“You do realize this whole business is about revenge.”
Se “Episodio 2” era stata una puntata di puro raccordo con il Conte di Montecristo James Keziah Delaney (Tom Hardy) che preparava il terreno per la sua vendetta nei confronti delle Indie Orientali (di cui ancora non si sanno bene i motivi), in queste due puntate i piani macchinosi cominciano finalmente a muoversi regalando anche un primo sprazzo d’azione. E soprattutto, la storia diventa sempre meno Tom Hardy-centrica (che in tutto il cast si rivela decisamente il più legnoso) e coinvolge sempre più protagonisti/e tra cui il personaggio di Lorna Bow (Jessie Buckley), la “vedova Delaney”, personaggio che appare come un fulmine improvviso e diventa poi una delle protagoniste assolute dello show e regala alla serie una storyline sentimentale borderline (come se già l’incesto con la sorellastra non fosse abbastanza) che s’interseca con i piani di vendetta del protagonista.
Cominciano poi a vedersi i “poteri” di James Delaney, anche se la sensazione è sempre quella che si stia trattenendo e che il potenziale sia ancora tanto ma molto inespresso. Praticamente finora lo spettatore ha scoperto che è invincibile, che ha strane (e inquietanti) visioni e che può fare sesso a distanza con la sorella, il che comunque non è un brutto potere.
Per il resto, finora, l’unico potere effettivamente utile per lui è il denaro che usa per comprare e allestire un suo esercito personale di collaboratori.
Si potrebbe dire che lo spunto per Tom Hardy (che della serie è sia produttore sia co-autore del soggetto) sia la Trilogia del Cavaliere Oscuro di cui è stato anche interprete. Se si mettono a confronto, infatti, “Taboo” e l’opera di Christopher Nolan si può notare come ci siano parecchi elementi in comune:
- una ricerca stilistica votata al realismo e al naturalismo, pur mantenendo un contesto gotico;
- un protagonista (orfano) che non è il classico eroe senza macchia ma un personaggio multi-sfaccettato, non privo di difetti;
- azione che nasce da un “desiderio di vendetta” e di “ricerca delle proprie origini”;
- protagonista che è, soprattutto, un eroe “politico” (contro un sistema corrotto come quello della Compagnia delle Indie);
- attenzione al contesto sociale e pubblico (e della percezione pubblica dell’eroe-protagonista);
- attenzione alle diverse sfumature del male;
Anche i personaggi stessi si presentano come riproduzioni della saga dell’uomo-pipistrello. Nel quadro storico, meravigliosamente ricostruito e rappresentato (grazie anche a particolarità tecniche come l’uso quasi costante della steady-cam e le riprese con luci naturali già evidenziate anche nelle precedenti recensioni) si muovono il protagonista e la sua rete di alleati: il fedele Brace/Alfred (David Hayman), Atticus/Lucius Fox (Stephen Graham) la nuova arrivata (complice?) Lorna Bow/Selina Keyle (già citata sopra) impegnati in un progetto quasi anarchico di riappropriarsi di una terra promessa, lontana e neutrale, libera dalle mire della corrotta Compagnia delle Indie.
“All those that I gather are damned. It’s just a company policy of mine.”
Se la vendetta e la voglia di ricominciare in un “nuovo mondo” (in senso letterale), sono temi dichiaratamente “nolani”, che la serie riprende e fa suoi in un contesto storico dettagliato, viene da chiedersi: chi è, alla fine, il villain? Il Joker o il Bane della situazione?
A questo interrogativo la serie non ha ancora risposto in maniera chiara, il che è un effetto dell’eccessiva lentezza della serie che ha sviscerato molto bene i personaggi “positivi” (perché dividere in buoni e cattivi è abbastanza problematico qui) e “negativi”. La Compagnia delle Indie finora si è comportata come la peggio-banda di gangster mandando sicari che sono stati regolarmente sconfitti. E sebbene Stuart Strange (Jonathan Pryce) abbia sia il giusto carisma sia il phisique du role per questo ruolo (da Oscar la performance iniziale con il “We hadn’t fucking agreement!”) non è abbastanza per creare un reale interesse. Molto meglio l’allegro ambiguo chirurgo Edgar Dumbarton (Michael Kelly, direttamente dal Castello di carte) che aiuta e, nello stesso tempo, cerca di fare accordi all’ombra di Delaney, protetto da una misteriosa organizzazione che gli autori tengono volutamente ancora nascosta allo spettatore.
Non sarà il Joker ma rischia di diventare una sorta di Ras’Al Ghul della situazione.
In attesa di trovare un villain decente ci si deve perciò accontentare di Thorne Geary (Jefferson Hall) marito possessivo e geloso (giustamente) della moglie Zilpha, protagonista indiscusso del finale di “Episodio 4” che da un lato mostra la prima vera scena d’azione effettiva della stagione, dall’altro s’inerpica in un crescendo di tensione e suspance degenerando in una scena orgiastica che riprende le atmosfere kubrickiane (metà Eyes Whide Shut, metà Barry Lyndon), soprattutto nel cliffhanger finale che rilascia immediatamente curiosità per il prossimo episodio.
Già da questi piccoli particolari si capisce come “Taboo” sia una serie profondamente inglese, sia come ambientazione sia come periodo/cultura storica e come riferimenti culturali e stilistici. La serie perfetta per gli amanti dell’english humour abbinato alla detection e alle atmosfere gotiche e romantiche (dato che di romanticismo, in senso filosofico-stilistico, ce n’è in abbondanza). Tra l’altro, degna di nota è l’interpretazione di Mark Gatiss (autore e attore del fortunato “Sherlock“) nei panni di re Giorgio IV d’Inghilterra.
Serie storica e, tuttavia, con una mentalità e una modalità di racconto molto moderna e contemporanea, riprendendo la lezione delle grandi serie televisive di scuola americana.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Episode 2 1×02 | 1.12 milioni – 0.4 rating |
Episode 3 1×03 | ND milioni – ND rating |
Episode 4 1×04 | ND milioni – ND rating |
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!