“I think I did something… something wrong. And I don’t know what is it”
La psicologia è da sempre uno dei temi più interessanti da affrontare al cinema o in una serie tv.
La figura dello psicologo e il rapporto che s’instaura con il suo paziente è molto particolare, un ruolo che può essere d’aiuto ma volendo anche manipolatorio.
Già la serie Netflix Gypsy con Naomi Watts aveva cercato di affrontare queste tematiche in un’ottica thriller-drama in chiave sentimentale (in pratica una versione blanda ed edulcorata di 50 Sfumature Di Grigio, ma con lo stesso livello di trashaggine).
Homecoming di Amazon con Julia Roberts cerca invece di spostare l’attenzione su una congiura legal-thriller di chiaro stampo gombloddistico di cui però manca una parte fondamentale: il gombloddo stesso!
Al di là della regia e dello stile sicuramente evocativo, la tensione che trasuda per tutta la durata dell’episodio, non si concretizza effettivamente in niente, creando così l’ennesimo episodio di stallo in cui veniamo a conoscenza di un lato “oscuro” della protagonista e di una parte del suo passato che però pare essere scollegata con la storyline principale.
Nel lungo flashback (riconoscibile per il formato 1:1 e per la fotografia) lo spettatore viene a conoscenza del primo incontro tra Heidi e il suo capo Colin.
Uno strano rapporto che, fin dai primi dialoghi, appare all’inizio come “innocente” (un uomo single incontra una donna single in una lavanderia e ci prova con lei) e che diventa via via sempre più ambiguo.
Questa storyline dovrebbe poi appaiarsi tematicamente con quella solita tra Heidi e Cruz, qui messa in crisi dall’arrivo inaspettato della madre del soldato, Gloria (un’intensa Marianne Jean-Baptiste), una vera e propria madre-freudiana che in una serie del genere è nel suo habitat naturale.
Come tutte le madri ansiogene preoccupate, infatti, Gloria è la prima a notare qualcosa di strano nel comportamento del figlio dal ritorno dalla guerra e mette in relazione questo comportamento con l’utilizzo, da parte dei soldati, di alcuni prodotti targati Great Emergat Group, azienda legata (guarda caso) anche alla clinica Homecoming. Semplice paranoica gombloddistica di stampo grillino? Ansia da stress casalingo? Oppure una semplice COINCIDENZA? (Io non credo).
Fatto sta che basta il semplice dubbio per insinuare la stessa paura nella protagonista stessa (tra l’altro con un’escamotage narrativo-visivo che potrebbe essere considerato un vero e proprio omaggio a Dario Argento) e minare il rapporto instaurato tra lei e il suo “paziente”.
Tale dubbio viene mantenuto fino alla fine ed espresso con numerose metafore registiche che fanno di Homecoming una delle serie più sperimentali a livello tecnico.
Il problema è che tutto questo sperimentalismo di fatto fa sì che la maggior parte delle azioni dei personaggi siano statiche. Troppe pause tra un plot twist e l’altro e troppe scene puramente dialogiche.
I personaggi per buona parte non fanno che parlare (da soli o tra di loro) addirittura restando immobili e in silenzio per parecchi secondi. È il caso della stessa Julia Roberts, la quale va detto che non brillava, già da prima di questa serie, per le sue espressioni facciali, qui risulta imprigionata in un immobilismo espressivo che la rende ancora più papabile per il titolo di Miglior Attrice Cagna 2018.
Homecoming parte sicuramente da premesse molto buone e i primi episodi sicuramente hanno creato una certa curiosità e un certo hype per questa serie. Ma non si può pensare di basare tutta una stagione (o almeno questi primi sei episodi) con un unico dubbio senza dare un minimo accenno di risposta (positiva o negativa che sia) e puntando tutta sulla sospensione dell’azione.
La tecnica e il virtuosismo registico ci stanno solo se accompagnati da una trama scorrevole. Quella di questo episodio sicuramente non lo è poiché troppo repentino è il cambio di scena da una trama temporale all’altra, e poi s’indugia troppo sulla questione. C’è da sperare che già dal prossimo episodio si avrà una qualche rivelazione sulla fantomatica clinica Homecoming.
Altrimenti non si sa per quanto ancora lo spettatore avrà pazienza e non verrà tentato di skippare immediatamente all’ultimo episodio.
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!