“Chapter 1”, l’episodio pilota della nuova serie FX basata sul personaggio Marvel Comics Legione, non è una puntata difficile da capire, però ha un problema: non è spiegabile a parole. L’unica soluzione per poter comprendere appieno ogni nostra parola è guardarsi prima il pilot e poi tornare su queste coordinate. Tuttavia siamo consapevoli di un inghippo. Infatti è probabile che, anche dopo aver visto l’abbondante ora di puntata e aver letto la recensione, la vostra miglior reazione sia analoga a quella di Sergio Vannucci nel film di Boris. Se annuite soprattutto sul “Io non c’ho capito un cazzo“, state tranquilli: Noah Hawley e soci l’hanno fatto apposta.
Come detto prima, Legion è la serie tv incentrata su David “Legione” Haller, figlio di Charles Xavier degli X-Men e mutante dai poteri tendenzialmente telepatici. Diciamo tendenzialmente poiché David soffre di una malattia mentale molto grave, ovvero il disturbo dissociativo della personalità, cosa che porta Haller a manifestare personalità multiple, ognuna delle quali controllante un super-potere diverso. In parole povere, Legione è una persona che dire incasinata è un complimento. E questo è il presupposto da cui parte la serie.
Per chi ha visto la prima stagione di Preacher, “Chapter 1” è subito paragonabile al pilota della serie AMC che si era principalmente preoccupato di tradurre televisivamente l’irriverente verve del fumetto di Garth Ennis e Steve Dillon. Così facendo, anche se costretti a pesanti rivisitazioni, l’adattamento della AMC avrebbe comunque mostrato elementi familiari e rassicuranti ai fan di Preacher dimostrando di aver interiorizzato il senso della serie a fumetti. FX segue lo stesso esempio e, più che costruire una storia, con questa series premiere si preoccupa di tradurre in termini televisivi la malattia mentale di Haller, cercando di dare allo spettatore un assaggio di cosa prova il protagonista ogni minuto della sua esistenza. Anche perché la sua malattia è l’elemento su cui gli autori hanno lavorato di più, dal momento della sua creazione in poi, rendendola la caratteristica più riconoscibile del personaggio (quindi era giusto partire da li). Così facendo, agli spettatori viene dato qualcosa di molto superiore al mero intrattenimento: un’esperienza. Capito questo, si possono capire tutte le altre scelte di regia e sceneggiatura, come una certa onestà di fondo nella sua profonda disonestà.
La serie parte giocando a carte scoperte descrivendo subito il protagonista – interpretato da uno strepitoso e magnetico Dan Stevens, l’ex Matthew Crawley in Downton Abbey – come un malato mentale e, di conseguenza, come un narratore inaffidabile al pari di un Barone Münchhausen. Al contrario di una serie come Mr. Robot, dove i problemi mentali di Elliot vengono nascosti e usati per portare allo spettatore dei colpi di scena, Legion non mente chiarendo subito che quello che Haller vede è una potenziale bugia. La visione di se stesso, del mondo e delle persone che lo circondano è profondamente distorta dal suo malessere che viene trasmesso al pubblico con la miglior interpretazione che il suo distorto cervello può elaborare. Per questo, al fine di sottolineare e valorizzare al meglio la realtà che David percepisce coi suoi inaffidabili mezzi, tutto il contesto che lo circonda deve essere cambiato e reso volutamente allucinato, confusionario e spiazzante. Allo scorrere del tempo non viene data una precisa cadenza, il passaggio tra un evento e l’altro è improvviso e a volte questi si sovrappongono, come se le sequenze avvenissero contemporaneamente ma su due piani diversi della realtà. Tutto ciò contribuisce a creare un senso di disagio e alienazione che porta veramente alla follia, poiché la logicità della narrazione è completamente persa e intorpidita dall’assenza di sanità mentale, oltre che dai più comuni punti di riferimento sensoriale.
“Is this… Is this real?”
A rendere ancora più concreto il disagio mentale abbiamo gli elementi fumettistici provenienti dall’Universo Marvel. Per sentirsi, il legame col mondo dei mutanti e degli X-Men si sente, ma è come uno di quei rumori in lontananza di cui si percepisce per un attimo solo il suo eco. Il ruolo del governo, il contesto mutante, il fatto che Haller sarebbe il figlio del Professor Xavier, tutto ciò esiste sullo sfondo, come caratteristiche superflue o comunque non necessarie al momento. Addirittura non si capisce nemmeno in che universo narrativo sia ambientato il serial, se in quello degli X-Men della FOX o dei Marvel Studios (anche se per certo non può essere quest’ultimo, visto che le proprietà intellettuali dei mutanti appartengono a FOX).
Premesso questo, si spiegano tutti gli elementi e le sequenze più riconoscibili della puntata, come l’ambientazione Anni ’60 e una regia e fotografia alla Stanley Kubrick. Partendo dalla seconda, se l’obiettivo era proprio quello di creare un viaggio nel cervello di Legione, incentivare di più la regia piuttosto che i dialoghi è stata la scelta giusta. Sotto questo aspetto, Noah Hawley (qui anche nel doppio ruolo di showrunner e regista) si presenta come facente parte di una seconda generazione di ideali successori della scuola di Kubrick, prendendo spunti ed insegnamenti non solo dall’ideatore di questo stile, ma anche dai suoi successivi “allievi” come Wes Anderson. Nella regia e nella sceneggiatura di Hawley c’è tantissimo sia di Kubrick che di Anderson, dove i dialoghi diventano dosati col contagocce e studiati per essere più incisivi possibile, lasciando però uno spazio maggiore alla regia munita di tutto il corollario delle tecniche Kubrickiane, come lente scene prolungate, angolazioni estreme, carrellate lunghe e via dicendo.
Il periodo storico degli anni ’60, invece, è stato scelto più che altro per la sua famosa tradizione legata al rock psichedelico, aumentando così l’alterata percezione sensoriale dello spettatore. Ne sono una prova, non solo le canzoni provenienti da quel periodo (azzeccatissima l’apertura con uno dei primi lavori degli Who), ma anche una diretta citazione presente nel personaggio interpretato da Rachel Keller, che porta il pesante nome di Sidney Barrett, evocando così Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd. La stessa colonna sonora, curata da Jeff Russo, ha numerose influenze del celebre Dark Side Of The Moon. In più, se li si guardano bene, i Fabulous ’60 non sono propriamente loro, quanto più una rielaborazione degli stessi apportata da Legione, visto che si possono trovare al loro interno molti elementi moderni. Una possibile spiegazione può essere data dal fatto che è David stesso che ha deciso di rielaborare l’aspetto delle cose con una visione così ibrida, forse perché più a suo agio così.
Dopo tutte queste parole, sembrerà che abbiamo inquadrato la serie. Non è così. Si è forse inquadrata la sua forma, il suo stile e come si sia presentata al pubblico, ma di sicuro il serial non l’abbiamo inquadrato. Per merito di tutte le caratteristiche sopra elencante, Legion si presenta come una serie costantemente imprevedibile e intrisa di avvenimenti che lo spettatore non può prevedere, un po’ per i colpi di scena veramente inaspettati, un po’ perché suggestionati dal fatto che nemmeno il protagonista sa quello che sta accedendo (e, a maggior ragione, se sia reale o meno). Quando sembra che il pubblico abbia decifrato l’identità dello show, ecco spuntare fuori un personaggio che ribalta le convinzioni, come il grassone dagli occhi gialli, oppure quel potere che David, o chi per lui, sembrava non avere, dando vita a sequenze narrative azzardate ma di grande impatto scenico, come quella del bacio con Syd.
Così facendo, verità e falsità si confondono, dando vita ad un prodotto televisivo che regala più di semplici momenti di intrattenimento. Congratulazioni, per 67:30 minuti siete stati un personaggio inventato con seri problemi esistenziali.
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Chapter 1 1×01 | 1.62 milioni – 0.7 rating |
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