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Accantonata ormai del tutto la questione della First Lady morta, Designated Survivor cerca di focalizzare la propria attenzione verso altri argomenti e intrighi di palazzo, mantenendo stabile l’ormai celestiale bontà del Presidente Kirkman. Tuttavia, l’argomento della morte di Alex permane come white noise di sottofondo, chiamato in causa il giusto per poter portare a casa i quarantadue minuti canonici di episodio settimanale: ecco quindi che la tematica familiare viene ampliata introducendo la figura del fratello di Tom, dando spazio in conclusione di puntata a quello che si spera essere un commiato definitivo con una figura che inizia ad essere esageratamente sotto la luce dei riflettori (quella di Alex, non così fondamentale nei circa trenta episodi precedenti).
La puntata continua sui soliti e procedurali binari, con l’ennesima stucchevole dimostrazione di celestiale bontà di Tom, l’unico uomo che sarebbe capace di perdere di proposito la gara per l’uomo più buono del mondo proprio perché gli dispiacerebbe per il secondo, essendo troppo buono.
Battute a parte, si è persa la verve narrativa e la credibilità in scena sia delle tematiche dei singoli episodi, sia dei personaggi stessi: questa seconda stagione ha visto l’introduzione, forse in maniera decisamente troppo forzata, della sottotrama comica. Una venatura che non fa altro che appesantire la puntata, svilire ciò che gli sceneggiatori cercano di raccontare e far perdere allo spettatore l’interesse stesso per ciò che sta vedendo: la passata stagione aveva visto tematiche decisamente attuali portate in scena sorprendentemente bene; questa seconda stagione, nonostante le tematiche continuino ad essere di alto livello (si pensi alla questione dei Nativi d’America) sembra celare nel suo protrarsi alcune mine in cui prima o poi ci si imbatte, a volte anche inconsapevolmente.
A conti fatti, ormai, è difficile anche parlare e far menzione dei progressi della vera trama di stagione, considerato quanto la stessa vada rimbalzando tra un punto e l’altro senza alcun tipo di senso ed in maniera totalmente casuale. In sintesi, a Designated Survivor sembra mancare una direzione, in entrambe le direzioni.
Dal punto di vista episodico, la direzione che è stata intrapresa (ossia quella di mischiare vari stili narrativi) potrebbe anche funzionare, se non fosse che i momenti comici appaiano prestabiliti e non estemporanei: un personaggio come Lyor è impossibile immaginarlo in una veste seria, visto e considerato quanto non venga preso in considerazione alcuna in nessun ambito quanto meno importante della trama stessa; difficile non vederlo, di conseguenza, come un mero pupazzo comico gettato alla rinfusa giusto per produrre qualche risata.
Dal punto di vista stagionale una vera e propria direzione non esiste: tra indagini iniziate e mai concluse, doppigiochi, intrighi, mazzette ed alto tradimento verso lo Stato ed il Presidente, al momento si brancola nel buio. Ma è un buio di idee, non un buio volutamente creato dagli sceneggiatori per creare alte aspettative per le successive puntate o per il finale di stagione stesso.
Una cosa positiva questa serie però continua ad averla: si lascia guardare. Presa a sé, senza valutare il senso logico di cosa viene raccontato, né come viene raccontato, senza soppesare personaggi spariti/ricomparsi, ma soprattutto spegnendo in maniera totale il cervello durante la visione, la puntata funziona.
Ma questo basta davvero? No, nella maniera più assoluta.
La puntata continua sui soliti e procedurali binari, con l’ennesima stucchevole dimostrazione di celestiale bontà di Tom, l’unico uomo che sarebbe capace di perdere di proposito la gara per l’uomo più buono del mondo proprio perché gli dispiacerebbe per il secondo, essendo troppo buono.
Battute a parte, si è persa la verve narrativa e la credibilità in scena sia delle tematiche dei singoli episodi, sia dei personaggi stessi: questa seconda stagione ha visto l’introduzione, forse in maniera decisamente troppo forzata, della sottotrama comica. Una venatura che non fa altro che appesantire la puntata, svilire ciò che gli sceneggiatori cercano di raccontare e far perdere allo spettatore l’interesse stesso per ciò che sta vedendo: la passata stagione aveva visto tematiche decisamente attuali portate in scena sorprendentemente bene; questa seconda stagione, nonostante le tematiche continuino ad essere di alto livello (si pensi alla questione dei Nativi d’America) sembra celare nel suo protrarsi alcune mine in cui prima o poi ci si imbatte, a volte anche inconsapevolmente.
A conti fatti, ormai, è difficile anche parlare e far menzione dei progressi della vera trama di stagione, considerato quanto la stessa vada rimbalzando tra un punto e l’altro senza alcun tipo di senso ed in maniera totalmente casuale. In sintesi, a Designated Survivor sembra mancare una direzione, in entrambe le direzioni.
Dal punto di vista episodico, la direzione che è stata intrapresa (ossia quella di mischiare vari stili narrativi) potrebbe anche funzionare, se non fosse che i momenti comici appaiano prestabiliti e non estemporanei: un personaggio come Lyor è impossibile immaginarlo in una veste seria, visto e considerato quanto non venga preso in considerazione alcuna in nessun ambito quanto meno importante della trama stessa; difficile non vederlo, di conseguenza, come un mero pupazzo comico gettato alla rinfusa giusto per produrre qualche risata.
Dal punto di vista stagionale una vera e propria direzione non esiste: tra indagini iniziate e mai concluse, doppigiochi, intrighi, mazzette ed alto tradimento verso lo Stato ed il Presidente, al momento si brancola nel buio. Ma è un buio di idee, non un buio volutamente creato dagli sceneggiatori per creare alte aspettative per le successive puntate o per il finale di stagione stesso.
Una cosa positiva questa serie però continua ad averla: si lascia guardare. Presa a sé, senza valutare il senso logico di cosa viene raccontato, né come viene raccontato, senza soppesare personaggi spariti/ricomparsi, ma soprattutto spegnendo in maniera totale il cervello durante la visione, la puntata funziona.
Ma questo basta davvero? No, nella maniera più assoluta.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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A volte è davvero difficile riuscire ad esprimere in maniera completa ed arzigogolata un concetto ben più ampio di un laconico e perentorio “che schifo”. In questa recensione abbiamo ampiamente girato attorno a queste due semplici parole.
The Final Frontier 2×12 | 3.60 milioni – 0.6 rating |
Original Sin 2×13 | 3.69 milioni – 0.6 rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.