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Strana e coraggiosa scelta, questa della DC/Warner.
Nello sterminato pantheon fumettistico da cui può attingere, la scelta di serializzare sulla sua piattaforma streaming (DC Universe) una serie tremendamente anticonformistica come è Doom Patrol, risulta essere molto interessante e degna di attenzione. Forse anche forte del successo di critica di una serie come Legion, di cui condivide l’anima decisamente alternativa rispetto alle ben più canoniche serie di supereroi viste su Netflix o su The CW.
Per chi non è appassionato di fumetti, Doom Patrol nasce più o meno negli stessi anni degli X-Men (1963), con cui condivide molte caratteristiche. A cominciare da un fondatore scienziato paraplegico, per passare ad essere costituito da un gruppo di freak tremendamente disfunzionali che vivono all’interno di una villa come se fossero una famiglia.
È soprattutto importante ricordare come nei tardi anni ’80 entrambe le serie accrescevano la loro fama: gli X-Men raggiungevano la vetta delle classifiche di vendita semplicemente proponendo storie avvincenti e profonde mentre la Doom Patrol passava sotto l’etichetta Vertigo e nelle mani del mago caotico scozzese Grant Morrison. Un nome sinonimo di sperimentazione al limite dell’estremo che ci ha regalato, insieme ad Alan Moore, le opere di riferimento del ventennio ’80/’90 per ogni appassionato di fumetto anglo-americano.
Cos’era Doom Patrol? Un concentrato di idee totalmente folli, al limite dell’assurdo, su cui era possibile leggere derive situazioniste condite con riferimenti pop art accompagnate da un mix di filosofia e fisica teorica. In sostanza, molto di quello che in qualche modo sarebbe stato proposto qualche anno più tardi, e tremendamente semplificato, su X-Files.
Il tema dell’essere diversi aveva compiuto un passo avanti rispetto agli X-Men. Se questi ultimi erano seriosi e cupi per molte delle loro storie, in Doom Patrol l’assurdità dei poteri e delle situazioni viene estremizzata, portando le trame verso territori mai visti prima. Signori del Nulla, Confraternite di dadaisti, universi pluridimensionali erano all’ordine del giorno, rendendo la serie di difficile lettura per chi non avesse voglia di mettersi in gioco ma in generale risultava molto divertente e stimolante.
Tutto questo preambolo serve per poter inquadrare, e in qualche modo giudicare, se questa riduzione televisiva c’entri qualcosa con il suo materiale di riferimento.
La risposta può essere affermativa e chi recensisce si ritiene soddisfatto.
I 5 personaggi che sostanzialmente saranno i protagonisti della serie, risultano tremendamente interessanti, non solo per i loro poteri sostanzialmente inutili e dannosi ma anche per le loro backstory. Sono freak veri e necessitano di vivere lontani dal resto del mondo perché il loro non è presente quella “coolness” che si può trovare negli X-Men, per quanto anche quest’ultimi non se la passino mai bene. Il Dottor Caulder sostanzialmente salva le vite di questi 4 personaggi di epoche diverse, condannandoli ad una vita di reclusione e allo stesso tempo regalandogli una vita che forse neanche sapevano di voler continuare a vivere.
Tra di loro, Robotman/Cliff Steele viene utilizzato per introdurre lo spettatore all’interno della serie. Un ex pilota di auto che a seguito di un incidente perderà la sua vita precedente e si ritroverà nel corpo di un rudimentale robot sul quale è stato trapiantato il suo cervello. Gli altri sono: Elasti-Woman/Rita Farr, ex attrice anni ’50 che perde il possesso della sua forma fisica a seguito di un contatto con una imprecisata entità in una palude; Negative Man/Larry Trainor, un pilota spaziale che viene investito da un’altra entità, stavolta cosmica, che gli brucerà il corpo ma gli permetterà di trasmigrare al di fuori di esso e, ultima, Crazy Jane/Kay Challis, con le sue 64 personalità, ognuna col suo potere specifico.
Insieme si trovano a formare una nuova famiglia e ad affrontare il nemico stagionale Mr Nobody, un’ombra creata dai nazisti rifugiatisi in Paraguay, che risucchia la sanità mentale delle persone che gli capitano a tiro.
Se quanto riportato sopra vi sembra assurdo, beh… lo è ma la serie mantiene un piglio narrativo interessante e non perde il focus mantenendo una sua personalità. Dialoghi e situazioni non vengono edulcorati per il pubblico e questo fa ben sperare per il suo proseguo. Il comparto tecnico regge bene anche se gli effetti speciali non sono la parte migliore. Diversa e interessante è la regia: decisa e vogliosa di sperimentare, visto il materiale alternativo che ha davanti.
A chi scrive ha fatto piacere rivedere Timothy Dalton che, insieme agli altri attori, regala un’interpretazione in parte. Da non sottovalutare l’ormai certezza Brendan Fraser, rinato come uno strano mix di attore drammatico e grottesco.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Va continuata la visione di questa serie? A giudicare dal pilot la risposta è decisamente affermativa. Potrebbe anche riservare sorpresa se mantiene la giusta irriverenza e sperimentalità. Questo pilot si merita il Save di Recenserie.
Pilot 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Dopo miliardi di ore passate a vedere cartoni giapponesi e altra robaccia pop anni ’80 americana, la folgorazione arriva con la visione di Twin Peaks. Da allora nulla è stato più lo stesso. La serialità è entrata nella sua vita e, complici anche i supereroi con le loro trame infinite, ora vive solo per assecondare le sue droghe. Per compensare prova a fare l’ingegnere ma è evidentemente un'illusione. Sogna un giorno di produrre, o magari scrivere, qualche serie, per qualche disperata tv via cavo o canale streaming. Segue qualsiasi cosa scriva Sorkin o Kelley ma, per non essere troppo snob, non si nega qualche guilty pleasure ogni tanto.