“It’s their own fault.
They should have never given us uniforms if they didn’t want us to be an army.”
In questi 60 minuti di season finale c’è tutto quello che si può, si poteva e si potrebbe chiedere allo show creato e sviluppato da Bruce Miller partendo dal libro di Margaret Atwood: c’è dolore; c’è rabbia; c’è ribellione; c’è speranza e (forse) c’è futuro. Forse. Ma comunque non nell’immediato e non in quel di Gilead.
“I’m pregnant.”
Bruce Miller, supervisionato dalla Atwood, ha imbastito il decimo episodio in maniera apparentemente atipica all’inizio, sfornando quello che potenzialmente poteva essere la madre di tutti i cliffhanger finali legati a The Handmaid’s Tale: quel “I’m pregnant” detto da Offred che tante porte apre e chiude simultaneamente. La gravidanza, come si è visto anche nella scorsa “The Bridge“, porta con sè una moltitudine di cambiamenti che vanno di pari passo con la salute del feto e le possibilità di nascita del bambino: nel caso in cui la gravidanza venga portata a termine la madre verrà successivamente allontanata per essere accompagnata in una nuova famiglia in cui portare “la gioia”, nel caso in cui qualcosa vada storto si riproverà nuovamente. A prescindere dal risultato, la cura e l’attenzione rivolta all’incubatrice umana rendono tutto sia più falso che più difficile da gestire perchè le apparenze, in funzione della violenza psicologica inflitta all’interno delle mure domestiche, sono ancora più ingombranti da rispettare e da mantenere.
Ecco quindi che il potenziale cliffhanger da season finale si trasforma più in un nuovo status quo che smuove la situazione di Offred e provvede a creare tutta quella serie di elementi che rendono “Night” un signor episodio, decisamente superiore ai suoi predecessori. Non solo si ha modo di allargare ulteriormente l’universo di The Handmaid’s Tale portando Moira in Canada (cosa già di per sè interessante) ma la si fa addirittura ricongiungere con Luke (cosa che dà un senso all’episodio stand-alone a lui dedicato). Si aprono quindi nuove porte e nuove possibilità inerenti lo sviluppo degli altri stati ed il loro approccio a questo nuovo mondo in cui la fertilità è una rarità.
“I’m sorry, Aunt Lydia.”
“Night”, come si può vedere, straborda di citazioni che devono essere ripescate per scandire al meglio la narrazione e la suddivisione in parti della puntata perchè, anche se non lo sembra, questo season finale è frammentato. Se da un lato è chiara la scissione che si vuole creare tra Moira e Offred, dall’altro è anche palese l’esistenza di una speranza di fondo che anima entrambe e che, in maniera diversa, emerge. Offred è sicuramente maturata rispetto al pilot, è diversa, più scafata, meno timorata ma pur sempre vittima. Ciò che è cambiato in lei è la presa di coscienza, dettata se si vuole dalla ritrovata conferma che sua figlia è viva, e la voglia di riprendere in mano la propria vita una volta per tutte.
Le lettere di tante altre “handmaids” aiutano in tal senso perchè accomunano la sua situazione ed i suoi sentimenti a quelle di altre donne, altre vittime del sistema, e alimentano vivacemente quella scintilla di ribellione che più volte si è scorta nei suoi occhi. La paura che di norma la manteneva in vita, qui sparisce completamente insieme al timore di risultare vera esprimendo opinioni ed insulti. Serena Waterford è ovviamente il principale soggetto di questa rinnovata libertà d’espressione ma è anche la sua causa, oltre che vittima. Come si è detto più volte, in The Handmaid’s Tale nessuno è veramente felice e nessuno ricopre un ruolo in cui vuole effettivamente stare. La stessa Serena, che per sua stessa ammissione ha aiutato a scrivere le nuove leggi di Gilead, si ritrova a soffrire e a non essere padrona della sua stessa vita e pertanto prova a trovare conforto in quelle poche occasioni che le si prospettano. Lei e Offred non sono poi così diverse, entrambe bramano solo di avere una famiglia ed essere felici, tuttavia a causa della loro differente posizione sociale e del rispetto per le regole sono ai due lati opposti del ring, sole. Perchè è questa la verità: tutti i personaggi sono dannatamente soli.
“Whether this is my end or a new beginning, I have no way of knowing. I have given myself over into the hands of strangers. I have no choice. It can’t be helped. And so I step up, into the darkness within Or else the light.”
Offred sceglie di lottare contro il sistema, se ne fa carico “scusandosi” con zia Lydia e accettando le conseguenza che ne deriveranno, conscia che comunque la sua gravidanza aiuterà la penitenza che dovrà subire. Il tutto ovviamente in attesa di sovvertire il regime.
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The Bridge 1×09 | ND milioni – ND rating |
Night 1×10 | ND milioni – ND rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.
Salve,
Condivido qualche impressione su un aspetto di quest'opera davvero meritevole sperando in un riscontro da voi che tanto approfonditamente l'avete trattata.
Da lettore della Atwood ho apprezzato moltissimo la Serena Joy multistrato che la serializzazione ha saputo offrire. La dinamica instauratasi tra quest'ultima ed Offred (cuore, per me, della narrazione) acquisisce così una dimensione nuova e sostanzialmente differente , nello script come nelle interpretazioni, dalla messa in scena del lungometraggio diretto da Schlöndorff.
Il casting di Yvonne é stato, per me, dunque, estremamente interessante. Nonostante un training che constato (senza sorpresa alcuna, anzi) essere originariamente teatrale, lei eccelle nei micromovimenti, nelle sfumature interpretative (tipiche della cinematografia) che umanizzano la sua Serena Joy. La chimica con Lizzie Moss (sua amica oltre che una delle interpreti contemporanee più meritevoli) é lì da vedere.
Devo ammettere, ahimè, che la mia library su di lei é scarna alquanto, non avendola seguita in nulla (sul grande nè tantomeno sul piccolo schermo) dai tempi di quel gioiello di verve quale é stato "Chuck" (che ha enormemente giovato del suo eccezionale quanto sottovalutato lavoro quinquennale).
Tuttavia, ho trovato nella sua interpretazione qualcosa della sua Lorna Moon, character creato da Clifford Odets a cui le ho visto dare vita "live" qualche anno fa.
Mi congedo (sperando di non essere stato eccessivamente tedioso) con un ideale chapeau verso coloro che curano questo sito e, nel dettaglio, le review di questo show.
Michael