Alla fine degli anni ’60 e per tutta la prima metà degli anni ’70, nella scena rock internazionale, vede le luci della ribalta un particolare stile musicale: il Progressive Rock. Accanto alle classiche sonorità elettriche e acustiche si accostano nuove forme di complessità; una durata più lunga dei brani che rendono quasi obsoleta la forma canzone, lunghe divagazioni strumentali – spesso utili a mettere in evidenza la bravura e sapienza tecnico-interpretativa dei membri dei vari gruppi -, complessità nei testi, influenze con altri generi (classica, jazz…), utilizzo di strumenti inusuali nel rock classico. La rivoluzione “conservatrice” di questo stile musicale dà vita ad alcune pietre miliari della discografia della musica Rock della seconda metà del XX secolo. Allo stesso tempo, uno stile consolidato, degli schemi facilmente assimilabili anche senza una grande creatività e alcune eccentricità extra-musicali (vedi alcuni estrosi travestimenti dei musicisti sul palco) hanno reso il genere una caricatura di se stesso, mandando nel dimenticatoio molti seguaci senza fortuna del Prog, consacrando invece coloro la cui creatività ha dato vita allo stile, non viceversa.
Grazie per la pazienza nel leggere questa divagazione e lo schema sopra presentato. Cerchiamo in qualche modo di unificare i concetti e applicarli nel nostro attuale mondo seriale. Breaking Bad – elevandosi come una delle serie rivelazione dell’ultimo ventennio – abbandona l’insieme di affreschi televisivi dei vari The Sopranos o The Wire, dove lo spettatore è un osservatore esterno di eventi già iniziati e non conclusi al momento della chiusura delle serie. BrBa rivede questo aspetto e punta dritto alla meta, raccontando una singola storia come solo un film saprebbe fare. Oggi idolatriamo quella serie perché l’abbiamo vista finire, ma non guarderemmo mai un episodio qualsiasi al suo interno – tolte poche eccezioni – perché sarebbe come leggere un capitolo a caso di una saga letteraria. Insomma, la serie di Gilligan recupera una struttura più semplice e classica per rivoluzionare la tv via cavo.
Grazie nuovamente per la pazienza per questa ulteriore digressione e veniamo a StartUp, più precisamente a “Valuation”. Non sarebbe un cattivo episodio, veramente. Peccato che chi mastica un po’ di più il mondo seriale non può non vedere chiaro e tondo lo schema sopra-riportato. Siamo curiosi di vedere come andrà a finire, sicuramente non disprezziamo la fattura tecnica della serie, ma non ne siamo stupiti. Abbiamo molto chiaro lo stile e il genere, perché StartUp alla fine della fiera non si è inventato niente.
Il monologo di Jey risulta ridicolo e ridondante poiché sappiamo che dovrà essere un momento di svolta per il personaggio di Roland (poteva anche esserci il colpo di scena della sua uccisione, anche in quel caso una strada già percorsa), sicuramente si individua l’importanza più morale che materiale dell’evento. Tra l’altro viene da chiedersi perché mai gli scagnozzi di Jey non abbiano obbedito ai suoi ordini oppure non si siano invece schierati con Roland, visto che colui che professa che “l’unione fa la forza” fa valere prepotentemente la sua leadership. Da lì ne deduciamo che l’apertura di episodio con il figlio di Roland che gioca a basket e poi parla con Jey è soltanto un antecedente ornamento della sequenza sopra descritta. Nulla di più. Giusto perché lo stile sopra descritto – quello di BrBa – ha come marchio distintivo quello di spezzare il cliffhanger dell’episodio precedente con un’apertura, nell’episodio successivo, di una sequenza completamente slegata, che noi spettatori dobbiamo lentamente collocare nello spazio e nel tempo.
Tutta la sezione inerente Alex Bell, con le sue battute da santone, si collocano nell’insieme di sospiri che protagonisti e spettatori dovranno tirare prima di vedere l’obiettivo di giornata raggiunto. E, guarda caso, il cerchio dell’episodio si chiude proprio con Roland che rivela la sua vera natura, la sua vera appartenenza, facendo crollare un palcoscenico costituito da ciambelle, dossier e un ufficio che è poco più di un bluff. In tutto questo è impressionante notare come la fratellanza tra i tre soci cresca a dismisura, con Izzy che addirittura parla bene dei genitori dopo che ci era stata preliminarmente presentata come una sociopatica isterica. Potremmo esserci persi alcuni passaggi che hanno portato a giocose battute sui costumi da bagno.
In conclusione, Martin Freeman e il suo Task. Per quanto le sue sequenze siano da applausi soprattutto grazie alla recitazione di un magistrale attore, anche qui è possibile percepire tratti stilistici definiti. Che le strade tra l’ambiguo agente dell’FBI e il trio monnezza si uniranno appare chiaro. La lentezza (non per forza elemento negativo) verso cui si giungerà a questo punto è solo la dimostrazione di come alcune tappe siano obbligate. Così come in Breaking Bad la prima stagione (di 7 episodi, non 10) era esclusivamente introduttiva, sembra che sullo stesso modello sia stata impostata questa prima stagione dove, come se fosse stato scelto in fase preliminare, si è deciso che nella prima stagione la società non dovrà partire, Task non dovrà incontrare Izzy&Co.
Nel 2008 ciò poteva stupire e coinvolgere, oggi meno. Soprattutto se consideriamo che di questi primi 7 episodi non è certo mancata un’aura di attendismo.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Esattamente come certi gruppi musicali finiti nel dimenticatoio pensavano di imitare i Genesis proponendo sterili assoli di organo di 20 minuti.
Bootstrapped 1×06 | ND milioni – ND rating |
Valuation 1×07 | ND milioni – ND rating |
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Approda in RecenSerie nel tardo 2013 per giustificare la visione di uno spropositato numero di (inutili) serie iniziate a seguire senza criterio. Alla fine il motivo per cui recensisce è solo una sorta di mania del controllo. Continua a chiedersi se quando avrà una famiglia continuerà a occuparsi di questa pratica. Continua a chiedersi se avrà mai una famiglia occupandosi di questa pratica.
Gli piace Doctor Who.