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Con solamente altri due episodi a disposizione il destino di 1983 appare ormai scritto: una debacle sotto qualsiasi fronte ed in ogni frangente.
Il più grande rammarico che la serie porta in essere è sicuramente lo spreco narrativo di cui la si può tranquillamente ritenere colpevole: non sfruttare pienamente il costrutto narrativo di carattere distopico attorno al quale il prodotto cerca di districarsi, è una grandissima mancanza di bravura. Semplicemente. Ed è corretto sottolineare come questa annotazione non sia puramente soggettiva e dettata dal gusto personale, quanto piuttosto per l’incapacità di 1983 di riuscire a calamitare l’attenzione dello spettatore per più di due minuti consecutivi.
A non aiutare, sicuramente, è anche il comparto attoriale e la lingua utilizzata per la messa in scena, nonostante relativamente a questo punto vada fatta una corretta precisazione: Dark, nonostante la pesantezza e la ruvidità della lingua tedesca, ha avuto una capacità più che rara di attrarre lo spettatore e di coinvolgerlo in una storia che di lineare e semplice non aveva assolutamente nulla. Le molteplici linee temporali narrate nella prima serie tv tedesca di Netflix riuscivano ad attrarre tranquillamente superando la “problematica” della lingua: la storia, quindi, veniva in aiuto e permetteva allo spettatore di evitare questo handicap. Un qualcosa che in 1983 non è avvenuto, non avviene e molto probabilmente (salvo il caso in cui il finale regali un colpo di scena miracoloso) non avverrà.
Questo distacco tra pubblico e serie lo si ritrova, per esempio, nel momento in cui per un personaggio in scena sopraggiunge una morte violenta: la sua eliminazione non crea sentimentalismi, non scuote gli animi e anzi spinge a chiedersi “sì, ma chi era?” un po’ come quando si viene informati della morte di una persona del proprio sperduto paesino conosciuta anni e anni prima e si finge di ricordarne, anche solo per un concitato attimo, della sua esistenza.
Questa assenza di ricordi non è dettata da pura e semplice disattenzione durante la visione, quanto piuttosto da una incapacità, a questo punto ridondante, da parte della serie di riuscire a far entrare in sintonia il proprio pubblico con i personaggi della storia che vuole raccontare. Certo, i personaggi secondari sono molteplici e sarebbe stato deleterio e senza senso analizzarli tutti uno ad uno. Tuttavia avrebbe avuto anche più senso ed avrebbe fatto maggiore presa sul pubblico se la serie si fosse soffermata, magari durante un solo episodio, ad analizzare tutti i fronti di questa lotta rivoluzionaria. Un qualcosa già avvenuto, per esempio, in Counterpart e che persino Colony aveva capito essere importante.
E’ comprensibile che se pure la serie con Holloway può insegnare qualcosa a 1983, allora gli standard si sono notevolmente abbassati e stenteranno ad alzarsi.
Un altro elemento sfruttato in maniera davvero oscena è quello dei flashback: il continuo saltare da una linea all’altra fa perdere il contatto con ciò che si sta guardando e non si percepisce più cosa sia passato e cosa presente. La puntata fluisce come un tutt’uno senza che si possa percepire l’introduzione di questa o quella linea temporale. Ovviamente osservando i personaggi in scena ed avendoli ormai conosciuti, si deduce cosa la serie voglia raccontare. La critica che si sta cercando di appuntare è relativa alle tempistiche di questi cambi narrativi: solitamente i flashback vengono sfruttati o per adornare il racconto, quindi collegandosi direttamente a quello che si sta raccontando nella linea temporale principale con richiami diretti; oppure si utilizzano per colpire lo spettatore con precisi colpi di scena. 1983 non utilizza nessuno dei due schemi sopracitati: la serie sembra composta da due storia a sua volta. Una ambientata, appunto, nel 1983 e l’altra nel 2003 che vengono mandate a ripetizione sullo schermo ed alternate in maniera del tutto casuale dopo che un montatore forse ubriaco ha deciso bene di inserire spezzoni vari di una o dell’altra linea temporale.
Il risultato è quindi il caos dove sì, le due narrazioni collimano per ovvie ragioni di trama, ma che faticano a trovare sinergia e creano solo ulteriore confusione durante la visione.
Per fortuna mancano solo due episodi alla conclusione.
Il più grande rammarico che la serie porta in essere è sicuramente lo spreco narrativo di cui la si può tranquillamente ritenere colpevole: non sfruttare pienamente il costrutto narrativo di carattere distopico attorno al quale il prodotto cerca di districarsi, è una grandissima mancanza di bravura. Semplicemente. Ed è corretto sottolineare come questa annotazione non sia puramente soggettiva e dettata dal gusto personale, quanto piuttosto per l’incapacità di 1983 di riuscire a calamitare l’attenzione dello spettatore per più di due minuti consecutivi.
A non aiutare, sicuramente, è anche il comparto attoriale e la lingua utilizzata per la messa in scena, nonostante relativamente a questo punto vada fatta una corretta precisazione: Dark, nonostante la pesantezza e la ruvidità della lingua tedesca, ha avuto una capacità più che rara di attrarre lo spettatore e di coinvolgerlo in una storia che di lineare e semplice non aveva assolutamente nulla. Le molteplici linee temporali narrate nella prima serie tv tedesca di Netflix riuscivano ad attrarre tranquillamente superando la “problematica” della lingua: la storia, quindi, veniva in aiuto e permetteva allo spettatore di evitare questo handicap. Un qualcosa che in 1983 non è avvenuto, non avviene e molto probabilmente (salvo il caso in cui il finale regali un colpo di scena miracoloso) non avverrà.
Questo distacco tra pubblico e serie lo si ritrova, per esempio, nel momento in cui per un personaggio in scena sopraggiunge una morte violenta: la sua eliminazione non crea sentimentalismi, non scuote gli animi e anzi spinge a chiedersi “sì, ma chi era?” un po’ come quando si viene informati della morte di una persona del proprio sperduto paesino conosciuta anni e anni prima e si finge di ricordarne, anche solo per un concitato attimo, della sua esistenza.
Questa assenza di ricordi non è dettata da pura e semplice disattenzione durante la visione, quanto piuttosto da una incapacità, a questo punto ridondante, da parte della serie di riuscire a far entrare in sintonia il proprio pubblico con i personaggi della storia che vuole raccontare. Certo, i personaggi secondari sono molteplici e sarebbe stato deleterio e senza senso analizzarli tutti uno ad uno. Tuttavia avrebbe avuto anche più senso ed avrebbe fatto maggiore presa sul pubblico se la serie si fosse soffermata, magari durante un solo episodio, ad analizzare tutti i fronti di questa lotta rivoluzionaria. Un qualcosa già avvenuto, per esempio, in Counterpart e che persino Colony aveva capito essere importante.
E’ comprensibile che se pure la serie con Holloway può insegnare qualcosa a 1983, allora gli standard si sono notevolmente abbassati e stenteranno ad alzarsi.
Un altro elemento sfruttato in maniera davvero oscena è quello dei flashback: il continuo saltare da una linea all’altra fa perdere il contatto con ciò che si sta guardando e non si percepisce più cosa sia passato e cosa presente. La puntata fluisce come un tutt’uno senza che si possa percepire l’introduzione di questa o quella linea temporale. Ovviamente osservando i personaggi in scena ed avendoli ormai conosciuti, si deduce cosa la serie voglia raccontare. La critica che si sta cercando di appuntare è relativa alle tempistiche di questi cambi narrativi: solitamente i flashback vengono sfruttati o per adornare il racconto, quindi collegandosi direttamente a quello che si sta raccontando nella linea temporale principale con richiami diretti; oppure si utilizzano per colpire lo spettatore con precisi colpi di scena. 1983 non utilizza nessuno dei due schemi sopracitati: la serie sembra composta da due storia a sua volta. Una ambientata, appunto, nel 1983 e l’altra nel 2003 che vengono mandate a ripetizione sullo schermo ed alternate in maniera del tutto casuale dopo che un montatore forse ubriaco ha deciso bene di inserire spezzoni vari di una o dell’altra linea temporale.
Il risultato è quindi il caos dove sì, le due narrazioni collimano per ovvie ragioni di trama, ma che faticano a trovare sinergia e creano solo ulteriore confusione durante la visione.
Per fortuna mancano solo due episodi alla conclusione.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Aggiungere altro sarebbe superfluo. Per i pochi coraggiosi che seguono questa serie un messaggio: resistete, manca poco.
Sanctuary 1×05 | ND milioni – ND rating |
Subversion 1×06 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.