Quando si tratta di recensire un telefilm come Louie non è mai semplice fornire un’interpretazione oggettivamente corretta di quanto visto, questo perché la serie il più delle volte viaggia a ridosso della linea di confine tra realtà oggettiva e realtà soggettiva. È ormai assodato che lo spettacolo si configuri come una specie di racconto autobiografico, esaminando sì tematiche comuni a noi tutti, ma sempre dal personalissimo punto di vista di Louie. Se dovessimo trovare un legame tra i due episodi, certamente potremmo ricercarlo nell’inadeguatezza, in “Untitled” riconducibile alla mancanza di empatia verso il prossimo, in “Sleepover” invece legata all’inevitabile crescita dei propri figli e dunque al conseguente sentimento di rassegnazione dovuto all’inesorabile trascorrere del tempo. Tematica peraltro già introdotta all’inizio di “Cop Story“. Non è però sul legame tra i due episodi che vogliamo soffermarci, ma bensì sulle differenze, sia estetiche che tematiche.
Una prima differenza sta nella linearità, totalmente assente in “Untitled”, dove ci ritroviamo perennemente in dubbio su quale sia la realtà e quale il sogno, e invece elemento trainante in “Sleepover”, che potremmo quasi suddividere in tre atti distinti: il pijama party, il contatto con Pamela e la gita in prigione. Un’ulteriore discrepanza è riscontrabile nello stile: nella quinta in linea con i precedenti episodi, quindi contraddistinta da quel lato grottesco diventato simbolo distintivo della serie, e nella sesta invece molto più vicino alla comedy classica, ma con situazioni comiche costruite seguendo un approccio più olistico, riconoscendo così che ogni individuo è molto più della somma delle sue singole componenti e che non è possibile determinare il significato di una situazione apparentemente isolata, essendo in realtà dipendente dalle esperienze che l’individuo costruisce nel corso della propria esistenza.
Per quanto riguarda le tematiche, come già detto in precedenza, abbiamo prima una delle questioni maggiormente trattate in questa stagione, appunto l’incapacità da parte di Louie di mostrare empatia. In “Potluck” il protagonista si dimostrò gentile con la povera Julienne, andando in qualche modo contro al suo consueto modo di agire (anche se personalmente ritengo che le parole gentili fossero fin dal principio un espediente per fare leva sulla fragilità della donna e arrivare così al sesso, nonostante Louie affermasse il contrario), ma poi, quando situazioni simili sono state riproposte in “À la carte“, “Cop Story” e “Bobby’s House“, rispettivamente con Bart, Lenny e Bobby, l’handicap emotivo di Louie è emerso in maniera dirompente, palesando la sua insofferenza nei confronti degli altrui problemi. Questo handicap diventa anche la causa dei suoi incubi ricorrenti, all’interno dei quali “la bocca” assume un significato centrale. Lo strano essere che tenta di divorare il protagonista, oppure le dita sulle labbra di Bobby per fermare il suo “Bro” prolungato, o ancora il morso della signora alla mano di Louie. Una serie di individui che in un modo o nell’altro vogliono qualcosa da lui, vogliono letteralmente consumarne una parte. In questo senso appare significativa la frase detta a Jane riguardo le aragoste: “That’s not somebody, that’s just food. Those people are food“, ennesima riprova del suo fallimento emotivo, e giunta subito dopo la copertura in stile “sacco nero” operata su Barbara.
Empatia significa entrare in contatto con un altro essere umano, comprenderne lo stato d’animo, e questo per Louie non solo è difficile, ma è addirittura fastidioso. Una reticenza che in fin dei conti non è del tutto immotivata se vista in relazione ai pochi momenti in questa stagione nei quali il protagonista ha provato a relazionarsi con individui in difficoltà, prima finendo con l’essere aggredito da Marina in ospedale, e poi finendo per essere picchiato in mezzo a una strada da una sconosciuta. Questa volta però fare la cosa giusta porterà finalmente giovamento al
povero Louie, finalmente libero dai suoi incubi e in pace con se stesso.
“I hate those dying babies, why don’t they just die?
Their smiling faces give me diarrhea,
please die you dying babies, in my diarrhea,
my dreams, my dreams, my dreams…”
La canzone che accompagna gli ultimi minuti dell’episodio non fa altro che confermare il genio di CK (la scelta delle parole non poteva che essere sua), in grado di creare grazie al contrasto tra voce soave e testo oltremodo grottesco, un’atmosfera di tranquillità misto disagio durante la quale lo spettatore non sa se essere sollevato per la ritrovata quiete di Louie o inorridito dalle parole del brano. Un brano che potremmo sforzarci di interpretare, ma che molto probabilmente il comico avrà composto per farsi due risate proprio alle spalle di chi cerca un significato profondo anche in “bambini morenti che muoiono nella diarrea”.
In “Sleepover” il tema invece è molto più immediato, volendo l’episodio concentrarsi solo ed unicamente sulla vita di Louie, in particolare sugli aspetti più intimi e personali. Non a caso nel corso della sigla d’apertura non vi è la consueta camminata del protagonista all’interno del Comedy Cellar e durante l’episodio non vi è alcuna sequenza di stand-up, quasi a voler annullare gli eventi legati alla sua vita professionale.
Nel corso dell’episodio molti elementi convergono verso un unico punto, già citato in precedenza, cioè l’ansia di Louie nel veder crescere le sue bambine. Quando Lilly afferma che nessuno uccide o stupra il sabato mattina, suo padre impazzisce letteralmente, spaventato solo nel sentire quelle brutte parole. Arrivando anche a mentire goffamente a Jane sulla definizione di “stupro”: “It’s just bad, a bad thing, about bad things. Financial things“. Durante il pijama party, quando Louie si barrica dentro la sua camera da letto, quel comodino posto davanti alla porta e quella mazza da baseball assumono i connotati di veri e propri demarcatori tra gioventù ed età adulta. Il protagonista diventa così il guardiano della stanza, impedendo alle ragazzine di varcare quella soglia, alzando la sua mazza da baseball in maniera autoritaria e cacciandole via con la più innocua delle intimidazioni: “Go! Get out, have fun!“. Jane ha solo dieci anni, è solo una bambina, eppure attorno alla festa di compleanno finiscono per ruotare le tematiche più disparate: divorzio, sesso, crimini, l’andare in prigione, tutte cose estremamente lontane dalla vita della bambina, eppure tremendamente vicine, a dimostrazione del fatto che il mondo degli adulti si trova proprio lì dietro l’angolo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Bobby’s House 5×04 | 0.58 milioni – 0.2 rating |
Untitled 5×05 | 0.36 milioni – 0.1 rating |
Sleepover 5×06 | 0.41 milioni – 0.2 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.