);

Homeland 4×11 – Krieg Nicht LiebTEMPO DI LETTURA 4 min

/
()
La chiave interpretativa dell’intero episodio, se non dell’intera stagione, è racchiusa in maniera neanche troppo velata all’interno del titolo scelto dagli autori, “Krieg Nicht Lieb”: la guerra non l’amore. Un rapporto, quello appunto tra guerra e amore, tra ragione e sentimento, che già era stato esplorato nel corso dell’ottava puntata, trovando la sua massima espressione nel dialogo tra Carrie e Quinn riguardo la totale assenza di arbitrarietà quando si tratta di compiere la scelta “giusta”. Da quell’episodio, è inutile dirlo, le cose sono molto cambiate. Potremmo dire ribaltate. In seguito al massacro di Haqqani all’interno dell’ambasciata, la trasformazione che più colpisce è sicuramente quella avvenuta alla drone queen, per la prima volta rassegnata agli eventi e decisa ad arrendersi. Ed ecco che Carrie si ritrova, in questa puntata, a fronteggiare due persone che si comportano nello stesso modo in cui avrebbe fatto lei fino a poche ore prima, prima che il fallimento oscurasse l’incredibile risolutezza che da sempre la contraddistingue. Prima Max e poi Quinn, due uomini decisamente agli antipodi, eppure mossi dallo stesso desiderio di giustizia, o per meglio dire, di vendetta.
Se da un lato abbiamo la trasformazione, per così dire in positivo, di Carrie, finalmente arrivata a porre un limite alla sua cieca perseveranza, dall’altro abbiamo il cammino opposto intrapreso dal suo collega, intenzionato a portare a termine il suo compito, andando anche contro le disposizioni della Casa Bianca, facendo “ciò che sa far meglio”. La figura di Peter Quinn è sempre stata contraddistinta da una forte conflittualità interiore circa il suo operato come agente della CIA. Il suo ritiro dai servizi segreti era stato in qualche modo impedito dalla stessa Carrie che l’aveva (ri)voluto al suo fianco, un ritorno che lo ha portato ad assistere alla sconfitta e allo sterminio dei suoi colleghi. È facile quindi identificarsi con Peter, un uomo pieno di dubbi e paure, ma allo stesso tempo ostinato e capace, che per la prima volta nella sua vita ha intenzione di prendere in mano il proprio destino e per farlo non ha paura di sporcarsi le mani, o peggio ancora, di finire ucciso.
Ciò che alla fine lo bloccherà non sarà la semplice richiesta da parte di una collega, perché Carrie per lui, e questo si sa, è ben più di questo. Nemmeno la motivazione più radicata potrebbe far commettere a Quinn un gesto del genere: Carrie rappresenta l’unico ostacolo al raggiungimento del suo obiettivo e allo stesso tempo l’unica persona che non sacrificherebbe per arrivarci. E con quel “Goddamn you Carrie“, che in qualche modo riporta alla mente lo stesso “Goddamn youpronunciato da Saul, sempre nei suoi confronti, durante la cattura da parte dei talebani, trova piena espressione la rassegnazione di Peter dinanzi all’impossibilità di portare a termine il suo piano.
La volontà della Mathison di porre fine all’ondata di massacro, che inevitabilmente il gesto di Quinn avrebbe alimentato, viene accompagnata dall’ennesimo lutto (necessario dopo la morte dell’attore James Rebhorn) tra gli affetti di Carrie. Un lutto che ha lo scopo di riportare il focus su una dimensione particolare, dando importanza alla singola perdita, permettendo allo spettatore di comprendere l’importanza dell’individualità dopo la scia di morte lasciata da Haqqani. Ed è proprio in questa logica che occorre guardare al gesto finale di Carrie, prontamente scongiurato da Aasar Khan, in quello che appare chiaramente come un deus ex machina narrativo per svelare il tradimento (o ennesimo doppio gioco?) da parte di Dar Adal. Un gesto che quindi va visto si come contradditorio, visto tutto il pippone fatto a Quinn dieci secondi prima, e forse anche un po’ forzato, ma che trova le sue motivazioni nel profondo senso di colpa nei confronti del povero Aayan, e quindi nell’importanza della singola perdita, forse quella su cui Carrie ha la maggiore responsabilità.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Il super piano di Quinn
  • “Quinn…we lost”
  • Dar Adal: spia o infiltrato?
  • Figlia di Carrie e Brody in versione mini-me
  • Il raptus finale di Carrie, scongiurato in tempo da Khan, è un po’ costruito

 

Ad un passo dal finale Homeland ci mette di fronte all’ennesimo caso di spionaggio/doppio gioco che (forse) troverà la sua soluzione nel season finale. A questo punto anche il ruolo di Haqqani viene messo in discussione, passando da leader incontrastato a possibile pedina di un gioco ben più strutturato. In conclusione, possiamo dire che anche questo undicesimo episodio è riuscito a confermare il livello già alto di questa quarta stagione, avallando il gran lavoro fatto sia a livello autoriale che registico.

 

13 Hours In Islamabad 4×10 1.94 milioni – 0.6 rating
Krieg Nicht Lieb 4×11 2.11 milioni – 0.7 rating

 

Quanto ti è piaciuta la puntata?

Nessun voto per ora

Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

Rispondi

Precedente

Recenews – N°46

Prossima

Black Mirror – Christmas Special: White Christmas

error: Nice try :) Abbiamo disabilitato il tasto destro e la copiatura per proteggere il frutto del nostro duro lavoro.