Penny Kirkman: “I saw you on the TV. They said you might pick that lady as your vice president. The one you gave the pen to. Did you know she’d be the first girl vice president?”
Tom Kirkman: “Yeah, I did. You think that’s cool?”
Non c’è niente da fare. Designated Survivor conferma settimana dopo settimana i pregi e i difetti di cui si è fatto carico in questa seconda metà di stagione. Da una parte una narrazione politica convincente, dall’altra un misto di thriller e spionaggio che soffre il peso dei 22 episodi commissionati, forse, un po’ troppo alla cieca. Questa dicotomia struttura anche “Lazarus” e “Misalliance”, continuando ad allargare ulteriormente il divario che passa tra un Tom Kirkman in una Washington sempre più torbida e intricata e un’agente Wells persa in un covo di repubblicani stereotipati al massimo con la fissa della cospirazione.
Tutta la tensione messa in mostra – con ripetuti e ormai quasi ridondantemente consueti cliffhanger finali – per la storyline interpretata da Maggie Q svela la grande paura che trattiene Designated Survivor dal diventare un grande show. Ci sarebbero tutte le carte in regola per realizzare un prodotto che, almeno per il momento, non avrebbe eguali nel palinsesto delle major, puntando tutto su un protagonista forte, ben scritto e ben interpretato, e su una Casa Bianca potenzialmente fonte di infinite storyline, tanto a livello verticale quanto a livello orizzontale. Quanto realizzato da Guggenheim e soci, invece, è un ibrido tra un prodotto autoriale forte e un prodotto mainstream. E se da un lato si capisce la difficoltà degli autori di lasciarsi andare, soprattutto nel palinsesto disneyano di ABC, dall’altro non si può fare a meno di osservare come quanto si vede con l’agente Wells non sia altro che una copia mal realizzata di un qualsiasi NCIS in onda ogni sera su Rai 2.
Patrick Lloyd: “This is the year of our reckoning. The rest of the world is catching up to what we’ve known… That for far too long, government has tried to hijack our identities, controll our lives, and brainwash our children. But no longer. No longer because we are rising up. This movement is the future of our nation, and no… no illegitimate government, no illegitimate president is going to stand in our way.”
I dolori per Designated Survivor aumentano poi con la caratterizzazione progressiva dei villain. Soprattutto in Lazarus viene infatti rivelato il trittico di uomini dietro al complotto che ha portato all’esplosione del Campidoglio: se per Lozano confermiamo quanto avevamo scritto in “The Ninth Seat” e per l’inside man ancora senza nome non possiamo scrivere più di tanto, degno di interesse è invece il vertice della catena alimentare pseudo-cospirazionista, Patrick Lloyd. Un uomo bianco, abbastanza in là con gli anni, probabilmente miliardario, che grazie a una fisicità abbastanza imponente e una parlantina facile infiamma un pubblico di militanti alt-right al suono di “Make America Great Again!”. In questa stessa stagione televisiva si è potuto assistere a una caratterizzazione altrettanto grottesca di Donald Trump nella serie dei coniugi King The Good Fight andata in onda sulla piattaforma online della CBS. In quel caso, la scelta era comprensibile: Robert e Michelle King sono celebri per la loro simpatia nei confronti del partito democratico e altrettanto celebri per i loro tentativi di satira della società contemporanea statunitense. Qui è tutto un altro discorso. Se in uno show che si era posto l’obiettivo di stemperare gli animi della politica oltreoceano, attraverso la figura di un presidente super-partes in grado di conciliare gli estremi di Washington, la figura del villain principale richiama così esplicitamente quella di un presidente in ogni caso eletto democraticamente, è evidente che qualcosa nel processo di maturazione è andato storto. Patrick Lloyd non è il protagonista di cui ha bisogno Designated Survivor perché, piuttosto che alleggerire la tensione, la amplifica nella logica ferrea dello schieramento, del me-contro-te, del popolo-contro-l’establishment, del democratici-contro-repubblicani. Per fortuna, in quel di Washington D.C. ci sono intrighi a sufficienza per sorreggere tutta la baracca. In particolar modo “Misalliance” offre due delle storyline verticali migliori dall’inizio di stagione. Il gradito ritorno di Tylor Richmond alla Casa Bianca innanzitutto è il pretesto per inserire, nella narrazione complessiva, uno dei temi più importanti nella politica che vale davvero. Lo scontro nello Studio Ovale tra Kirkman e il congressista Saldua, oltre a mostrare l’ennesima riprova di come Sutherland sappia gestire l’onore e il rispetto della carica che è tenuto a ricoprire e interpretare, è anche un’occasione di spunto su quanto possa essere bistrattata l’educazione e l’istruzione dalle più alte cariche dello stato. Come dice Kirkman, non dovrebbe esserci un aut aut tra le scienze matematiche e le materie umanistiche. Nell’ideale utopico da non dimenticare, a tutti dovrebbe essere data la possibilità di scegliere e studiare ciò che corrisponde più intensamente alla propria vocazione, indipendentemente da fattori sociali ed economici.
Kimble Hookstraten: “If I may? All of you are new to Congress, but one thing we have in common is the oath we took to uphold the Constitution. I’ve always done my best to live up that oath. There may be little hard evidence here for you to investigate, but there is a lifetime of public service to consider. And that’s what’s at stake here. And that’s also my best defense… my record and my reputation. When it comes time to vote, I hope you will vote on that.”
Oltre a questo, è soprattutto il percorso compiuto (già per tutta la stagione, in verità) da Kimble Hookstraten a convincere di buon gusto. Il pubblico ha imparato piano piano a conoscere questo personaggio inizialmente nella sua ambiguità che si è rivelata episodio dopo episodio sempre più sfaccettata ed empatica. Nulla da eccepire o da sottolineare sul lavoro svolto dagli autori su di lei, nella speranza che la nomina a ministro dell’istruzione non la tagli fuori dai giochi, ma che possa rappresentare sempre di più un punto sicuro all’interno dell’amministrazione Kirkman, tra “Lazarus” e “Misalliance” forse per la prima volta veramente bipartisan.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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The Ninth Seat 1×17 | 5.06 milioni – 1.0 rating |
Lazarus 1×18 | 5.11 milioni – 1.1 rating |
Misalliance 1×19 | 4.62 milioni – 0.9 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.