Monroe Stahr: “‘No’ is supposed to make you work harder, George. ‘No’ is what keeps us from embarrassing ourselves. You writers get mixed up because you think all this is personal: hating people and worshiping them, sometimes in the same breath. And expecting them to worship you. You just ask to be kicked around.
I like people, and I like them to like me. But I keep my heart where God put it: on the inside.”
The Last Tycoon fa parte del progetto annuale di pilot che Amazon produce e tra i quali, successivamente, seleziona i più meritevoli (e commercialmente spendibili) per una completa produzione e conseguente messa in onda: la serie che ha come produttore esecutivo Billy Ray vedrà la luce solamente a fine luglio, nonostante il pilot fosse stato reso disponibile già un anno fa.
La serie si presenta come un progetto ambizioso e con uno stile volutamente ricercato e ben costruito: partendo dalla gestione delle scene, fino ad approdare nel campo del sottofondo musicale, la serie sembra voler mostrare a tutti i costi la passione per il bello e la lussuosa vita delle star all’interno del mondo di Hollywood (di contrasto alla vita nella bidonville adiacente lo studios, utile a fare da contraltare allo sfarzo a tratti opprimente).
The Last Tycoon è basata sull’ultimo ed incompiuto romanzo di F. Scott Fitzgerald, successivamente completato e pubblicato postumo, e accoglie a braccia aperte due diverse strutture narrative che la identificano: la prima di carattere storico relativamente al contesto ed al richiamo del patto tra Hollywood ed il Reich; la seconda di carattere puramente drama con qualche (in determinate scene eccessivo) accenno di melanconico romanticismo.
Il pilot pone come punto iniziale della sua narrazione l’anno 1936 e, tramite il fittizio personaggio di Monroe Stahr (interpretato da Matt Bomer: American Horror Story e White Collar), cerca di mostrare la delicata posizione nella quale gli studios si pongono nei confronti di Hitler per evitare di perdere l’intera fetta tedesca del mercato cinematografico tedesco. Il Reich vuole sorvegliare da vicino i principali studios cinematografici per assicurarsi che i film non presentino negative caratterizzazioni rivolte all’apparato tedesco o al suo popolo. Per fare ciò viene inviato un consulente, Georg Gyssling (persona realmente esistita), a cui verrà sottoposta ogni pellicola pronta alla produzione per ricevere il definitivo via libera. La Germania degli anni trenta aveva visto la sottomissione della cinematografia rispetto alla propaganda (il cui ministro era Joseph Goebbels) e ciò aveva comportato diverse drastiche conseguenze: gran parte degli attori e produttori in contrasto con il regime avevano abbandonato la Germania; gran parte dei film non rispecchiava le direttive del neonato Reichsfilmkammer (un’associazione ufficiale per gli addetti al settore, ovviamente di fedelissimi ad Hitler). A causa dei due fatti appena elencati, il cinema tedesco degli anni del regime non riusciva nemmeno a coprire la metà dei costi della produzione: nel 1937 si arrivò ad un rapporto costi-ricavi di 100 a 7. Soppesando quindi questi fattori appare chiaro quanto fosse fondamentale per la Germania poter contare su una fonte cinematografica esterna, ma che seguisse comunque le direttive imposte dal Reich.
Dal lato opposto, gli studios americani erano timorosi di perdere una fetta di mercato che altri concorrenti si sarebbero poi accaparrati senza fatica: il fugace denaro portò molti presidenti di studios ad accettare i dettami di Hitler, nonostante fossero essi stessi ebrei.
Questo patto verrà meno dopo i fatti di Pearl Harbor.
Accantonata la questione meramente storica, The Last Tycoon presenta una parallela trama dalle chiare tinte drama a cui non mancano venature di romanticismo: Monroe Stahr dopo la scomparsa della moglie, l’attrice Minna Davis (interpretata da Jessica De Gouw: Arrow e Dracula), cerca di farla rivivere in un film-documentario che proprio a causa del recente patto con il Reich dovrà essere cancellato. Monroe Stahr è un personaggio felicemente malinconico: il suo perenne sorriso e la sua bontà d’animo riescono a celare il dolore e la tristezza per la morte della moglie che ancora lo assillano. Durante un dialogo presente all’interno del pilot viene propriamente descritto così: “You know, the thing about Monroe is he’s broken in a way“.
Nonostante i personaggi secondari vengano a tratti banalmente abbozzati o puramente presentati, The Last Tycoon riesce a reggere benissimo la scena grazie anche all’ottima prova di Matt Bomer che veste i panni di Monroe in maniera sublime, riuscendo a far cogliere appieno allo spettatore quel suo silenzioso dolore prima ancora che egli stesso lo confessi apertamente.
Il cast può contare, oltre al talento del già citato Bomer, di altri nomi ben conosciuti: Kelsey Grammer (Cheers, Frasier e Boss), Rosemarie DeWitt (La La Land, Mad Men e prossimamente anche in Black Mirror), Dominique McElligott (recentemente apparsa nelle vesti di Hannah Conway in House Of Cards), Bob Gunton (Le ali della libertà, 24 e Daredevil), Brian Howe (Westworld, The Newsroom, Master Of Sex) e Kerry O’Malley (Shameless US, Boardwalk Empire e Hart Of Dixie).
Le parole fino a qui spese potrebbero portare a pensare che The Last Tycoon non presenti alcun difetto ma purtroppo due grosse pecche potrebbero farlo rimanere un serial regalo della zia: uno di quegli oggetti belli esteticamente ma che difficilmente metteresti mai in bella vista se qualcuno dovesse venire a farti visita.
Il primo di questi difetti è la prolissità e lunghezza della puntata che dilazionano talmente tanto determinate scene da rendere complicata la visione dell’episodio. Il secondo è la nicchia di spettatori ai quali si riferisce. Sia ben chiaro: la serie è oggettivamente impeccabile sotto molti aspetti, ma questa bellezza potrebbe non bastare per sfondare se l’audience a cui si punta è esigua.
Perché, come viene giustamente ricordato all’interno del pilot: “You can’t have art without commerce, Monroe.”
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.