Piccolo disclaimer prima di iniziare: non importa che amiate i musical o li odiate con tutte le vostre forze, la visione del “Pilot” di Galavant deve prescindere dal mero gusto personale in fatto di musical per essere apprezzato per quello che è, senza pregiudizi. Fatta questa doverosa premessa si può cominciare a parlare di questa doppia series premiere.
Galavant può essere descritta come una serie fantasy/musical/comedy, oppure, più semplicemente, non può essere descritta. Sarebbe più corretto parlare del nuovo gioiellino di Dan Fogelman come di un esperimento televisivo in cui si riporta alla luce il genere medievale, genere in cui si narra le gesta del cavaliere di turno in forma di musical; tuttavia catalogare Galavant sotto “musical” sarebbe riduttivo, così come lo sarebbe farlo rientrare in qualsiasi tipo di categoria. E quindi? Se soffrite di un disturbo compulsivo/maniacale dell’ordine e non riuscite a venire a patti con questa non categorizzazione vedetela in questo modo: Galavant è il primo esemplare di una nuova specie, un nuovo prototipo.
La nuova serie partorita da quel genio incompreso di Dan Fogelman, affonda le sue radici nel genere cavalleresco provando ad imprimere una sua impronta creativa reinventando il genere. Per fare ciò, Fogelman non solo cambia il modo in cui narrare il classico “hero’s journey” giocando molto sulla comicità intrinseca ed inverosimile dei due protagonisti, Galavant e King “Dick” Richard, ma sfrutta al massimo delle sue possibilità il genere musical sia per raccontare in breve tempo il plot di partenza (5 minuti scarsi), sia per accelerare o decelerare il ritmo degli eventi creando quindi un escamotage per non essere limitati nella narrazione da tempistiche e location. In fin dei conti questo è esattamente il miglior modo possibile per non rimanere legati agli inesorabili cambi di scenario richiesti dal lento viaggio che il cavaliere compie in sella al suo cavallo ed al contempo sfruttare al meglio ogni possibilità. Nell’esempio pratico c’è quindi modo di raggiungere un non meglio precisato accampamento dove è in corso una competizione tra cavalieri, allenare Galavant per riportarlo alla possanza di un tempo, spostare Re e Regina da un regno all’altro e così via, il tutto senza dover dare alcun tipo di spiegazione: il sogno di ogni sceneggiatore.
In qualsiasi prodotto televisivo/cinematografico (compreso Shrek) o letterario (vedasi Orlando Furioso) che vede come protagonista un cavaliere nella sua armatura, il plot di base può assumere diverse sfaccettature ma, generalmente, vi è sempre il bisogno di compiere una missione e superare delle prove per testare corpo e spirito dell’impavido eroe. Le “tasks” che devono essere assolte sono per lo più sempre le stesse e si alternano tra il salvare una damigella in pericolo, il combattere un drago feroce e l’affrontare un altro cavaliere in un singolar tenzone, niente di più e niente di meno.
Galavant non sfugge a questo schema già rodato nei secoli ma non prova nemmeno a farlo in quanto vuole reinterpretarlo alla sua maniera e secondo le sue regole. Se quindi viene meno (almeno per ora) l’obiettivo di riconquistare la sua amata “rapita” dal malvagio re (King Richard), si fa però avanti la tematica della resurrezione dell’eroe come più volte ripetuto in “Joust Friend”: “any man can get knock down, the hero is the man who gets back up“. Galavant è un eroe distrutto dall’amore, sofferente da più di 1 anno per la scelta, molto moderna, di sposare King Richard per lusso e potere invece che rimanere con il “true love” e vivere il lieto fine tanto celebre quanto in voga nelle favole. Fogelman sovverte quindi l’ordine naturale delle cose per poi sguazzarci dentro: la scelta della bella Madalena è un nuovo modo per far intraprendere a Galavant un percorso di resurrezione della sua figura, creare un nemico da sconfiggere e al contempo lasciare viva, anche se flebile, la fiamma dell’amore che il protagonista prova ancora per la sua amata.
Era doveroso fare un excursus più profondo sulla “base storica” della serie prima di parlare d’altro perché, per quanto straniante e comica possa essere, Galavant nasconde la sua profondità dietro una facciata beona e scanzonata che porta a vedere lo show come una macchietta, cosa che in realtà non è. L’emblema di questa maschera burlona è senza ombra di dubbio il King Richard di Timothy Omundson, un attore ben noto ai fan di Psych ma anche a quelli di Supernatural, che qui, attraverso una mimica facciale strepitosa, regala al suo personaggio quel tocco in più di eleganza e follia che lo rendono fin da subito meritevole di applausi. A supportare Omundson nelle gag comiche c’è ovviamente il misconosciuto Joshua Sasse nel ruolo di Galavant che, a dir la verità, risulta un po’ impacciato in questo ruolo, ma soprattutto il duo composto dall’ex calciatore del Chelsea Vinnie Jones, qui nel ruolo della guardia del corpo Gareth, e dal nuovo chef del castello Darren Evans. Non si discute che per ironia e irruenza scenica il trio composto da King Richard-Gareth-Chef sia quello che più cattura, però, magari con un po’ di pazienza, quando anche Sasse si sentirà più a suo agio con addosso un’armatura, Galavant riuscirà a dare il meglio di sé. Ad ora, pur riuscendo discretamente bene nella parte di protagonista, si ha la netta sensazione che possa dare di più, questo escludendo tutta la parte di musical in cui canta e dimostra la sua bravura.
Il casting di ciascun character è stato fatto con più di un occhio puntato alla bravura nel cantare e ballare e bisogna ammettere che, pur puntando su attori sconosciuti al pubblico, le scelte fatte risultano corrette e molto adeguate a quanto viene richiesto dalla serie. Pur non parlando di un Glee, Galavant necessita di attori poliedrici che riescano a cantare sia mentre simulano un combattimento, sia mentre trottano a cavallo e quindi, di fronte a quanto assistito in entrambi gli episodi, non possiamo che apprezzare sia la bravura degli stessi attori, sia il casting fatto da Fogelman.
Galavant è un prodotto fresco, divertente ma soprattutto diverso; poco importa se viene usato come tappabuchi in attesa del ritorno del più celebre Once Upon A Time, è comunque una serie (molto breve visti gli 8 episodi prodotti) che merita di essere vista da chiunque, a prescindere che i musical piacciano o no.
In occasione di questa attesissima serie TV, RecenSerie vi regala dei piccoli, quanto non necessari, approfondimenti di natura musicale sulla scia di una nostra ben più celebre rubrica.
Inutile soffermarsi più di tanto a parlare dell’ottima realizzazione sonora delle canzoni, sia da un punto di vista di arrangiamento, sia da un punto di vista esecutivo. Le voci degli attori risultano intense al punto giusto e capaci di delinearsi in diversi risultati timbrici. “She’ll Be Mine” cantata dal Re nel “Pilot” è forse quella che risulta meno esplosiva, dopo averla confrontata con l’incisivo intro. Ciò non toglie l’estrema particolarità e originalità melodica.
A proposito del tema principale: è possibile ascoltarne riprese nei momenti recitati della 1×01, molti dei quali eseguiti con la chitarra classica e in forma “spagnoleggiante”. Il tema del protagonista infatti va a fondersi con quello che è il carattere della descrizione musicale della principessa di Valencia, a sottolineare l’interazione tra i due personaggi. In maniera quasi caricaturale, nonché forse anacronistica, la nobile spagnola viene sempre presentata con musiche evocanti la regione iberica. In particolar modo è riconoscibile una Habanera ricorrente (ecco un esempio celebre della danza in questione).
In “Joust Friend” viene rivelato un interessantissimo particolare sulla natura di Galavant. La canzone presente durante l’allenamento del cavaliere rompe gli schemi tipici del musical. Non bisogna considerare tanto il fatto che non sia uno dei personaggi a cantare, in quanto anche la primissima canzone risulta cantata “fuori campo” (salvo poi scoprire si tratta del giullare, come il celebre gallo del disneyano Robin Hood); ciò che colpisce è il carattere della canzone. Con un arrangiamento pesante e “duro”, lo spettatore viene proiettato in un’atmosfera molto più simile a quella dei cartoni animati, anche per le tematiche suggerite. Se da un punto di vista musicale la canzone può apparire una caduta di stile, se confrontata con le ben riuscite musiche finora presentate, a livello umoristico la realizzazione è soddisfacente, nell’ottica di una messa in scena dissacrante e demenziale.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Il voto finale è una media tra il 4,5/5 che meriterebbe il “Pilot” ed il 3,5/5 che merita “Joust Friend”.
Pilot 1×01 | 7.42 milioni – 2.0 rating |
Joust Friend 1×02 | 7.42 milioni – 2.0 rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.