Giunti al secondo capitolo di questo Narcos 2.0 post-Escobar ci si può tranquillamente permettere di confermare i primi dubbi e perplessità, ben esplicati nella precedente recensione, circa la pesante assenza del character di Wagner Moura in una serie che, diciamolo, funzionava proprio grazie alla presenza del Re della cocaina. Nonostante siano trascorse poco meno di due ore di girato dal “riavvio” stagionale, risulta pressoché impossibile esprimere un giudizio che non risulti naturalmente fuorviato dal fattore nostalgia suscitato dalla suddetta mancanza, dunque occorrerà armarsi di una buona dose di oggettività per poter giudicare la serie per quello che è: uno show nato per raccontare storie di narcotrafficanti, Narcos appunto, dei quali Escobar rimarrà sempre il Re incontrastato e al quale, ovviamente, è stato conferito l’onere e l’onore di aprire le danze allo scopo di donare alla serie il giusto appeal per consentirle così di diventare il fenomeno televisivo globale che è attualmente. Intenzione facilmente intuibile dal nome stesso della serie, volutamente lasciato generico per poterne sfruttare le potenzialità una volta esaurita la fiamma diegetica alimentata per due stagioni dalla mastodontica figura di Pablo.
Consapevole della pesante sfida, il team capitanato dal nuovo showrunner Eric Newman sembra comunque aver affrontato con successo la sfida del post-Escobar, compiendo un buon lavoro sulla costruzione delle personalità che hanno in qualche modo raccolto l’eredità del Re del narcotraffico ed evitando di far gravare sulle sole spalle di Pedro Pascal – insieme a Shea Whigham (Boardwalk Empire, Fargo, True Detective) ed Brett Cullen (Lost, Person Of Interest, Under The Dome) una delle poche facce conosciute dai divoratori seriali – la responsabilità di reggere da solo il peso di uno show che ha costruito gran parte della sua popolarità sul fascino intrinseco dei suoi protagonisti. Nonostante la caratterizzazione distintiva conferita ai diversi protagonisti, buoni o cattivi che siano, l’assenza di un character carismatico dotato di una presenza scenica come quella di Moura, che si potrebbe definire centripeta rispetto all’opera di Brancato e colleghi, finisce per spingere la serie, in più di un’occasione, oltre i limiti della “zona sbadiglio”, in particolar modo nella prima metà dell’episodio, costringendo lo spettatore al compulsivo controllo della timeline di Netflix nella speranza che l’agonia termini o che, quantomeno, qualcosa accada. Fortunatamente nella seconda metà dell’episodio i ritmi diegetici subiscono un netto scossone, culminando poi con la breve ma intensa sparatoria che sancisce, attraverso la più classica faida tra nuova e vecchia guardia, l’inizio dell’ascesa del Cartello di Cali in territorio americano. Oltre che conferire al personaggio di Santacruz Londono quel valore aggiunto in termini di carisma che attualmente è ancora difficile reperire tra le fila dei cattivi.
In sostanza, “Cali KGB” si configura come il più classico degli episodi di transizione, meglio ancora di preparazione. Il plot narrativo ben delineato in “The Kingpin Strategy“, costruito al fine di analizzare i mutamenti negli equilibri storici e sociali del post-Escobar, oltre che per marcare le divergenze tra lo spirito popolare del cartello di Medellin e l’organizzazione capillare guidata dal fiuto imprenditoriale dei fratelli Rodriguez e colleghi, trova in questo secondo capitolo la sua naturale continuazione. Un secondo capitolo che aggiunge poco a quanto visto nella premiere e che sembra avere sostanzialmente un compito: quello di dare una spinta, seppur flebile, alla macchina narrativa avviata timidamente nel precedente episodio, decisamente troppo lento e a tratti eccessivamente didascalico, facendo leva sulla rievocazione delle dinamiche già viste nelle precedenti stagioni. In particolare emerge la lotta impari che vede da un lato i cosiddetti tutori della legge e dall’altro criminali e uomini corrotti (o ricattati), nucleo centrale della narrazione nonché punto di partenza per l’ennesima caccia all’uomo che Peña sembra voler attuare grazie all’aiuto dell’agente Feistl, personaggio emblematico di quell’ambizione e di quel senso civico che nelle precedenti stagioni era incarnato dalla figura di Steve Murphy e che, in questo finale di puntata, rappresenta l’inizio simbolico della lotta al Cartello di Cali.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Kingpin Strategy 3×01 | ND milioni – ND rating |
Cali KGB 3×02 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.