“Il re è morto, c’è tempo di cambiamento.”
Katane e zombie, un connubio che, in teoria, dovrebbe fare gongolare (o almeno incuriosire) lo spettatore seriale. La commistione di drama storico e di horror desta sempre, infatti, una certa curiosità, non fosse altro perché le ambientazioni urban o post-apocalittiche hanno decisamente rotto il cazzo sono ormai stra-abusate da serie di spicco (tutti i riferimenti a The Walking Dead e al suo spin-off sono voluti e assolutamente non casuali).
D’altra parte, però, si sa anche che le produzioni asiatiche di Netflix (e soprattutto quelle dell’Estremo oriente) sono sempre un po’ un’incognita in quanto, spesso, sono mere riproduzioni di cliché narrativi occidentali con un gusto e un’ironia smaccatamente orientali. Un miscuglio che a volte funziona, a volte no (in genere il risultato è che o si scade nel trash più ridicolo o nel drama-soapish più estremo).
Kingdom, nuova produzione coreana, non sfugge certamente a questa tendenza, anche se si nota un certo sforzo per evitare, appunto, di cadere in tali trappole. Tutto si può dire tranne che il prodotto in questione non sia ben confezionato, seppur a tratti un po’ troppo aderente a certi cliché di genere. L’incipit iniziale, ad esempio, è veramente ottimo nel rilasciare tutti gli elementi necessari per capire la trama seguendo una struttura classica da jump-scare, che sicuramente agli appassionati del genere farà piacere.
Poi, però, cominciano subito i primi problemi a partire dalla scena successiva. La storia riguarda, infatti, la presunta scomparsa del sovrano in carica, il quale, precedentemente, era andato nella città di Hanyang (nella regione del Dongnae) per curarsi da un misterioso morbo che da giorni lo tormentava. Da lì, nessuno lo ha più visto. I suoi consiglieri del Clan Haewon Cho (una specie di signorotti feudali legati alla famiglia della regina) sostengono che sia ancora vivo, intanto, però, approfittano della sua assenza per spadroneggiare nel regno con metodi autoritari e mafiosi. Del re, tuttavia, non si ha notizia e il fatto che un’inquietante creatura si aggiri nelle sue stanze rende la sua assenza ancora più strana. Per riuscire a risolvere questo mistero, il Principe Ereditario (personaggio che evidentemente non ha nome poiché lo chiamano tutti così), pensando che sia tutto frutto di una cospirazione del Clan Haewon Cho ai suoi danni, fugge dal palazzo reale per recarsi ad Hanyang con il suo fido servitore (una specie di Sancho Panza che ha il mero ruolo di spalla-comica, qui decisamente inutile come ruolo).
Nel frattempo, nella suddetta regione del Dongnae, una misteriosa malattia si sta diffondendo nelle zone più povere. Qui, in un ospedale, il cuoco ha la “brillante” idea di sopperire alla mancanza di cibo facendo mangiare agli ospiti i cadaveri dei malati morti (alla faccia dei Nas!), il che ovviamente fa sì che la malattia si contagi ancora più velocemente e degeneri, trasformando chiunque mangi il cibo in uno zombie.
Da questa prima trama si capisce come tutta la storia sia divisa in due storylines principali: quella del Principe Ereditario (Ju Ji-hoon) e del suo percorso di formazione che lo porterà (si spera) a sconfiggere il Clan Haewon Cho e ad essere meno inetto di quanto non sia (è preso in giro praticamente da chiunque); la resistenza contro la piaga degli zombie da parte del cuoco e di una giovane ma ben determinata infermiera (quest’ultima interpretata da una straordinaria Bae Doona, una bella sorpresa per una serie del genere).
Tali storylines, a loro volta, sono caratterizzate da due tipi diversi di horror: la prima più horror-sociale (tendente al drama storico), con scene di torture e uccisioni di oppositori politici; la seconda più horror-classico, in cui viene trattata la nascita e la degenerazione del morbo-zombie.
Per quanto riguarda il filone zombie, bisogna riconoscere che la costruzione dell’intreccio e il conseguente climax degli eventi è reso veramente bene. L’ambientazione storica, poi, lo rende decisamente interessante e il cliffhanger finale è ciò che salva definitivamente questo pilot. Per il resto, invece, e per quello che riguarda l’altra storyline principale, c’è ben poco da rimanere soddisfatti. Il gusto, tipicamente orientale, per i toni soapish ed eccessivamente caricaturali la fa da padrone appesantendo fin troppo la trama.
Troppo minutaggio va via per seguire i tentennamenti di questa specie di Amleto coreano che in teoria sarebbe il sovrano legittimo (e quindi avrebbe il potere di imporsi quanto vuole) ma stranamente non fa nulla per rimarcare il proprio potere ed è costretto, in maniera inverosimile, a farsi da solo un auto-complotto contro sé stesso e la sua famiglia. Per di più con dialoghi al limite del ridicolo.
Bene, invece, la rappresentazione dell nascita del morbo-zombie (in fondo la cosa che interessa di più allo spettatore). Anche se la “casualità” con cui si diffonde appare un po’ come una forzatura, ma in fondo la si perdona in quanto dà l’opportunità di far esplodere il lato più horror-splutter della storia.
Kingdom si presenta, dunque, come un prodotto dall’alto potenziale narrativo e di guilty-pleasure per i fan dell’horror che cercano qualcosa di nuovo. Bisogna solo sperare che, da questo punto in poi, si evitino le lungaggini inutili e le scene soapish che già hanno rovinato questo primo episodio. Elementi che appaiono comunque come inevitabili in questo tipo di serie.
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!