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Arrivata un po’ in sordina nel palcoscenico seriale mondiale, questa miniserie australiana di sei episodi sta avendo ora una seconda giovinezza grazie a Netflix visto che è stata prodotta e trasmessa (da marzo ad aprile 2020) solamente per il mercato australiano finora. Ed il perché di questa seconda giovinezza è presto detto: Yvonne Strahovski (Chuck e The Handmaid’s Tale) è la protagonista, Cate Blanchett (più recentemente vista in Mrs. America) è sia creatrice che produttrice esecutiva e ricopre pure un ruolo secondario nella miniserie. Insomma, il cast basta da solo per attirare l’attenzione, poi la storia fa il resto.
Stateless prende infatti ampiamente spunto, prima di romanzare ciò che gli fa comodo, dalla storia di Cornelia Rau, una cittadina tedesca con passaporto australiano che è stata imprigionata per dieci mesi in un centro di detenzione per immigrati clandestini nel mezzo del deserto australiano. Il come ci è arrivata li lo spiega questo pilot (più o meno), il perché invece è decisamente lasciato alla libera interpretazione dello spettatore che, verosimilmente, propenderà per il bipolarismo del character interpretato dalla Strahovski.
Questo è, di fatto, il tasto più dolente di una series première molto confusa e priva di quell’appeal che invece si poteva intravvedere nel trailer. Sofie Werner, la Cornelia Rau di Stateless, lavora(va) come hostess di una compagnia aerea, ha chiaramente un complesso d’inferiorità nei confronti della sorella per via di una predilezione dei genitori verso la figlia maggiore ed è ovviamente vittima di un raggiro da parte di una setta (che si rifà alla Kenja Communication). La debolezza psicologica del personaggio è limpida, manca tuttavia il focus sulla schizofrenia di un character che palesemente soffre di questo disturbo. Una schizofrenia che è la chiave per capire anche la scena finale (prima dell’inutile bagno nell’oceano in cui sembra cercare il suicidio) e che non può essere data per scontata, soprattutto per il pubblico internazionale che non è a conoscenza della storia.
Nel corso di questa “The Circumstances In Which They Come” chiaramente si presentano altri personaggi che andranno a popolare l’universo narrativo della miniserie e che, ovviamente, si incontreranno tutti per diverse ragioni nel centro di detenzione. Tra questi emerge ovviamente la figura di Ameer che, paradossalmente se si pensa a dove sono state inserite le attrici più famose, performa decisamente meglio della combo Strahovski/Blanchett. Anche qui ci sono diversi buchi nella sceneggiatura (tipo la riconquista dei soldi) ma almeno la storia è più interessante e decisamente più facile da empatizzare.
Stateless prende infatti ampiamente spunto, prima di romanzare ciò che gli fa comodo, dalla storia di Cornelia Rau, una cittadina tedesca con passaporto australiano che è stata imprigionata per dieci mesi in un centro di detenzione per immigrati clandestini nel mezzo del deserto australiano. Il come ci è arrivata li lo spiega questo pilot (più o meno), il perché invece è decisamente lasciato alla libera interpretazione dello spettatore che, verosimilmente, propenderà per il bipolarismo del character interpretato dalla Strahovski.
Questo è, di fatto, il tasto più dolente di una series première molto confusa e priva di quell’appeal che invece si poteva intravvedere nel trailer. Sofie Werner, la Cornelia Rau di Stateless, lavora(va) come hostess di una compagnia aerea, ha chiaramente un complesso d’inferiorità nei confronti della sorella per via di una predilezione dei genitori verso la figlia maggiore ed è ovviamente vittima di un raggiro da parte di una setta (che si rifà alla Kenja Communication). La debolezza psicologica del personaggio è limpida, manca tuttavia il focus sulla schizofrenia di un character che palesemente soffre di questo disturbo. Una schizofrenia che è la chiave per capire anche la scena finale (prima dell’inutile bagno nell’oceano in cui sembra cercare il suicidio) e che non può essere data per scontata, soprattutto per il pubblico internazionale che non è a conoscenza della storia.
Nel corso di questa “The Circumstances In Which They Come” chiaramente si presentano altri personaggi che andranno a popolare l’universo narrativo della miniserie e che, ovviamente, si incontreranno tutti per diverse ragioni nel centro di detenzione. Tra questi emerge ovviamente la figura di Ameer che, paradossalmente se si pensa a dove sono state inserite le attrici più famose, performa decisamente meglio della combo Strahovski/Blanchett. Anche qui ci sono diversi buchi nella sceneggiatura (tipo la riconquista dei soldi) ma almeno la storia è più interessante e decisamente più facile da empatizzare.
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Per essere la series première che dovrebbe capitalizzare l’attenzione e la curiosità dello spettatore per i successivi 5 episodi, “The Circumstances In Which They Come” fallisce sotto quasi tutti i punti di vista. Nonostante la bravura di Cate Blanchett e di Yvonne Strahovski, la regia frammentaria ed una sceneggiatura più che superficiale sopprimono la qualità del pilot. Purtroppo.
The Circumstances In Which They Come 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.