Il drogato cronico, totalmente assuefatto e schiavo delle serie tv, chiamato dai politicamente corretti con l’inglesismo “telefilm addicted” (per far vedere che lui/lei è uno/a di quelli/e da “evviva la globalizzazione”), vive sostanzialmente nel terrore. “La seconda stagione sarà bella quanto la prima? Il mio personaggio preferito vivrà a lungo? L’anno prossimo il network televisivo rinnoverà la stagione? Lo showrunner attuale non se ne andrà, vero? Il series finale sancirà una degna conclusione alla serie?”: queste sono solo alcune delle domande che tutti coloro che hanno deciso di appassionarsi alla serialità televisiva si sono posti almeno una volta nella vita. Domande forse frivole e dalla risposta non immediata, ma comunque legittime, perché mantra grandioso per esorcizzare la paura dell’incertezza. Noi di RecenSerie non siamo ipocriti e ammettiamo con leggerezza e sincerità di far parte del gruppo di persone descritto qui sopra; se poi si parla di True Detective le aspettative sono (ed erano) talmente alte da non poter rimanere impassibili e farci rinunciare a queste antipatiche domande, sopratutto quella che recita: “La seconda stagione sarà bella quanto la prima?“.
Il quesito espresso nella riga soprastante è molto pesante, non tanto per la domanda in sé, quanto perché, in questo caso, è piuttosto fuori luogo. True Detective è una serie di stampo antologico (come American Horror Story) e quindi per il suo format è chiamata a rinnovare interpreti e storia ad ogni nuova stagione; dunque è nel DNA della serie lo sforzo di dissociarsi totalmente dal precedente capitolo del serial per raccontarne uno totalmente nuovo e slegato da quello già narrato. Purtroppo per noi “telefilm addicted” fare questo sforzo è piuttosto difficile, semplicemente perché siamo tendenti ad affezionarci a quello che vediamo: se poi entra in gioco quella perla intoccabile degna dell’appellativo di “capolavoro” che è la prima stagione di True Detective, allora quella domanda lì sopra riecheggia ancor più forte nel buio della nostra stanza. “La seconda stagione sarà bella quanto la prima?“: solo i successivi sette episodi potranno dircelo. Ma su una cosa possiamo stare certi: True Detective è tornato alla grande.
Come per il figlio di Ray Velcoro, anche “The Western Book Of The Dead” è per lo spettatore un nuovo primo giorno di scuola, dove la nuova stagione del serial lo prende per mano e lo porta a conoscere da vicino tutti i nomi, i volti e le vite dei partecipanti a questa nuova partita a scacchi, oltre ovviamente ai luoghi in cui prenderanno forma e si consumeranno i promettenti e vertiginosi avvenimenti della seconda era del telefilm di Nic Pizzolatto. La prima cosa che uno spettatore fa, consapevolmente o meno, approcciandosi alla visione di questa sorta di nuovo pilot è il paragone con la series premiere: grosso e grossolano errore. C’è un consiglio che vogliamo darvi: per poter godere appieno di questa seconda stagione bisogna dimenticarsi completamente della prima, perché le aspettative ed i paragoni scomodi offuscheranno il giudizio obiettivo, che dovrebbe sempre regnare sovrano. Come dicevamo, True Detective è una serie antologica, è nata così e morirà così, di comune con la 1° stagione ha solamente il titolo, Nic Pizzolato e la caratterizzazione dei personaggi, niente di più e niente di meno. Scomodarsi a confronti costanti con la prima versione di Matthew McConaughey e Woody Harrelson (che comunque rimangono tra i produttori esecutivi insieme a Cary Joji Fukunaga) è sì spontaneo, ma è un errore proprio perché volutamente non si vuole avere niente in comune con quella storia, non per niente si è passati da due protagonisti a quattro e dalla paludosa Louisiana alla soleggiata California.
Nonostante gli elementi di novità, il cast di personaggi principali e secondari sono personalità piuttosto familiari al pubblico, non perché interpretati da attori parecchio famosi, ma perché caratterizzati con dei tratti caratteriali già parecchio conosciuti. Ray Velcoro (Colin Farrell), Antigone “Ani” Bezzerides (Rachel McAdams), Paul Woodrugh (Taylor Kitsch) e i coniugi Semyon (Vince Vaughn e Kelly Reilly), infatti non sono altro che varianti degli affezionatissimi Rust Cohle e Martin Hart: persone amorali che camminano barcollando sulla sempre più sottile linea tra il bene e il male, persone dall’esistenza amara e costellata da scelte autodistruttive e nichiliste, nonché risultato di una vita passata tragica o comunque costellata da svariati traumi che hanno contribuito (nel bene e nel male) alla formazione del personaggio. Se questo potrebbe sembrare un difetto non lo è per niente, dato che il sempre abile Pizzolatto ha fatto di queste caratterizzazione il suo marchio di fabbrica, riuscendo a riproporle nel nuovo cast con una frizzante e rinfrescante freschezza; complice di questo risultato, va detto, anche gli attori scelti per i ruoli che sfoggiano una recitazione matura, totalmente in parte e ai massimi storici della loro arte recitativa, soprattutto per quanto riguarda Vaughn, qui nella rarissima veste di criminale invece che di attore comico.
In parole povere è come se True Detective non si fosse mai preso una pausa, dato che in questa seconda premiere torna rinvigorito del suo spirito. Se la sua natura è rimasta inalterata, tutt’altra storia è per il suo corpo, che in questa seconda incarnazione ha assunto una forma più fedele alla tradizione tipica del noir, e questo non è assolutamente un male, anzi. Addio, umide ed afose location della Louisiana e dintorni, e benvenute, soffocanti, urbane ed industrializzate atmosfere della California. A seguito di questa scelta narrativa tutto il resto si è adattato per essere coerente con la volontà di Pizzolatto e il registro a cui voleva rifarsi, a partire dalla colonna sonora: se ascoltate bene, in certi punti si può sentire (in maniera moderna e arrangiata) il classico sax anni ’40 da film noir con Humphrey Bogart protagonista, ulteriore e certosina scelta stilistica che sottolinea l’abbandono dei risvolti psycho-thriller, mistici ed esoterici della prima stagione, optando per qualcosa di più classico e meno sperimentale, fondendo il noir con altri gemelli del genere, come poliziesco, giallo e hard-boiled: insomma, meno Perfect Blue e Psycho, e più Chinatown e L.A. Confidential. Allo stesso modo si è adattata anche la sigla iniziale con relativa colonna sonora: si è passati dalla ballata degli The Handsome Family “Far From Any Road” a “Nevermind” di Leonard Cohen, molto più adatta alla location californiana.
Per la regia, invece, cerchiamo una parola di estremo e positivo consenso che riassuma tutti i complimenti presenti nella lingua italiana, ma questo termine non è stato ancora inventato, quindi ci limitiamo ad elogiare in religioso silenzio ed estrema venerazione le ricercate inquadrature che Justin Lin ha provveduto a fare. Il peso da sopportare con la regia della rivelazione Cary Joji Fukunaga è enorme, se non altro perché proprio l’assenza di quest’ultimo pesa come un macigno, ma il risultato è molto più che buono.
Nonostante le lusinghiere parole scritte finora, va detto che “The Western Book Of The Dead” ha un solo, piccolo difetto che non intacca comunque l’estremo gradimento generale, ma che si fa lo stesso sentire all’interno della puntata. L’episodio è, purtroppo, di una lentezza mostruosa, e nonostante quanto detto sopra, a volte il ritmo narrativo molto blando si presenta come una zavorra opprimente nella visione della puntata anche per i più pazienti. È anche vero che pure “Long Bright Dark“, a suo tempo, si presentò nella stessa lenta maniera, ma se nel pilot era un difetto perdonabile a causa della novità della serie, oggi questa lentezza si presenta come una caratteristica (non gradita) da abbonare, che il serial si porterà appresso a causa del suo format antologico, in cui ogni volta sarà costretto a ripresentare i nuovi personaggi. È proprio il numero dei protagonisti la causa di questo ritmo, poiché per l’introduzione di ognuno di essi è stato speso del tempo: tempo che, se fossero stati legati da una trama a filo doppio come quella che c’è tra il personaggio di Farrell e quello di Vaughn, sarebbe risultata più leggera e spedita. Questo è uno scotto da pagare e da tenere in considerazione, quella che abbiamo visto è un’enorme introduzione a questa nuova stagione, ora che c’è stato il ritrovamento del cadavere di Ben Caspere si può dare inizio alle danze.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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3.52 milioni – 1.6 rating
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The Western Book Of The Dead 2×01
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3.17 milioni – 1.4 rating
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