0
(0)
Con “Klick” può dirsi conclusa la stagione della definitiva consacrazione di Better Call Saul, passato gradualmente da azzeccatissimo spin-off a prodotto del tutto autosufficiente, in grado di strizzare l’occhio all’opera madre senza esserne, nonostante ciò, strettamente dipendente. Pur non sconfessando la sua appartenenza all’universo diegetico di Breaking Bad, è stato chiara fin da subito, in questa seconda annata, la volontà della serie di emanciparsi, sfuggendo così alla riduttiva categorizzazione di spin-off. Un risultato ampiamente conquistato anche (e soprattutto) grazie ad un lavoro di scrittura mirato e intelligente, attraverso il quale lo show è riuscito a confermare solidità e personalità già maturate nel corso della prima stagione.
Fin dalla sequenza di apertura, segnata da una regia che attraverso i movimenti di macchina si diverte a giocare con la percezione dello spettatore, è chiaro come il vero protagonista della puntata sia in realtà Chuck. Una centralità non soltanto definita dal minutaggio, evidentemente a favore del personaggio di Michael McKean, ma ancor di più dal ruolo chiave attribuitogli dagli autori all’interno del percorso di trasformazione da Jimmy McGill a Saul Goodman. Attraverso la cold open messa in scena in questo finale di stagione abbiamo accesso ad un’altra delle motivazioni sottese al travagliato rapporto tra i due fratelli – quest’anno sapientemente ricostruito grazie ai vari flashback introduttivi che li hanno visti protagonisti – : gli ultimi istanti di vita della madre, resi per Chuck ancor più strazianti dalle sue ultime parole. L’invidia e il rancore nei confronti di Jimmy, non più da imputare esclusivamente alla naturale predisposizione del fratello ai rapporti umani e alla rovina del padre, raggiungono qui il punto di massima intensità, fornendo allo spettatore tutte le coordinate necessarie alla comprensione delle azioni compiute da Chuck ai danni del fratello.
Dall’altro lato della barricata troviamo invece un Jimmy ancora ben lontano dal Saul Goodman che noi tutti abbiamo conosciuto in Breaking Bad. Sebbene nel precedente episodio l’incidente avvenuto all’interno della copisteria risultasse funzionale alla dimostrazione del lato più oscuro di Jimmy, innegabilmente cinico nel suo tentativo di utilizzare la psicosi del fratello a suo vantaggio, in questo episodio la sua vera natura torna a prendere il sopravvento, prima attraverso i soccorsi e la notte passata al fianco di Chuck, poi con l’ingenuità dimostrata nel finale. Ingenuità che lo porterà quasi certamente alla rovina. Il tradimento da parte del fratello, arrivato in un momento di sincerità mosso dai migliori propositi, sancirà, con tutte le probabilità, la fine di Jimmy McGill così come lo conosciamo, preparando così il terreno per l’ascesa di Saul Goodman.
Nel frattempo, in una linea narrativa che è andata progressivamente a staccarsi dalla storyline principale, Mike mantiene saldo il legame con la serie madre, facendo da collante con i personaggi storici dell’universo diegetico creato da Gilligan e mantenendo viva anche la componente prettamente stilistica. Il momento “American Sniper”, nella sua apparente staticità, rappresenta forse uno dei punti di massima tensione dell’episodio, spezzato in maniera del tutto inaspettata da un sabotaggio facilmente riconducibile al personaggio di Gus Fring – teoria avvalorata dall’indizio nascosto nei titoli degli episodi, le cui iniziali, anagrammate, comporrebbero la frase FRINGSBACK (Fring è tornato).
In merito alla sequenza finale, la scelta dell’espediente narrativo del registratore non è certo una delle più originali, questo va detto. Allo stesso modo appare del tutto comprensibile storcere il naso in merito all’ingenuità dimostrata da Jimmy nel confessare tutto a Chuck pur essendo cosciente delle sue spiccate capacità deduttive. D’altro canto, più che di scontatezza sarebbe giusto parlare di linearità. Visto in quest’ottica, il cliffhanger conclusivo appare molto più calzante, prodotto di una complessa rete di rapporti ordita nel corso della due stagioni telefilmiche, sfociata in una conclusione che trae tutta la sua carica emotiva dalla coerenza narrativa mostrata finora.
Fin dalla sequenza di apertura, segnata da una regia che attraverso i movimenti di macchina si diverte a giocare con la percezione dello spettatore, è chiaro come il vero protagonista della puntata sia in realtà Chuck. Una centralità non soltanto definita dal minutaggio, evidentemente a favore del personaggio di Michael McKean, ma ancor di più dal ruolo chiave attribuitogli dagli autori all’interno del percorso di trasformazione da Jimmy McGill a Saul Goodman. Attraverso la cold open messa in scena in questo finale di stagione abbiamo accesso ad un’altra delle motivazioni sottese al travagliato rapporto tra i due fratelli – quest’anno sapientemente ricostruito grazie ai vari flashback introduttivi che li hanno visti protagonisti – : gli ultimi istanti di vita della madre, resi per Chuck ancor più strazianti dalle sue ultime parole. L’invidia e il rancore nei confronti di Jimmy, non più da imputare esclusivamente alla naturale predisposizione del fratello ai rapporti umani e alla rovina del padre, raggiungono qui il punto di massima intensità, fornendo allo spettatore tutte le coordinate necessarie alla comprensione delle azioni compiute da Chuck ai danni del fratello.
Dall’altro lato della barricata troviamo invece un Jimmy ancora ben lontano dal Saul Goodman che noi tutti abbiamo conosciuto in Breaking Bad. Sebbene nel precedente episodio l’incidente avvenuto all’interno della copisteria risultasse funzionale alla dimostrazione del lato più oscuro di Jimmy, innegabilmente cinico nel suo tentativo di utilizzare la psicosi del fratello a suo vantaggio, in questo episodio la sua vera natura torna a prendere il sopravvento, prima attraverso i soccorsi e la notte passata al fianco di Chuck, poi con l’ingenuità dimostrata nel finale. Ingenuità che lo porterà quasi certamente alla rovina. Il tradimento da parte del fratello, arrivato in un momento di sincerità mosso dai migliori propositi, sancirà, con tutte le probabilità, la fine di Jimmy McGill così come lo conosciamo, preparando così il terreno per l’ascesa di Saul Goodman.
Nel frattempo, in una linea narrativa che è andata progressivamente a staccarsi dalla storyline principale, Mike mantiene saldo il legame con la serie madre, facendo da collante con i personaggi storici dell’universo diegetico creato da Gilligan e mantenendo viva anche la componente prettamente stilistica. Il momento “American Sniper”, nella sua apparente staticità, rappresenta forse uno dei punti di massima tensione dell’episodio, spezzato in maniera del tutto inaspettata da un sabotaggio facilmente riconducibile al personaggio di Gus Fring – teoria avvalorata dall’indizio nascosto nei titoli degli episodi, le cui iniziali, anagrammate, comporrebbero la frase FRINGSBACK (Fring è tornato).
In merito alla sequenza finale, la scelta dell’espediente narrativo del registratore non è certo una delle più originali, questo va detto. Allo stesso modo appare del tutto comprensibile storcere il naso in merito all’ingenuità dimostrata da Jimmy nel confessare tutto a Chuck pur essendo cosciente delle sue spiccate capacità deduttive. D’altro canto, più che di scontatezza sarebbe giusto parlare di linearità. Visto in quest’ottica, il cliffhanger conclusivo appare molto più calzante, prodotto di una complessa rete di rapporti ordita nel corso della due stagioni telefilmiche, sfociata in una conclusione che trae tutta la sua carica emotiva dalla coerenza narrativa mostrata finora.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
|
|
Better Call Saul ci saluta con la promessa di tornare con una terza stagione, già messa in saccoccia, e su cui grava il peso delle aspettative maturate in queste prime due annate. Chiudiamo in bellezza con l’ennesima benedizione, in attesa di scoprire quale piega prenderà la narrazione dopo questo sconvolgente, seppur prevedibile, finale di stagione.
Nailed 2×09 | 2.06 milioni – 0.8 rating |
Klick 2×10 | 2.26 milioni – 0.8 rating |
Quanto ti è piaciuta la puntata?
0
Nessun voto per ora
Tags:
Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.
onestamente una delusione totale questa seconda stagione: lentissima, troppo psicologica e troppo minuziosamente attenta ai particolari. La storia non decolla e non credo decollerà mai a sto punto