“When the person who loves you most and best in this filthy world asks you to trust them, then you listen to that person, Joy, because that person has fought for you and that person knows what danger is, Joy, in a way that you don’t!”
(Castle Rock e il manifesto delle mamme-pancine.)
Se la puntata pilota di questa seconda stagione di Castle Rock, si era concentrata sulle due protagoniste madre-figlia, splendidamente interpretate da Lizzy Caplan ed Elsie Fisher, “New Jerusalem” si concentra su un’altra (l’ennesima considerando i cliché kinghiani) famiglia alquanto disfunzionale: i Merrill.
Il che fa apparire tutto l’episodio come una puntata di una soap-opera familiare in stile Dinasty o, ancora meglio, Beautiful, con tutte le varie trame e sottotrame relative ai singoli componenti della famiglia di Pop (un Tim Robbins in stato di grazia).
L’attore protagonista de Le Ali della Libertà conferma l’ottima scelta di guest-star facenti parte dell’universo cinematografico kinghiano (come nella prima stagione erano stati Bill Skarsgard e Sissy Spacek) da parte della produzione. Il suo Pop Merill si rivela un personaggio veramente inquietante e tormentato. Se, infatti, nel primo episodio poteva apparire solamente come un normale padre di famiglia alle prese con le solite diatribe tra figli (soprattutto tra figli “naturali” e figli “adottati”), qui il suo passato si rivela decisamente più contorto e interessante. Si intuisce che da giovane è stato in Somalia come soldato (ottimo anche il fatto che si possano approfondire, tramite la serie, pagine di storia contemporanea altrimenti dimenticate) e che deve aver mantenuto un certo rapporto con questo paese dal momento che ha cercato “appositamente” degli orfani somali da adottare dopo aver di fatto costruito un intero quartiere per i rifugiati di quel paese. Il tutto senza ancora rivelare quale sia il vero motivo di questa operazione, nonostante s’intuisce che i motivi sono tutt’altro che altruistici e, probabilmente, anche causa dell’allontanamento dei figli adottivi (anche se Abdi sembra essergli ancora fedele nonostante tutto).
Castle Rock si unisce così a tutta una serie di prodotti televisivi che fanno luce sulle contraddizioni dell’America trumpiana, ponendo l’attenzione sulla questione migratoria e sui problemi delle minoranze etniche (ma in generale di tutto ciò che riguarda l'”esportazione della democrazia”).
Ma al di là dell’essere un episodio dall’alto contenuto sociale, è pur sempre un’opera che nasce da un racconto di Stephen King e che, per questo motivo, ne rispecchia gli stilemi, i cliché e lo stile narrativo. Ragion per cui “Jerusalem Lot” è soprattutto un racconto che parla di legami famigliari complessi ed asfissianti, com’è appunto quello tra l’asfissiante madre-pancina Annie Wilkies e sua figlia Joy.
Pur se in secondo piano, questa storyline ancora rappresenta il vero punto di forza di tutte le vicende raccontate e, soprattutto, ne rappresenta il vero lato “horror” con le visioni continue di Annie che sbucano ripetutamente dalla sua mente; mentre le vicende della famiglia Merrill rimangono (almeno per il momento) più sul versante thriller-drama, anche se il discorso di Pop sulle “streghe” di Castle Rock lascia intuire come lui stesso possa sapere qualcosa (e quindi essere coinvolto) anche su questa vicenda esoterica. Anche l’introduzione dell’episodio, in questo senso, funziona molto bene: il viaggio nella “grotta sotterranea” di Batman Begins di Annie utilizza molto bene tutti gli stilemi del caso, collocandosi a metà tra IT (e vista l’ambientazione ci si poteva tranquillamente aspettare un palloncino rosso all’interno delle fognature) e Hill House. Il riferimento alla serie Netflix di Mike Flanaghan non è affatto casuale: anche quella serie era piena di riferimenti alle opere di King e anche in quel caso ci si trovava di fronte a una casa “stregata”, come quella che compare dall’altra parte della galleria e in cui si trova improvvisamente Annie.
E ovviamente non si tratta di una casa qualunque ma della celebre Marsten House, che allo spettatore kinghiano doc risulterà perfettamente familiare in quanto ricorrente in molti romanzi e racconti, quasi come un personaggio a sé stante. Allo stesso modo, le vicende della famiglia Merrill si rifanno a quelle del racconto Jerusalem’s Lot (probabilmente da qui il titolo dell’episodio), per cui s’intuisce che la casa stregata sarà un elemento importante all’interno della narrazione e probabilmente il principale trait d’union tra le due storyline principali, cosa che fa crescere enormemente l’hype nei confronti di questa seconda stagione. E cosa che, allo stesso tempo, fa incazzare maggiormente il suddetto spettatore poiché sembra lasciare in sospeso un elemento importante troncando la puntata in malo modo, proprio nel punto in cui diventa più interessante, di fatto facendola diventare quasi un episodio di raccordo.
Certo, ci saranno tanti altri episodi per recuperare questo gap, e di sicuro gli autori hanno in serbo tante sorprese per gli spettatori che avranno il coraggio (in senso positivo) di proseguire la visione. Ma certo, il minutaggio e le scelte dei plot twist andrebbero un attimo rivisti.
Ma si tratta, in fondo, di mere sottigliezze in un episodio che, comunque, dispone di tutti gli elementi necessari per tenere alta l’attenzione e creare la giusta dose di suspense. Non rimane che vedere dunque cosa nasconde la misteriosa Marsten House e come quest’ultima farà incontrare/scontrare le famiglie Merrill e Wilkies. Sperando che non si ammazzino fra di loro molto prima.
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Let The River Run 2×01 | ND milioni – ND rating |
New Jerusalem 2×02 | ND milioni – ND rating |
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!