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Superata metà stagione e consci del rinnovo ad un secondo ciclo narrativo che The Twilight Zone ha ricevuto, pare l’occasione adatta per iniziare a porsi qualche domanda relativamente al buon operato della serie in sé.
Le valutazioni sono state altalenanti sugli schermi di RecenSerie ed anche questo episodio, a suo modo, non è riuscito a bucare lo schermo come forse, considerata l’affinità tra il contesto dello spazio della narrazione e l’oggetto della serie stessa, si sarebbe potuto giustamente aspettare.
“Six Degrees Of Freedom” cattura per la claustrofobica gestione della regia, per una gestione psicologica dei personaggi sicuramente di buon livello (diversamente da quanto accaduto negli altri episodi), ma ben lontana dall’essere un episodio più che sufficiente proprio per quegli impedimenti narrativi che già più volte si sono palesati nei precedenti cinque incontri settimanali.
L’intera puntata, fatta esclusione per gli ultimi istanti, si svolge all’interno di una navicella spaziale diretta su Marte. Si comprende quindi dove il lato claustrofobico trova spazio, ma tutto viene amplificato da un ulteriore elemento che ridipinge equilibri sociali (del gruppo di astronauti) e umani: la Corea Del Nord sferra un attacco massiccio agli USA proprio quando la navicella è in procinto di partire. La gestione frenetica dell’imminente pericolo (un missile diretto alla rampa di lancio) obnubila la mente dei membri dell’equipaggio così come quello dello spettatore: cosa fare? Abbandonare il pianeta e tutti i propri cari salvandosi e portando a termine il compito affidato loro oppure abortire la missione?
I dialoghi sono frenetici, ma razionali quasi all’assurdo. A rendere ancora più potenti da un punto di vista di puro coinvolgimento, come già detto, influisce sicuramente la regia di Jakob Verbruggen che predilige i primissimi piani dei membri dell’equipaggio piuttosto che riprese forse più d’effetto. Forse anche per una questione di budget (anche se nell’episodio lo bollano come metodo precauzionale) della Terra devastata dai missili non è concessa visione, quindi si cerca di giocare più sul vedo-non-vedo piuttosto che mostrare i danni effettivi dell’attacco.
Dopo la partenza, purtroppo, ecco che iniziano i veri problemi per una serie che ha dei plot potenzialmente validi e può sì contare su una regia di tutto rispetto, ma che continua ad impantanarsi in un elemento fondamentale per una serie tv: la storia vera e propria.
Ancora una volta, l’episodio sfora i cinquanta minuti: sembra quasi inutile ripetere per l’ennesima volta che “Nightmare At 30000 Feet” è stato un buon episodio principalmente per l’ottima capacità di gestione delle tempistiche.
E “Six Degrees Of Freedom” poteva benissimo essere un altro episodio condensabile in poco più di mezz’ora: dal quattordicesimo minuto in poi inizia un pedantissimo conto alla rovescia (all’atterraggio su Marte della navicella) che concede allo spettatore solo il lento ma progressivo deterioramento della sanità mentale dell’intero equipaggio. Niente di più, niente di meno. È da lodare la volontà di approfondire personaggi e dinamiche (cosa raramente avvenuta nei passati episodi, quanto meno non a questo livello), ma sicuramente quaranta minuti di gente-che-dice-cose poteva tranquillamente essere diminuito.
Il finale di puntata cerca di risollevare un po’ le sorti di un episodio altrimenti da vero e proprio sonnellino: tutto quello vissuto dall’equipaggio altro non sarebbe che un test, un superamento del così definito Grande Filtro, una delle possibili soluzioni del Paradosso di Fermi.
La serie quindi si nasconde nel filosofeggiare fantascientifico per cercare di salvare la situazione, ma forse è troppo tardi per rivalutare una puntata pedante e sonnolenta per più della metà del suo tempo.
C’è ben poco da salvare. Forse solo l’umanità dell’episodio.
Le valutazioni sono state altalenanti sugli schermi di RecenSerie ed anche questo episodio, a suo modo, non è riuscito a bucare lo schermo come forse, considerata l’affinità tra il contesto dello spazio della narrazione e l’oggetto della serie stessa, si sarebbe potuto giustamente aspettare.
“Six Degrees Of Freedom” cattura per la claustrofobica gestione della regia, per una gestione psicologica dei personaggi sicuramente di buon livello (diversamente da quanto accaduto negli altri episodi), ma ben lontana dall’essere un episodio più che sufficiente proprio per quegli impedimenti narrativi che già più volte si sono palesati nei precedenti cinque incontri settimanali.
L’intera puntata, fatta esclusione per gli ultimi istanti, si svolge all’interno di una navicella spaziale diretta su Marte. Si comprende quindi dove il lato claustrofobico trova spazio, ma tutto viene amplificato da un ulteriore elemento che ridipinge equilibri sociali (del gruppo di astronauti) e umani: la Corea Del Nord sferra un attacco massiccio agli USA proprio quando la navicella è in procinto di partire. La gestione frenetica dell’imminente pericolo (un missile diretto alla rampa di lancio) obnubila la mente dei membri dell’equipaggio così come quello dello spettatore: cosa fare? Abbandonare il pianeta e tutti i propri cari salvandosi e portando a termine il compito affidato loro oppure abortire la missione?
I dialoghi sono frenetici, ma razionali quasi all’assurdo. A rendere ancora più potenti da un punto di vista di puro coinvolgimento, come già detto, influisce sicuramente la regia di Jakob Verbruggen che predilige i primissimi piani dei membri dell’equipaggio piuttosto che riprese forse più d’effetto. Forse anche per una questione di budget (anche se nell’episodio lo bollano come metodo precauzionale) della Terra devastata dai missili non è concessa visione, quindi si cerca di giocare più sul vedo-non-vedo piuttosto che mostrare i danni effettivi dell’attacco.
Dopo la partenza, purtroppo, ecco che iniziano i veri problemi per una serie che ha dei plot potenzialmente validi e può sì contare su una regia di tutto rispetto, ma che continua ad impantanarsi in un elemento fondamentale per una serie tv: la storia vera e propria.
Ancora una volta, l’episodio sfora i cinquanta minuti: sembra quasi inutile ripetere per l’ennesima volta che “Nightmare At 30000 Feet” è stato un buon episodio principalmente per l’ottima capacità di gestione delle tempistiche.
E “Six Degrees Of Freedom” poteva benissimo essere un altro episodio condensabile in poco più di mezz’ora: dal quattordicesimo minuto in poi inizia un pedantissimo conto alla rovescia (all’atterraggio su Marte della navicella) che concede allo spettatore solo il lento ma progressivo deterioramento della sanità mentale dell’intero equipaggio. Niente di più, niente di meno. È da lodare la volontà di approfondire personaggi e dinamiche (cosa raramente avvenuta nei passati episodi, quanto meno non a questo livello), ma sicuramente quaranta minuti di gente-che-dice-cose poteva tranquillamente essere diminuito.
Il finale di puntata cerca di risollevare un po’ le sorti di un episodio altrimenti da vero e proprio sonnellino: tutto quello vissuto dall’equipaggio altro non sarebbe che un test, un superamento del così definito Grande Filtro, una delle possibili soluzioni del Paradosso di Fermi.
La serie quindi si nasconde nel filosofeggiare fantascientifico per cercare di salvare la situazione, ma forse è troppo tardi per rivalutare una puntata pedante e sonnolenta per più della metà del suo tempo.
C’è ben poco da salvare. Forse solo l’umanità dell’episodio.
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Grande Filtro, Paradosso di Fermi, entità aliene, spedizioni spaziali: se nemmeno questi elementi bastano a The Twilight Zone per spiccare il volo c’è ben poco da fare.
The Wunderkind 1×05 | ND milioni – ND rating |
Six Degrees Of Freedom 1×06 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.