In seguito a un avvio stagionale segnato da ritmi narrativi piuttosto fiacchi e un successivo risveglio dei sensi, reso possibile dal cliffhanger di “A Flash Of Light” prima e dagli sviluppi di “Casus Belli” dopo, questa settimana Homeland sfrutta i punti di forza connaturati al genere political thriller per mettere in scena un buon episodio che ci introduce al meglio in questa seconda parte di stagione.
Il ritorno preannunciato dalla titolazione dell’episodio fa naturalmente riferimento al presidente eletto Elizabeth Keane, uscita dal suo nascondiglio e pronta a tornare al lavoro dopo l’assenza forzata per motivi di sicurezza; ma a noi piace pensare a una lettura in chiave simbolica, a richiamare un ritorno della serie in generale ai suoi giusti ritmi diegetici. La sconnessione tra i diversi piani narrativi e la presunta inutilità di molti di essi lascia spazio a una progressione coerente e oculata della serie, la quale entra ufficialmente nel vivo del racconto dopo essersi lasciata alle spalle la lunga ma necessaria fase interlocutoria.
Con l’attentato di New York, la dimensione corale a cui ci ha abituato la serie nel corso dei suoi primi cinque episodi stagionali viene totalmente ribaltata, lasciando maggiore spazio di espressione a tutte le diverse personalità messe in scena dagli autori. A ciò corrisponde anche una forte sensazione di abbandono, percepita dallo spettatore ogniqualvolta uno dei character, alle prese con una diversa battaglia personale o lavorativa, si ritrova a dover contare solo e unicamente sulle proprie forze. Una caratteristica, quest’ultima, fondamentale nella fase di costruzione della tensione tipica del thriller.
Il discorso impostato da Homeland fin dalla premiere stagionale, atto a mostrare i dubbi e le contraddizioni racchiuse all’interno della società americana post 9/11, lascia qui il posto all’immancabile cospirazione internazionale, sempre costruita sulla base di un discorso attuale e risolutivo, in grado di suscitare nello spettatore una riflessione profonda sulle quotidiane questioni etiche sollevate in merito alla sicurezza e al clima di terrore generato dal terrorismo, oltre che da un uso strumentale della stampa che richiama l’attualissima questione degli alt-facts già al centro di “Casus Belli“.
Gran parte dell’episodio si concentra sulla rinnovata intesa tra Carrie e Ray Conlin, stavolta alleati nel tentativo di fare luce sull’attentato imputato al giovane Sekou. La velocità con cui Conlin si convince dell’innocenza del ragazzo, soprattutto tenendo in considerazione che le uniche “prove” del complotto sono le foto scattate da Quinn – non esattamente sinonimo di affidabilità -, rende un po’ artificioso lo spunto alla base dell’indagine clandestina condotta dai due. Inoltre, la sua fine ingloriosa appare abbastanza telefonata agli occhi dello spettatore, togliendo pathos alla sequenza della fuga di Carrie, già viziata dall’impossibilità di morire, naturalmente connessa al protagonismo del character.
La scoperta di un presunto legame di Dar Adal con il Mossad porterà presumibilmente a una rottura della memorabile collaborazione tra lui e Saul, personaggio che in questa stagione risulta relegato in disparte dagli autori, nonostante centralità e carisma mostrati dal character interpretato da Mandy Patinkin. O forse si rivelerà l’ennesimo doppio gioco messo in atto dal sempre viscido Dar Adal. Difficile da dire al momento.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Casus Belli 6×05 | 1.07 milioni – 0.3 rating |
The Return 6×06 | 0.90 milioni – 0.3 rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.