Negli ultimi anni il genere true crime, che racconta veri casi di cronaca nera con assoluta fedeltà, ha dato vita a prodotti pregevoli, come il podcast Serial e le docu-serie The Jinx di HBO o Making a Murderer e The Keepers di Netflix; e proprio Netflix, adesso, propone la parodia di quelle stesse produzioni con American Vandal, otto episodi che portano la firma di Tony Yacenda e Dan Perrault, due autori praticamente sconosciuti al grande pubblico così come lo è il cast.
Attenzione, però: American Vandal non si esaurisce nella dimensione della mera parodia di un genere televisivo e si colloca nel punto di convergenza tra mockumentary, giallo vero e proprio (il caso di cronaca fittizia al centro della narrazione appare piuttosto ben costruito dagli autori, non è un semplice pretesto per generare qualche risata) e teen comedy. Del vero true crime sono ripresi i toni seri e le tecniche, l’alternanza di materiale di repertorio, riprese dal vivo e interviste, l’utilizzo di ricostruzioni in CGI, tutto applicato a un goliardico atto di vandalismo che per quanto grave non ha nulla a che fare con i casi di omicidi efferati solitamente trattati dai true crime: nel pomeriggio del 15 marzo 2016 ventisette auto dei professori della Hanover High School di Oceanside vengono vandalizzate disegnandovi sopra con una bomboletta spray dei peni giganti. Non ci sono filmati della telecamera del parcheggio che possano dimostrare chi sia stato, ma subito è incolpato Dylan Maxwell, studente ribelle e problematico che passa le sue giornate girando con gli amici video idioti da mettere su YouTube, disegnando peni sulle lavagne della scuola e beccandosi note per i motivi più ridicoli: il suo comportamento lo rende immediatamente un sospettato e le prove raccolte dai professori parlano chiaro, almeno apparentemente. Un altro studente, Peter Maldonado, non è però convinto della colpevolezza di Dylan e dà vita a una vera e propria contro-indagine per scoprire la verità sull’accaduto, facendosi così detective improvvisato e autore stesso del mockumentary che costituisce American Vandal.
La vera comicità, in questo primo episodio, sta proprio nel contrasto nettissimo tra i toni e i modi tipici dell’investigazione e la natura del caso indagato: basti pensare che la prima, grande prova che scagionerebbe Dylan è l’assenza, nei peni disegnati sulle auto, dei peli sui testicoli, immancabili invece nelle centinaia di peni disegnati dal ragazzo. Maldonado elenca le diverse prove che incastrerebbero Dylan in un ordine ben preciso e razionale, per poi procedere nel senso opposto, confutandole ad una ad una, risalendo dall’ultima fino alla prima e più schiacciante, la testimonianza dello studente modello Alex Trimboli che avrebbe visto il presunto colpevole proprio nel momento in cui compiva l’atto vandalico. Tale indagine, però, è pur sempre portata avanti da un adolescente e non da un vero detective, e il duo Yacenda-Perrault riesce abilmente a farlo sempre presente allo spettatore, mostrando un protagonista-narratore-autore del mockumentary che a volte tende a credere a Dylan più sulla parola che sulla base di dati reali (ad esempio quando afferma di non essere capace di manomettere una telecamera di sicurezza nonostante dimostri qualche abilità informatica); ma nel complesso emerge chiaramente l’idea che Dylan non sia il vero colpevole, ma solo la vittima di un eclatante caso di ingiustizia giudiziaria, e la rivelazione finale sull’inattendibilità del testimone chiave, il già citato Trimboli, conferma l’idea.
Accanto alla parodia del true crime, al mockumentary e al giallo, vi è anche la componente teen, la rappresentazione di un mondo di bulli e di secchioni, di giocatori di football affascinanti e di cheerleaders, di balli scolastici e di scherzi crudeli che tante opere hanno già affrontato, con i toni del drama o della comedy. Il pilot sembra fare appello a tutti gli stereotipi del genere, dallo studente modello con l’apparecchio ai denti alla strafiga della scuola bionda e di facili costumi, ma è proprio attraverso la figura di Dylan Maxwell, il personaggio indubbiamente delineato meglio in questo primo episodio, che si inizia a mettere in luce come questi stereotipi siano, probabilmente, soltanto ruoli in cui i ragazzi sono “cristallizzati” dall’opinione degli altri: così, il presunto artefice dell’atto vandalico si rivela un ragazzone un po’ stupido ma goliardico e tutt’altro che cattivo, etichettato subito come “cattivo” da professori e studenti anche in mancanza di reali prove. Gli altri studenti sono a malapena introdotti, ma non c’è dubbio che anche a loro toccherà, nei prossimi episodi, essere analizzati e sviscerati per bene, facendo venire alla luce chissà quanti altarini e segreti nascosti dietro le maschere liceali.
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.