“If you’re watching this, then I’m not around anymore. I couldn’t say any of this to your face. It’s too embarrassing. For you, not for me, obviously. You’re never very good to hearing how lovely you are. But you are. You are. You lovely. But you are absolutely fucking useless.”
Questa nuova produzione Netflix è uno di quei prodotti di nicchia che non vengono in genere cercati o suggeriti da qualche moda del momento e infatti si tratta di una serie praticamente non pubblicizzata dalla stessa piattaforma. Ma questo modus operandi non è nuovo per l’azienda di Reed Hastings e i concetti di “qualità” e “buona scrittura” sono indipendenti, fortunatamente, dal lavoro di commercializzazione degli show.
Il dramedy scritto da Ricky Gervais infatti sembra essere un capolavoro di black humour in cui si passa continuamente dal ridere di gusto per le continue battute sarcastiche e ciniche del protagonista, al pianto e alla commozione per la sua condizione, intrecciando il tutto in un unico grande amalgama di sentimenti contrastanti. Si sta parlando, in questo caso, ovviamente di uno spettatore neofita per quanto riguarda i prodotti dello stand-up comedian inglese. Per lo spettatore esperto infatti il vedere Ricky Gervais in uno show dove si ride ma si riflette anche e ci si commuove potrebbe risultare un passo indietro rispetto al solito cinismo politicamente scorretto di cui il personaggio è portatore. Tuttavia After Life è un prodotto talmente coinvolgente che la sorpresa può tranquillamente far passare in secondo piano anche questo aspetto.
Protagonista dello show è Tony (lo stesso Ricky Gervais), un “giornalista” (scrive per un quotidiano di strada gratuito tipo Leggo) colpito da un lutto recente: la scomparsa, a causa di un cancro, dell’amata moglie Lisa (un’intensa e straordinaria Kerry Godliman). In preda a una continua depressione per questo fatto, la sua vita si barcamena in cerca di un senso e di una motivazione per alzarsi la mattina e compiere il proprio lavoro. Sfortunatamente per chiunque gli capiti intorno, Tony un senso per la sua vita ce l’ha eccome: prendersi gioco continuamente del suo prossimo tormentandolo con commenti acidi e politicamente scorretti, protetto dal fatto che nessuno può ribattere o rispondergli contro, dopotutto è pur sempre un uomo in lutto!
Già da questa descrizione si può intuire il potenziale comico del personaggio di Gervais, una vera e propria mina vagante che getta acidità e dark humour verso tutto e tutti, con comportamenti e dialoghi spiazzanti e cinici che fanno del trash talking la loro ragione d’essere. Al contempo si tratta di una geniale satira nei confronti del politicamente corretto e del buonismo dei sentimenti a tutti i costi. Ma è anche un’ottima serie sul tema della depressione e sulla volontà, nonostante tutto, di ricominciare a vivere, anche dopo un grave lutto (da qui il titolo!).
Lo schema narrativo della serie, infatti, prevede che di puntata in puntata Tony, sempre sul punto di suicidarsi, trovi un senso o comunque un appiglio per continuare a vivere, come vorrebbe la defunta moglie le cui ultime volontà vengono riportate allo spettatore in alcuni filmati pre-morte. Filmati che sono il punto più commovente e “alto” che la serie propone in quanto si tratta di un’escamotage narrativo veramente forte e che tocca le corde sensibili dello spettatore. Tuttavia, attraverso la bravura degli interpreti, i dialoghi contribuiscono a rendere anche quei momenti una scusa per infilare gag sul comportamento di Tony, alleggerendo una tematica che, altrimenti, sarebbe risultata troppo pesante.
Questo equilibrio tra drama e comedy risulta, quindi, nel complesso ben riuscito e i numerosi personaggi di contorno contribuiscono a rendere l’atmosfera del racconto surreale al punto giusto.
Non solo Tony, infatti, ma tutta la redazione del giornale è fin da subito descritta come una galleria di personaggi destinati a piacere per la loro comicità, dal personaggio di Matt (Tom Basden) a Lenny (Tony Way). Così come qualsiasi character con cui ha a che fare il protagonista, dal postino Pat fino al comico e, allo stesso tempo, toccante padre, malato di Alzheimer, David Bradley (già visto in Game of Thrones e nella prima stagione de I Medici). Un cast veramente ricco e affiatato, di cui rimane come unica pecca il personaggio interpretato da Mandeep Dhillon (la giovane stagista Sandy) alla quale viene dato ampio spazio all’inizio e che potrebbe rivelarsi fondamentale per aiutare Tony ad uscire dalla sua depressione. Time-screen interessante ma che tuttavia poi viene abbandonata dalla sceneggiatura e così il personaggio, al momento, manca di una caratterizzazione veramente forte. Ma si tratta di una pecca davvero di poco conto nell’economia generale della puntata, così come la scena dei due baby-rapinatori che pare fatta unicamente per riempire un vuoto e arrivare ai 30′ di episodio netti. Tanto poi ci pensano la fotografia chiaroscurale (in linea con il personaggio principale) e la meravigliosa soundtrack (in cui è da annoverare un Lou Reed nei titoli di coda) a colmare queste mancanze a diventare veramente garanzia di originalità e qualità per la serie.
Al momento After Life appare come pienamente riuscita, un piccolo gioiellino di dark humour, tipicamente british, di cui è quasi impossibile non innamorarsi ad una prima visione. Si spera che tale qualità rimanga e si rafforzi sempre di più anche nei successivi episodi.
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Episode 1 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!