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Mindhunter 2×09 – Episode 9TEMPO DI LETTURA 4 min

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Mindhunter non è una serie per tutti. Il topic “serial killer” rappresenta certamente uno degli argomenti più succulenti dal punto di vista televisivo: basti pensare alla sfilza di film e serie televisive incentrate sugli assassini seriali per comprendere quanto questo genere sia apprezzato dal pubblico generalista e non. In Mindhunter, però, non ci si trova di fronte al solito thriller, non si tratta soltanto di seguire le vicissitudini di un assassino e del suo “cacciatore”.
Quello che questa serie vuole mostrare sono invece le motivazioni che hanno portato un gruppetto di agenti speciali a indagare su determinati crimini e sulle ragioni che hanno portato questi individui cosiddetti deviati a commettere crimini così efferati. I ritmi non saranno quindi quelli tipici del genere thriller, bensì si avrà a che fare con un poliziesco il cui scopo è quello di analizzare i momenti solitamente più noiosi, quali ad esempio interrogatori, pedinamenti e studi approfonditi sui sospetti presi in esame. Una scelta che probabilmente a lungo andare porterà una buona fetta del pubblico ad allontanarsi dallo show, ma che a prescindere da tutto, grazie alla potenza dei suoi dialoghi, contribuisce a conferire alla serie la sua innegabile unicità.
Non è facile trovare una serie televisiva in grado di bilanciare così bene realtà e finzione. Entrambe le componenti finiscono per intrecciarsi alla perfezione: le vite private dei protagonisti, seppur romanzate, portano avanti egregiamente il proprio compito di “distrarre” lo spettatore da quello che è l’elemento principale attorno al quale ruota l’intera serie – la caccia al serial killer ovviamente – alleggerendo la visione che altrimenti sarebbe interamente composta da sequenze di interrogatori, pedinamenti e discussioni sui vari problemi economici dell’FBI.
Dopo una prima metà di stagione principalmente incentrata sul profiling dei vari assassini seriali intervistati da Holden e colleghi, la serie ha virato radicalmente in direzione del caso riguardante la sparizione di quasi trenta bambini di colore nella città di Atlanta, culminando qui nell’arresto di Williams. Un arresto che senza dubbio avrà lasciato molti degli spettatori con l’amaro in bocca, nonostante rispetti fedelmente la conclusione delle indagini reali compiute nel 1981. La vittoria portata a casa dall’FBI suona più come una sconfitta e il colpevole, a sentenza stabilita, verrà ritenuto responsabile di soltanto due omicidi. Nulla da fare per gli altri crimini, ancora oggi irrisolti, ma per il quale Williams risulta tuttora l’unico sospettato.
La decisione di riportare fedelmente quanto avvenuto nel corso delle indagini porta purtroppo ad un esito non del tutto positivo: la brusca conclusione del caso, sebbene cerchi di sottolineare l’impotenza delle forze dell’ordine nei confronti dei poteri forti, smorza terribilmente la tensione accumulata dallo spettatore fino a quel momento. Una conclusione dal sapore dolceamaro che pone l’accento sull’ambiente estremamente ostile entro cui si muovono i protagonisti, fatto di agenti corrotti, reati di matrice discriminatoria e relative tensioni sociali, e che porta a comprendere lo scetticismo di Holden di fronte agli evidenti limiti della burocrazia nel corso di un’effettiva caccia all’uomo.
La chiusura della stagione riporta, invece, indietro al primo episodio. Il BTK Killer rimane sullo sfondo, così da evidenziarne la natura sfuggente, e a piccole dosi impariamo a conoscere le sue perversioni, nella speranza di vedere finalmente il suo personaggio al centro della narrazione. La serie decide così di centellinare le sequenze a lui dedicate, nel tentativo di restituire allo spettatore un senso di continuità, essendo lo strangolatore BTK protagonista di una caccia all’uomo durata più di dieci anni.
Al termine dell’episodio, nonostante il brusco calo di tensione in seguito all’arresto di Williams e al triste finale riservato a Bill, la sensazione comunque è sempre quella di volerne di più. Mindhunter è un thriller basato su una storia vera, dunque un thriller a metà, privato dell’effetto sorpresa dovuto alla notorietà delle vicende, eppure grazie alla forza dei suoi dialoghi e alla perfetta commistione tra musiche, regia e fotografia, non si riesce a farne a meno. Rimane un po’ di delusione per il personaggio di Wendy, ingiustamente “maltrattato” dal punto di vista della scrittura e tenuto in disparte probabilmente per sottolineare il suo sentirsi meno importante all’interno del team in vista delle prossime stagioni, ma nel complesso Mindhunter riesce ancora una volta a confermarsi come prodotto di punta delle produzioni originali Netflix.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Gli interrogatori a Williams
  • Sempre ottima la costruzione della tensione
  • La potenza dei dialoghi
  • Musiche, regia e fotografia impeccabili
  • Wendy, personaggio maltrattato in questa stagione
  • Finale che non lascia pienamente soddisfatti

 

Un finale decisamente in linea con quanto visto in questa seconda stagione ma che sicuramente avrà deluso parte degli spettatori. Mindhunter è una serie molto particolare, difficile da inquadrare, benedetta dal tanto amato “tratto da una storia vera” ma ben poco digeribile dagli amanti dell’action e del genere thriller così come siamo abituati a pensarlo. Sicuramente questo secondo arco narrativo ha perso qualcosa rispetto alla stagione precedente, ma per coloro che apprezzano le storie vere che non necessitano della consueta componente romanzata per tirare avanti, Mindhunter rappresenta una delle migliori scelte possibili all’interno dello sconfinato archivio Netflix.

 

Episode 8  2×08 ND milioni – ND rating
Episode 9  2×09 ND milioni – ND rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

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