Urban Myths 1×01 – Bob Dylan: Knockin’ On Dave’s DoorTEMPO DI LETTURA 5 min

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“How does it feel?”

Sono sempre più numerosi i casi di serialità televisiva in cui si cercano strade diverse di narrazione per soddisfare uno spettatore saturo di qualsiasi tipologia di storia e di genere. Gli inglesi sono i migliori nel ricercare un format che possa aggirare i canoni della serie televisiva standard, addentrandosi in esperimenti tali da far suscitare una domanda: “ma perché?”.
Forse tutto è stato già raccontato? E allora perché non mostrare proprio il “già raccontato” per eccellenza come le leggende metropolitane? Con la sprezzante sicurezza di chi sa di essere bravo, Ben Palmer, con il patrocinio di Sky Arts, si prende la libertà di non sprecare il minimo sforzo nella creazione di personaggi accattivanti, efficaci e che possano catturare le simpatie del pubblico. Semplicemente perché usa figure che non possono non essere conosciute. Personaggi che hanno impiegato decenni della loro carriera per crearsi cotanta aura risparmiano, così, la fatica di creare basi inedite su cui lavorare per una serie di 20 minuti ad episodio.
Il Bob Dylan di Eddie Marsan appare estremamente efficace nel trasmettere quel senso di estraniazione ed eccentricità di veri e propri santoni. Inizialmente si potrebbe pensare che l’evento narrato sia un presunto viaggio in Inghilterra del noto folk singer in cui nessuno lo riconosce (come poi avviene con l’impiegata dell’aeroporto, con il tassista e con Ange), salvo poi rivelare il vero soggetto dell’episodio: Bob Dylan va dal Dave sbagliato e passa un intero pomeriggio a casa di sconosciuti, portandoli a fare un passo decisivo nella loro relazione.
Tornando al tipo di format proposto, risulta evidente come si sia scelto un tipo di ripartizione degli episodi esente da rischi. Il formato antologico è una via sempre più battuta nelle produzioni britanniche. A partire dal celebre Black Mirror, fino al meno conosciuto – ingiustamente – Inside No.9, la scelta di isolare ogni singolo episodio garantisce la possibilità di non abbassare mai il tiro per quanto riguarda la qualità proposta. In ogni puntata si esprime tutto ciò che si vuole esprimere, semplicemente perché vi è un inizio e una conclusione, come fosse una serie nella serie.
Nel caso delle due produzioni britanniche sopra citate, però, è possibile individuare un filone narrativo interno, costituito da un inizio, uno svolgimento e una fine, con relativi capovolgimenti di fronte e effetti sorpresa. “Bob Dylan” sembra porre Urban Myths in un altro piano ancora: l’episodio intero è un continuo e bizzarro dialogo, quasi ad omaggiare la leggendaria figura che si è recentemente permessa di non andare a ritirare un premio Nobel. Se in Inside No.9 la dimensione teatrale prende il sopravvento per la sua struttura quasi da bottle episode (episodio interamente girato in un unico ambiente chiuso con un numero limitato di personaggi), in questo caso il passo è ulteriore. Non vi è un solo ambiente chiuso perché gli ambienti mostrati sono diversi, è impossibile però non notare come l’intimismo sia portato a livelli estremi. In tal senso non è detto che il linguaggio proposto possa essere accettato da tutti.
Interessante notare come l’estrosa personalità di Bob Dylan sia tratteggiata anche facendo leva su una tappa chiave della sua storia artistica: nato come “menestrello” folk, con l’uso quasi totale di sonorità acustiche, Bob creò una spaccatura nei suoi fan quando, nel 1965, presentò “Bring It All Back Home”, primo singolo caratterizzato da una svolta rock, con l’uso di strumenti elettrici. Nell’immaginario popolare, dunque, non vi è un solo Bob Dylan. Assolutamente significativo, quindi, quando Bob, indicando la copertina di “The Freewheelin’ Bob Dylan” (LP del 1963, del periodo acustico), parla di sé in terza persona.
Un elemento è sicuramente degno di riflessione. L’interpretazione di Eddie Marsan ovviamente va applaudita anche solo per la personalità nell’interpretare una figura non da poco (già più volte interpretata, ricordiamo il lungometraggio “I’m Not There”). Togliendo la solita perplessità sull’accento americano che gli attori britannici tentano di riprodurre (ma si rischia di sconfinare nel soggettivo), è innegabile che il tipo di impostazione nella riproduzione delle celebrità tocca il caricaturale. Se la caricatura di Bob Dylan è a dir poco affettuosa, occorre però chiedersi cosa potesse mai esser stato detto a Joseph Finnies nel tratteggiare l’interpretazione di Michael Jackson. È difficile trarre conclusioni senza aver visto l’episodio incriminato ed eliminato dalla programmazione, ma questa prima immagine eccentrica e sognante di Robert Zimmerman dà da pensare, se rapportata a come l’immaginario popolare concepiva la compianta pop star.
Avremo ulteriori indizi sulla questione vedendo cosa avverrà nei prossimi episodi, tutti incentrati su personaggi radicalmente differenti, di epoche diverse, di campi diversi.
Forse l’Hitler di Iwan Rheon sarà portatore di risposte definitive.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Dimensione intimista
  • L’idea della serie in generale
  • Il Bob Dylan di Eddie Marsan
  • Dave escluso, nessuno riconosce Bob
  • Il “Judas!” sussurrato da Bob nel vedere il 33 giri del suo rivale Donovan
  • La durata dell’episodio è perfetta per il tipo di linguaggio espresso
  • Lo stile potrebbe non essere apprezzato da tutti

 

Tra le serie antologiche per episodio non si è citata la statunitense Documentary Now!, qui in RecenSerie molto apprezzata. Caratteristica di questa serie è quella di sfoderare le sue carte migliori a metà e alla fine della stagione, mai all’inizio, prediligendo una partenza più soft, utile a far immergere lo spettatore nel clima della serie.
Seguendo questa pista, c’è ragione di credere che i prossimi episodi regaleranno scintille. Pur non presentando difetti degni di nota, riserviamo un “misero” ringraziamento a “Bob Dylan” per averci aperto le porte di questa serie fiduciosi che, se le premesse sono queste, le benedizioni arriveranno molto presto.

 

Bob Dylan 1×01 ND milioni – ND rating

 

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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.

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