Ursula Iguaràn: “Gli uomini si abituano alla guerra. E poi non sanno più come uscirne.”
Questa frase di Ursula Iguaràn, una delle più famose ed iconiche del romanzo di Marquez, riassume in maniera impeccabile quest’ultimo segmento di One Hundred Years Of Solitude. Un segmento che arriva esattamente a metà delle vicende narrate nel libro, con la completa maturità della seconda generazione dei Buendìa.
Una maturità che vede i due figli maschi della coppia dei fondatori (Arcadio II e Aureliano) confrontarsi con una vera e propria guerra civile che riguarda non solo il paese di Macondo ma tutta la Colombia.
In questa guerra i due fratelli sono schierati con il Partito Liberale, e ciascuno di loro raggiunge rispettivamente il proprio apice esistenziale ma, purtroppo, anche la propria caduta sia esistenziale che morale, in un vero e proprio cerchio che chiude simbolicamente tutte le vicende di questa prima generazione dei Buendìa.
IL MITO DEL CORONEL AURELIANO BUENDÌA
Per quanto riguarda Arcadio II, approfittando dell’assenza del ben più carismatico fratello Aureliano, questi instaura a Macondo una vera e propria dittatura, auto-nominandosi “jefe” del villaggio. Il che porta, nei fatti, ad una vera e propria dittatura, dal momento che Arcadio ha finalmente l’occasione di sfogarsi dopo anni di vessazioni e mancato affetto da parte dei propri famigliari.
La sua parabola politica però finirà nel modo peggiore con la morte, dopo un’incredibile piano-sequenza in cui i militari del governo prendono possesso di Macondo. La lunga sequenza è una delle più mirabili e struggenti dell’intera stagione e dimostra tutta la capacità di Alex Garcia Lopez di creare scene action mantenendo però lo stesso tono romantico ed epico visto finora.
Diverso il destino di Aureliano il cui percorso evolutivo è mostrato, in realtà, in maniera alquanto frettolosa e velocizzata (d’altra parte gli sceneggiatori dovevano, in qualche modo condensare le pagine di Marquez in pochi episodi), ma abbastanza per mostrare la nascita del mito del coronel Aureliano Buendìa, ambiguo capo dei rivoluzionari, diventato il vero e proprio simbolo del romanzo stesso.
L’interpretazione di Claudio Cataño è a dir poco impeccabile nel mostrare il percorso evolutivo del personaggio e il suo passaggio al “lato oscuro” con il bellissimo cliffhanger finale con cui si chiude questa prima parte di stagione.
LA CICLICITÀ DEGLI EVENTI
E, non a caso, la serie si conclude con un’altra frase della stessa Ursula, in cui ammette, con il marito, di aver effettivamente “creato un mostro“. Nel primo episodio, infatti, si parlava molto del rischio (da parte di due consanguinei come lei e Josè Arcadio) di poter avere un figlio con la coda di porco.
Tutta la parabola esistenziale dei Buendìa si gioca su questa ciclicità di premonizioni ed eventi in cui le colpe dei singoli protagonisti prima o poi vengono punite, dove alla soddisfazione di un desiderio c’è sempre (dall’altro lato) un prezzo da pagare.
Così la lunga e stupendamente onirica sequenza del “sogno delle stanze” da parte di Josè Arcadio, serve a mostrare proprio questo concetto, in una perfetta riproduzione delle parole di Marquez in formato audiovisivo.
Durante il suo lungo “sogno” prima di morire, Josè Arcadio ha l’occasione di vedere il proprio passato e anche uno scorcio di futuro, ricollegandosi dunque a tutto quanto gli era stato predetto da Melquiades e dalle numerose profezie che avevano da sempre accompagnato la propria esistenza. In questo “viaggio” ha dunque l’occasione di riappacificarsi con il vecchio rivale Prudencio (per il quale è iniziato il viaggio per la fondazione di Macondo) e di riallacciare i rapporti con i propri figli, i quali non hanno ricevuto la coda di porco ma sono comunque, a modo loro, dei “mostri” a causa del proprio egoismo. Culminando il tutto con una scena di “pioggia di fiori” che restituisce in maniera visiva le pagine del romanzo con una CGI che rimane impressa nella memoria dello spettatore.
IL GIRO DI BOA
Così l’amore e la guerra si mescolano in questi ultimi due episodi dove le vicende sentimentali dei protagonisti si mescolano a quelle politiche e sociali della propria comunità. Il finale di stagione si apre con il ritorno a casa di un figlio (Josè Arcadio, le cui vicende coinvolgeranno la terza generazione Buendìa) e la “perdita” almeno morale di un altro (Aureliano). Il tutto narrato con il ritmo e il tono giusti ed azzeccati alla perfezione, unendo quel gusto per il fantasy e le saghe famigliari con il folklore e le narrazioni tipicamente sudamericani.
In questo modo lo show riesce nell’intento di unire lo spettatore più colto e conoscitore dell’opera di Marquez a quello più mainstream, creando un prodotto che può essere ugualmente godibile per entrambi.
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Due episodi che si aprono e si chiudono con la guerra civile ad opera del Partito Liberale contro il governo. Un dittico in cui i personaggi si rivelano più che tridimensionali, in cui ciascuno compie allo stesso tempo sia atti eroici che tremende atrocità. Il tutto mantenendosi più che coerenti con lo spirito dei romanzi di Marquez, per cui si può dire che l’obiettivo di rendere omaggio allo scrittore colombiano sia perfettamente riuscito.
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Laureato presso l'Università di Bologna in "Cinema, televisione e produzioni multimediali". Nella vita scrive e recensisce riguardo ogni cosa che gli capita guidato dalle sue numerose personalità multiple tra cui un innocuo amico immaginario chiamato Tyler Durden!