Dopo anni che l’economia americana cresceva a gonfie vele, il lunedì mattina del 19 Ottobre 1987 gli investitori americani si svegliarono e un quarto della loro ricchezza era sparita. Wall Street chiuse a -22,6% in un solo giorno, due volte peggio della famigerata crisi del ’29 di cui tutti abbiamo letto sui libri di storia. E ciò succedeva anche nel resto del mondo: dall’Europa all’Asia le borse crollarono, con il peggior calo registrato da Hong Kong ad un terrificante -45,8% e che fu probabilmente una delle cause del crollo statunitense (il fascino asiatico di Yoko Ono aveva contagiato anche il mondo della finanza e negli anni 80 si era cominciato a speculare pesantemente sui mercati asiatici). Piccola curiosità, il mercato italiano fortemente patrimonializzato resistette molto bene al crollo e Piazza Italia chiuse “solamente” a -6,4%.
Cosa ci racconta quindi Black Monday? Tutto e niente, ma sappiamo già che ci farà divertire. La serie gioca molto sul mistero dietro il fatto storico, mettendo insieme tutte le supposizioni che sono state fatte circa le cause dell’evento dando vita ad una boutique finanziaria di speculatori sui generis capitanata da uno schizzato Don Cheadle (tra gli altri The Family Man, Traffic, Mission to Mars, Ocean’s Eleven) nei panni di Maurice Monroe aka “Mo”.
Puttane, cocaina, disco music e colletti a punta, Mo rappresenta quanto di più trash possiamo trovare nel self-made-man di metà anni ’80: nero, nato in un bagno pubblico e finito a Wall Street, arrivista spregiudicato e trader d’azzardo, si ritrova al numero 11 tra le società di trading americane secondo il Wall Street Journal e – ovviamente – la cosa lo manda in bestia. Lui vuole essere il migliore, e per raggiungere la vetta si circonda di personaggi altrettanto improponibili che sposano il suo universo di eccessi e speculazioni.
A rompere questo equilibrio arriva un giovane MBA di nome Blair Pfaff interpretato da Andrew Rannells, volto conosciuto per Elijah Krantz di Girls, e pluricomparsa in numerose serie tv quali How I Met Your Mother, Glee, The Knick. Fantozziano in carriera, Blair conosce solo il trading dei libri e viene immediatamente fagocitato dalla giungla della vera borsa, e si ritroverà a subire le angherie di Mo non propriamente per caso.
La serie sembra già funzionare per il ritmo incalzante con cui in soli 30 minuti i personaggi si presentano, gli incastri si intravedono e la trama prende forma. Tra una pippata e un’altra i tempi comici sono ottimi, le battute mai scontate, e il contrasto tra Mo col suo gruppo di outsider e i colletti bianchi dell’alta finanza funziona alla perfezione. Anche le scelte più azzardate, come quella di dipingere i Lehman Brothers (interpretati entrambi da Ken Marino) come i Chip e Chop dell’investment banking, sono ben inquadrate in un contesto dove vengono buttati dentro tutti i cliché che ruotano attorno al mondo di della finanza (impossibile non pensare a quanto già visto in quel capolavoro di Martin Scorsese che è stato The Wolf of Wall Street).
In effetti, a detta dei creatori stessi della serie David Caspe and Jordan Cahan, l’idea pesca direttamente dall’immaginario sulla borsa ma è anche alimentata dall’esperienza che hanno avuto con il trading degli anni ’80. In particolare Jordan Cahan da bambino è cresciuto con il padre trader di futures su commodities che, dalla sera alla mattina, se l’affare andava a buon fine, si trovava a dover prendere un aereo da San Francisco a Chicago per poi tornare con aneddoti assurdi sugli eccessi di quel mondo, finiti ovviamente negli episodi del telefilm. La materia prima è quindi tanta e di qualità, garantendo la presa sul pubblico profano, mentre il modo in cui è confezionata offre delle chicche irresistibili per gli appassionati di finanza (alzi la mano chi si è emozionato vedendo programmare in VisiCalc). Vengono affrontati con pesata leggerezza argomenti tecnici che sono storicamente oggetto di dibattito nei salotti delle firm, quali il boom del program trading, le conseguenze dei meccanismi di stop-loss sulla liquidità dei mercati, il long trading, le problematiche di due diligence e overvaluation, l’attualissima questione della securitization e dei collateral, e chi più ne ha più ne metta.
Sicuramente il fine della serie non è quello di impartire lezioni di finanza, ma c’è l’intenzione di far riflettere sugli insegnamenti storici che ci derivano dal passato e che sono stati consapevolmente trascurati quando si è arrivati alla crisi del 2008 (dalla quale ancora, a differenza del Black Monday che durò qualche mese, l’economia globale non si è del tutto ripresa).
Mo: “Computers don’t make trading, men do.”
La critica non è nemmeno troppo implicita e s’intuisce facilmente dalla satira e dalle scelte caricaturali, si veda ad esempio il modo in cui vengono trollati Larry and Lenny Lehman. Oltretutto, la serie decide di porre l’enfasi sulle cause e raccontare gli eventi precedenti al Black Monday, in un vero e proprio countdown di un anno scandito dai titoli stessi degli episodi a partire dal pilot con “365”.
Showtime si mette quindi in bella mostra accettando questa sfida accattivantissima che è Black Monday, servita con un cast apparentemente ben scelto, condita con costumi da urlo e accompagnata, come ciliegina sulla torta, da una colonna sonora che fa ballare sulla sedia. Aspettiamo con enorme curiosità di vedere cosa verrà dopo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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365 1×01 | 0.32 milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.