’uso di icone come Usain Bolt (vedi citazione iniziale).
L’uso della rabbia nei confronti dei suoi nemici da parte di Bushmaster è sicuramente migliore finora e rappresenta un’ulteriore declinazione del tema principale della serie.
Personaggio che invece ne fa un pessimo uso è Shades(costantemente con gli occhali scuri anche al buio) che da villain carismatico nella precedente stagione, si ritrova ad essere un mero scagnozzo di Mariah in questa. Si può dire che tutta la storyline di Mariah e dei personaggi a lei collegati finora è stata la più debole di tutte.
Nata per essere la villainess principale dello show, riesce sempre e comunque a farsi scavalcare dagli altri villain. Il ritrovato rapporto con la figlia Tilda appare poi troppo forzata a livello narrativo così come il suo entrare in scena sempre nei momenti giusti e nei dialoghi pieni di tensione narrativa.
Si tratta però solo di piccoli dettagli, inseriti in una narrazione ben più complessa e sfaccettata che si dimostra molto più matura nella scrittura rispetto a quella della prima stagione.
Rimane come principale difetto la fotografia perennemente scura delle puntate che (in una storia dove gli attori sono TUTTI afroamericani) non rende certo facile il compito del recensore nella scelta delle immagini!
Anche perché il tema sottinteso a tutto l’episodio è proprio quello della rabbia repressa, declinata in vari modi nei vari personaggi protagonisti dello show.
Innanzitutto quella dello stesso Luke Cage che lo porta a ridurre in fin di vita Arturo Rey (vedi cliffhanger della puntata precedente) e a rinnegare il padre, per motivi che non sono ancora del tutto chiariti ma di cui probabilmente si sentirà parlare nei prossimi episodi. La stessa rabbia che porta poi a interminabili discussioni con Claire fino a un’inevitabile e dolorosa separazione (forse temporanea? forse no? anche in questo caso si scoprirà più avanti).
C’è poi la rabbia di Misty nei confronti dei colleghi e della sua nuova condizione di disabile. Anche in questo caso è interessante vedere la contrapposizione tra questo personaggio (finora senz’altro il più riuscito), che deve fare della propria “debolezza” fisica un punto di forza, e il protagonista principale dello show che ha una super-forza ma che non riesce a gestirla risultando, alla fine, proprio il più debole. Si tratta di un tema interessante perchè pone Luke in una prospettiva del tutto nuova e lo rende un personaggio veramente complesso e sfaccettato, come mai era stato mostrato finora, e alza notevolmente l’asticella della qualità di questo show.
Se, infatti, il supereroe non può essere scalfito da niente a livello fisico, può essere scalfito eccome dal punto di vista psicologico, ed è questa la sua vera debolezza. Il riuscire a vincere questo ulteriore ostacolo è il vero leitmotiv che accompagna questa seconda stagione di Marvel’s Luke Cage e che riguarda tutti i personaggi, ma soprattutto Luke e Misty che si dimostrano le vere colonne portanti dello show.
La storyline di Misty regala inoltre il cammeo di Coleen Wing che accomuna sempre di più lo show con la serie di Marvel’s Iron Fist in ottica di crossover. Il che è senz’altro positiva perché offre uno stacco significativo nella storyline principale e un’interessante lezione di para-karate con una buona dose di ironia, fondamentale per non scadere nel pietismo che un tema del genere poteva comportare.
Interessante poi la rabbia mai espressa, ma comunque evidente, del personaggio di John McIver aka Bushmaster (l’esordiente ma già ottimo Mustafa Shakir), il quale si conferma uno dei villain più carisamtici mai visti in questo show, superiore anche al Cottonmouth di Mahershala Ali. Così come tutti i personaggi presenti, il futuro Bushmaster (ancora mai chiamato in questo modo ma già villain completo in questo senso) è un misto di stereotipo e innovazione.
Presentato con le inquadrature storte di Lucy Liu nel primo episodio, che lo hanno reso ancora più emblematico visivamente, questo particolare gangster giamaicano si dimostra misterioso e inquietante al punto giusto, anche a poche puntate dalla sua presentazione. Non si sanno ancora ben i motivi dell’odio che cova nei confronti di Mariah, ma quelli nei confronti di Luke ci sono già tutti e il cliffhanger finale lascia presupporre già uno contro epico tra i due.
Ottima poi la scelta di ambientare le sue malefatte nel quartiere di Brooklyn e non nella già nota Harlem, anche per aumentare lo spazio d’azione di Luke e company (che risulta altrimenti abbastanza ristretto) e la colonna sonora reggaeton che diversifica, anche a livello musicale, i due territori. la presenza delal comunità giamaicana inoltre permette l’aggiunta di un sano umorismo “giamaicano” dove gli sfottò la fanno da padrone, come nell’epica la scena al bar con i vecchietti, e l’uso di icone come Usain Bolt (vedi citazione iniziale).
L’uso della rabbia nei confronti dei suoi nemici da parte di Bushmaster è sicuramente migliore finora e rappresenta un’ulteriore declinazione del tema principale della serie.
Personaggio che invece ne fa un pessimo uso è Shades
Nata per essere la villainess principale dello show, riesce sempre e comunque a farsi scavalcare dagli altri villain. Il ritrovato rapporto con la figlia Tilda appare poi troppo forzata a livello narrativo così come il suo entrare in scena sempre nei momenti giusti e nei dialoghi pieni di tensione narrativa.
Si tratta però solo di piccoli dettagli, inseriti in una narrazione ben più complessa e sfaccettata che si dimostra molto più matura nella scrittura rispetto a quella della prima stagione.
Rimane come principale difetto la fotografia perennemente scura delle puntate che (in una storia dove gli attori sono TUTTI afroamericani) non rende certo facile il compito del recensore nella scelta delle immagini!
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Puntata che fa un po’ più di luce sul passato e sulla figura di John McIver/Bushmaster e getta le basi per i futuri conflitti con Luke. Non troppa luce però, perchè potrebbe facilitare ulteriormente il compito del recensore! Inoltre non darebbe la possibilità a Shades di indossare occhiali da sole al buio.
Straighten It Out 2×02 | ND milioni – ND rating |
Wig Out 2×03 | ND milioni – ND rating |
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!