“Civilization is facing an existential threat. The West needs a wake-up call. Radical Islam must be eradicated, root and branch. My premier understands this. Bashar al-Assad understands. Only your president does not.”
“I won’t do it.”
“Then you forfeit your millions of dollars, your dacha on the Black Sea, the renown of what you’ve accomplished. All that you would trade for ten years in a basement office back at Langley, if you’re lucky. If not… twice that long in federal prison.”
L’interpretazione fredda ma sofferta di Miranda Otto è encomiabile e, nel caso in cui non venisse riesumata nella prossima stagione, si potrebbe già parlare di posto vacante.
Nel nuovo Homeland, quello in versione 2.0 dell’era post-Brody inaugurato da “The Drone Queen“, si ha la sensazione di guardare una serie antologica come vanno tanto di moda di questi tempi (American Horror Story, Fargo, True Detective), il che potrebbe anche andare bene se non fosse che questa trasformazione arriva dopo tre anni intensi e indimenticabili con il rischio inevitabile di ammorbare dopo un po’. Dopo due anni senza una trama orizzontale univoca si comincia a desiderare un collante e quel collante potrebbe essere rappresentato esattamente dal personaggio di Miranda Otto, a tutti gli effetti il vero villain di questa stagione.
Audacemente si potrebbe definire Allison Carr come una sorta di Brody al femminile, non sarebbe una bestemmia, solo un’analogia, un’analogia forzata. Entrambi americani, entrambi servitori della bandiera a stelle e strisce, entrambi traditori del proprio paese natio. Esattamente come lui, Allison si è mossa fino ad ora lungo un sottile filo di ambiguità per mascherare l’unico vero piano: l’egoismo. In un contesto talmente globalizzato in cui, se si sgancia una bomba in Libano, le ripercussioni si sentono sul suolo tedesco (“This benevolent country you talk about, Germany, it supports the State of Israel unequivocally. So when Israel bombed the living sh1t out of Lebanon in 2006, what did the good Germans do, huh? They sent troops, not to help my people who had been cut to ribbons by the cluster bombs, but to defend gallant little Israel against a possible counterattack.“), la Carr sceglie di sventolare il suo stesso vessillo. In altri ambienti si sarebbe parlato di lei come di una mercenaria, qui purtroppo non si può, dato il ruolo che ha ricoperto fino a qualche puntata fa: è una traditrice. La si può amare come no, la si può odiare come no, rimane il fatto che, al di là delle simpatie personali che giustamente differiscono da uno spettatore all’altro, è un personaggio forte che si è fatto largo in queste puntate sorprendendo per audacia, freddezza e caparbietà. Tutto ciò che si chiede costantemente a Gansa e Gordon da quando Damian Lewis ha abbandonato lo show.
Si poteva parlare di lei come di un personaggio ambiguo fatto di luci ed ombre, si poteva, imperfetto. Qui compie definitivamente un passo (forzato) verso il suo vero desiderio: quel denaro sporco di sangue impregnato di Sarin con il quale la Madre Russia vuole ricompensarla. Il dilemma morale imposto è il più classico del genere e non poteva non mettere sulla bilancia “giustizia” e “guadagno personale”. Scegliendo tra il tornaconto personale a discapito di qualche centinaio/migliaio di vittime e la cancellazione dell’attentato, Allison opta per la scelta più fredda ed egoista, attraversa una linea che difficilmente potrà varcare ancora, il tutto con somma gratificazione del pubblico (non) pagante.
Carrie e Saul sono solo spettatori in questo gioco più grande di loro che tuttora faticano a capire. Se la Drone Queen continua ad arrivare forzatamente alla risoluzione dei casi per prima (e questo non si può perdonare), Saul rimane vincolato da quella burocrazia che permea la CIA e che lo limita nei movimenti e nelle decisioni. Certo, magari un agente del suo rango e con la sua esperienza potrebbe evitare di farsi fregare per ben due volte nella stessa giornata, no? Ringraziano sentitamente Allison e una forma indefinita spalmata sull’asfalto.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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New Normal 5×10 | 1.74 milioni – 0.6 rating |
Our Man In Damascus 5×11 | 1.84 milioni – 0.6 rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.