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Chi conosce David Simon sa bene, dopo anni e anni, cosa aspettarsi dai suoi prodotti seriali. Che si tratti dei criminali e dei poliziotti di Baltimora o degli abitanti di New Orléans post-uragano Katrina o dei papponi e dei mafiosi della New York degli anni ’70, le narrazioni da lui ideate e supervisionate sono sempre concentrate sugli uomini e sulle donne più che sulla trama, sulle atmosfere e sulle ricostruzioni più che sull’intrattenimento puro e semplice, col risultato che prodotti come The Wire, Treme e The Deuce risultano difficilmente appetibili per lo spettatore medio.
Le cose non possono certo andare diversamente con la più recente opera a cui Simon ha dato vita insieme a Ed Burns: The Plot Against America, adattamento in sei episodi dell’omonimo romanzo di Philip Roth trasmesso da HBO. La miniserie si inserisce in quel filone televisivo ucronico/distopico che negli ultimi anni ha dato vita a diversi prodotti degni di nota, da The Man in the High Castle al meno famoso SS/GB, ai recentissimi Watchmen e For All Mankind; ma se ne differenzia proprio per lo stile particolare di Simon, che non sembra voler rinunciare alla propria tipica placidezza nemmeno quando ha a disposizione pochi episodi. Qualsiasi altro artista di fronte alla prospettiva di avere “solo” sei ore per raccontare una storia andrebbe subito al nocciolo della questione, ma Simon no, non ha fretta, neanche stavolta. Un bene? Un male? Restano altre cinque puntate per scoprirlo.
Per il momento, è bene sottolineare che il primo episodio di The Plot Against America è una gigantesca e pachidermica introduzione dei personaggi, con la corsa elettorale di Charles Lindbergh e gli orrori della Germania nazista relegati sullo sfondo, seppur importanti per le loro ricadute nella vita quotidiana della gente comune. Infatti i membri della famiglia Levin, per quanto debbano fare i conti con l’antisemitismo serpeggiante persino nell’idilliaco sobborgo del New Jersey in cui vivono, sono lontanissimi dalla politica attiva e dai grandi avvenimenti in corso in quel periodo storico, non sono particolarmente legati nemmeno alla causa sionista e il massimo dei problemi che devono affrontare sono la condotta scapestrata del giovane Alvin o i problemi di cuore della nubile Evelyn. O almeno, questa è la loro routine finché non si fa reale la prospettiva che Charles Lindbergh vinca le elezioni e inasprisca ulteriormente il clima antisemita, che è proprio il punto di svolta alla base del romanzo di Roth.
Piccola parentesi per i meno studiati: chi era Charles Lindbergh? Figlio di un avvocato (più tardi membro del Congresso) e di una chimica, si distinse come aviatore compiendo il 1927 la prima traversata in solitaria e senza scalo dell’Oceano Atlantico, mentre al 1932 risale il rapimento e l’omicidio del figlioletto Charles Jr., evento che scosse l’intera nazione e su cui proprio HBO ha realizzato nel 1996 un film per la televisione, Crime of the Century. Ma Lindbergh è passato alla storia anche per le sue simpatie nazionalsocialiste: fu spesso ospite di Hitler a Berlino, ricevette una Croce di Servizio da Göring che rifiutò di restituire anche dopo le insistenze del presidente Roosevelt, si oppose finché possibile alla discesa in guerra degli USA contro l’Asse. Proprio su queste simpatie Roth costruiva il suo romanzo, immaginando cosa sarebbe successo se a vincere le elezioni del 1940 fosse stato proprio Lindbergh e non Roosevelt, e nella medesima direzione dovrebbe andare anche la miniserie, benché, come già accennato, il primo episodio copra solo la fase della campagna elettorale e la vittoria dell’aviatore filo-nazista sia ancora una temuta possibilità, non un dato di fatto.
Per ora, sembra di trovarsi di fronte a una delle classiche opere simoniane, tutte concentrate a ricostruire con precisione maniacale e lentezza esasperante ambienti ed epoche ben precise, in questo caso un sobborgo ebraico-americano degli anni ’40. Il fatto che al centro della narrazione ci sia un’intera famiglia garantisce una certa eterogeneità nelle tematiche: con il capofamiglia Herman si privilegia il discorso più squisitamente politico, perché è il membro più interessato alle vicende politiche e belliche; con il primogenito Philip il focus si sposta sui temi della formazione dell’adolescente, facendogli scoprire poco a poco tanto l’esistenza del razzismo e dell’antisemitismo quanto la sessualità (emblematica la scena a casa dell’amico che gli fa sbirciare nell’armadio della madre e toccare i suoi indumenti); con la zia Evelyn ci si sposta sui lidi dell’amore, con tanto di relazione contestata dal resto della famiglia perché l’uomo amato non è ebreo; e il nipote Alvin è la classica testa calda, sotto sotto di buon cuore.
Lo stesso sentimento antisemita è mostrato quasi sempre senza ricorrere a scene particolarmente truci o violente. Si preferisce mostrare l’odio razziale attraverso i discorsi di Lindbergh ascoltati alla radio e le tavolate di emuli dei nazisti che intonano canzoni in tedesco e inneggiano al Führer o alla vittoria elettorale dell’aviatore nazionalsocialista: una scelta che potrebbe scontentare chi si aspettava di più, ma che è perfettamente in linea con la volontà di portare sullo schermo l’atmosfera di un’epoca (in parte fittizia, in parte no, i filo-nazisti c’erano davvero negli USA) più che una storia, e quindi di dipingere il razzismo serpeggiante nella società americana come qualcosa di ancora più infido e subdolo di una banale violenza fisica. Solo nel finale qualcosa si smuove e l’episodio regala una spedizione punitiva di Alvin e compagni contro alcuni filo-nazisti: anche questa è una scelta significativa, perché qui sono le vittime dell’ingiustizia e del sopruso a ribellarsi allo stato delle cose e a prendere le armi contro gli oppressori, dando vita a un capovolgimento delle parti che evita alla serie il rischio di appiattirsi su un banale “Ebrei buoni e passivi vs. Nazisti e filo-Nazisti cattivi e persecutori”, mostrando come nella realtà non esistano solo il nero e il bianco.
Un plauso va infine al cast, decisamente azzeccato e pienamente in parte, in cui spiccano i volti e i nomi famosi di Winona Ryder e di John Turturro, lei nei panni della zia Evelyn, lui del rabbino Bengelsdorf, atipico sostenitore delle idee di Lindbergh che dovrebbe far riflettere su come i confini tra le ideologie non sempre seguano quelli tra le etnie e le religioni.
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Per gli amanti della storia alternativa, soprattutto se riguardante la seconda guerra mondiale, The Plot Against America potrebbe essere una gradita visione così come una palla mortale: tutto sta nel capire se si riesce ancora ad apprezzare lo stile placido e realistico di David Simon, anche applicato a un soggetto così insolito nella sua produzione quale l’ucronia.
Part 1 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.