12 Monkeys 2×01 – Year Of The MonkeyTEMPO DI LETTURA 4 min

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This is the story of how the world ends, one that begins at the end and ends at the beginning. A story that, like time itself, can be changed.”

A poco più di un anno dal suo primo season finale, la trasposizione televisiva dell’intramontabile capolavoro di Terry Gilliam torna a sollecitare la nostra attività neuronale con una premiere che fa ben sperare circa il prosieguo della serie. Serie che comunque non si presenta esente dai soliti difettucci, da noi già lamentati nel corso della precedente stagione telefilmica.
Un confronto tra le due opere, cinematografica e televisiva, apparirebbe ormai inutile e privo di significato. I sentieri narrativi percorsi dagli autori appaiono sempre più distinti e, seppur con un po’ di fatica, lo show ideato da Matalas e Fickett è riuscito progressivamente ad emanciparsi dalla sua opera madre, imparando col tempo a camminare con le proprie gambe. Se proprio si volesse cercare un aspetto negativo emerso dalla trasposizione da cinema a tv, senza dubbio le note dolenti giungerebbero una volta analizzato la componente visiva. Nella pellicola diretta da Gilliam presente e futuro traevano la propria forza (visiva) dalla contrapposizione. Rifiuti, cianfrusaglie e ambienti meccanici al limite del pacchiano si ponevano in forte contrasto con la normalità del presente, conferendo al film uno stile inconfondibile proprio in virtù dell’iconico futuro distopico ideato da Gilliam e colleghi. In 12 Monkeys, un po’ per il numero ridotto di location, un po’ per l’evidente ristrettezza di budget di SyFy, questa “riconoscibilità stilistica” viene meno, causando così un appiattimento estetico rispetto alla pellicola del 1996, pregna invece del talento visionario dell’ex Monty Python.
Detto questo, il telefilm continua a difendersi bene, intrattenendo in maniera più che dignitosa e utilizzando al meglio le risorse messe a disposizione sia dal punto di vista autoriale che attoriale. Capiamoci bene, la puntata in sé non è certo eccezionale, ma considerato il margine di incertezza sotteso alla logica seriale, dotata di un’elasticità potenzialmente infinita conferitagli dall’esteso minutaggio a disposizione, la serie ha certamente ampi margini di crescita. In altre parole lo show rinuncia a quel forte impatto visivo mostrato in novanta minuti di film scommettendo tutto sulla sapiente costruzione di un intricato ordito narrativo che riesca a reggere bene nel lungo periodo. Un lavoro che nella precedente stagione diede i suoi frutti, sempre con le dovute riserve, e che si spera venga riproposto in questa seconda annata prima che “L’Under The Dome Effect” (per tutti coloro che non hanno avuto la sfortuna di seguire la serie sopracitata, l’UTDE si manifesta quando una trasposizione, letteraria, televisiva o cinematografica, finisce per allontanarsi dall’originale a tal punto da sfociare nel trash più becero, rinunciando così a tutta la sua dignità residua) arrivi a contagiare lo show peggio della pandemia tanto temuta da Cole e soci.
Molto apprezzata la ritrovata coppia Cole-Ramse, nonostante l’evidente “tamarrìa” mostrata nel momento della loro entrata in scena, meno apprezzata la persistente deriva da bad girl presa da Cassandra, ormai più vicina ad un’agente dello S.H.I.E.L.D. che alla titubante dottoressa conosciuta ad inizio serie. Discorso simile, seppur di segno opposto, per Deacon, inserito in un percorso che parrebbe di riabilitazione, volto probabilmente – e mentre lo diciamo speriamo caldamente di sbagliarci – alla trasformazione del personaggio da villain ad alleato. Abbastanza ridicola la diagnosi lampo di Cassie in pieno stile Gregory House, ancor più ridicola la sua espressione sorpresa dopo aver accoltellato uno dei Messaggeri. Osservazioni che lasciano trasparire il nostro dissenso sia rispetto al personaggio interpretato da Amanda Schull, sia (e soprattutto) rispetto all’attrice stessa, vera e propria “cagna maledetta” alla René Ferretti. Giudizio che invece risulta capovolto voltando lo sguardo in direzione di Emily Hampshire, gioia per gli occhi non solo per la sua presenza fisica, ma anche per l’ottima interpretazione della sua Jennifer Goines, un mix tra dolcezza e squilibrio mentale gestito ottimamente dalla talentuosa attrice canadese.

 

THUMBS UP THUMBS DOWN
  • Infinite possibilità narrative
  • Coppia Cole-Ramse
  • Kirk Acevedo e Emily Hampshire molto convincenti nei rispettivi ruoli
  • Gli oggetti misteriosi portati dai Messaggeri nei loro viaggi temporali (forse oggetti contaminati dal virus?)
  • Lo speed-date con Dale
  • Forza visiva del telefilm debole
  • Occhio agli eccessi di tamarrìa
  • Amanda Schull
  • Presunta riabilitazione di Deacon

 

Indecisi tra Thank e Save, questa settimana decidiamo di rimanere sulla sufficienza, riponendo però fiducia nel futuro della serie. L’episodio non sarà certo una pietra miliare nel mondo della serialità televisiva, e certamente non ha nemmeno la pretesa di esserlo, ma riesce a intrattenere in maniera più che dignitosa alimentando anche dubbi e curiosità circa la direzione che il telefilm prenderà nelle prossime puntate ora che il processo di emancipazione dall’opera madre è ufficialmente completato.

 

Arms Of Mine 1×13 0.66 milioni – 0.2 rating
Year Of The Monkey 2×01 0.48 milioni – 0.1 rating

 

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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.

1 Comment

  1. comunque l'attrice che fa la dottoressa giovane recita bene e che in questa serie è inspiegabilmente fuori ruolo

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