Come spesso succede in questi casi, quando ci ritroviamo a dover redigere una recensione doppia, i due episodi presi in esame finiscono col presentare diverse affinità. Tra temi principali pressoché univoci e storyline che si consumano quasi interamente nell’arco degli “80” minuti, “The Recruits” può quasi essere letta come un vero e proprio preludio di “A Matter Of Trust”.
Il tema principale è facilmente riconoscibile, ossia quello della presentazione delle nuove “reclute” destinate a far parte del team Arrow. Il loro inserimento come nuovi “protagonisti” in una serie al suo quinto anno di messa in onda è per gli autori sicuramente la sfida più complicata, ma per questo piuttosto accattivante, di questa stagione: i lettori dei fumetti saranno più che abituati a simili “rivoluzioni” interne, gli spettatori di una serie tv, per di più generalista, decisamente meno. Iniziamo subito col dire che, beh, riconosciamo e apprezziamo il tentativo di differenziarli dai predecessori.
I fu Spartan, Speedy e Black Canary (entrambe le versioni) non entrano subito a far parte del team, non formano la propria qualità combattiva sotto la guida di Oliver, la quale avviene perlopiù off-screen (con l’eccezione di Laurel). L’approccio adottato dagli autori, in questo caso, sembra invece quello di un addestramento “in diretta”, senza fretta e più credibile (certo, sempre per i canoni della serie), che allo stesso tempo ha il ruolo di creare la giusta sinergia tra loro. Un addestramento che, seguendo questo duplice obiettivo, procede quasi a livelli, come in un videogame, dove ad ogni successo si “sblocca” una particolare ricompensa. La “fiducia”, presente nel titolo del secondo episodio, è in realtà la ricerca cardine di entrambe le puntate, il trofeo da conquistare, prima da parte dell’Arciere nei loro confronti (col bonus “gioco di squadra”), poi viceversa (come esplicita lo stesso Oliver nella sfuriata a Wild Dog). Una volta raggiunte, i premi per le nuove leve sono rispettivamente “il segreto di pulcinella” Oliver Queen = Arrow nel primo episodio, l’accesso al Tardis covo segreto nel secondo, con tanto di costumi ereditati.
Fino a qui, non si può che notare una parvenza di attenta costruzione della trama, per quanto scolastica, ma scegliamo di accontentarci. Il problema attorno alle “recruits” è che si tratta, in fondo, di personaggi piuttosto “antipatici”, con cui pare difficile instaurare una forte empatia, almeno fin da subito. Diggle, Thea, perfino la discussa Laurel, partivano tutti da background consolidati, che si sono evoluti nel tempo, e quindi sono arrivati a risultare ai nostri occhi più che “familiari”, una volta che hanno deciso di scendere in campo, trasmettendoci di conseguenza la giusta dose di timore per la loro incolumità. Per ora invece abbiamo assistito principalmente a infantili prese di posizione, medesimi concetti ripetuti in continuazione (per queste prime due, Wild Dog e Evelyn su tutti), gare a chi ha più alto livello di testosterone nella stanza, fino a gag e iterazioni tra loro che non possono dirsi proprio il massimo del divertimento. L’unica vecchia conoscenza, Curtis, da simpatica macchietta della scorsa stagione, in coppia con Felicity alla tastiera, sta funzionando molto meno in questa nuova veste, rasentando i limiti dell’irritante. L’introduzione di Ragman in “The Recruits” è stata forse quella più interessante, pur richiamando i fantasmi “soprannaturali” del passato, così come il collegamento (addirittura!) della propria città natia in relazione a Felcity, salvo poi regalarci nel momento della verità probabilmente la peggior prova di Emily Bett Rickards mai vista finora. Renè Ferretti avrebbe subito pronta una certa metafora animalesca, a tal proposito.
L’avvio delle reclute, insomma, pare ancora fin troppo acerbo, ma non è comunque un completo disastro. La scena che li vede entrare nel covo, in “A Matter Of Trust”, fornisce l’effetto desiderato, specie nel metterli davanti alle divise dei predecessori (molto meno salvabile, invece, quella che li vede, in modalità “famigliola felice”, davanti la tv a osservare il proprio mentore). Le puntate all’orizzonte sono ancora tante, i margini di miglioramento ci sono senz’altro, sperando solo di non assistere agli ennesimi siparietti fastidiosamente politically correct di Curtis.
“The truth of the matter is that every decision made by any member of my administration is my decision.
The Buck, as they say, stops with me, because when you are in charge, everything that your team does is on you, and I trust my team.”
I due episodi appaiono strettamente legati anche soffermandosi sul punto di vista del solo Oliver. La storyline personale del protagonista è infatti incentrata sul classico binomio tra identità pubblica e privata, ma forse mai così accesa e potenzialmente interessante. Come Sindaco della città stavolta la vita “pubblica” è decisamente più rilevante per la comunità rispetto al passato, ed è in stretta correlazione alla sua attività di Vigilante, atta com’è a portare giustizia e legalità all’interno di Star City. Gli autori sembrano quindi tenerlo bene a mente, pur con risultati, anche qui, altalenanti e dalla natura ancora precoce.
In entrambe le puntate, si può però notare chiaramente come l’Arciere sia messo alla prova nel tentare di conquistare la necessaria “leadership” in entrambi i campi che lo vedono impegnato. In tutti e due gli scenari ad affiancarlo nelle scelte sono altrettante donne importanti della sua vita, ovvero Thea, in quello politico, e Felicity, in quello “urbano”. Per ora va detto, malgrado le premesse, che la componente politica pare ancora fin troppo di facciata, come dicevamo, e la volontà di unire le due “parti” in un discorso coeso abbastanza fumoso. Il Sindaco si limita ad accogliere e intrattenere relazioni con noti dirigenti (il CEO di AmerTek, Carroll) e funzionari pubblici (il nuovo procuratore distrettuale, Chase), mentre è ancora il Vigilante a farla da padrone.
In questi due episodi è infatti più Thea che tiene le redini della sua amministrazione, è sulle sue azioni che si regge la “storyline del vice-sindaco Lance”, la quale anche qui si scatena nel primo episodio, per poi dipanarsi (in maniera forse fin troppo prevedibile e ingenua, specie nello scontro con la giornalista) e infine risolversi nel secondo. Ma è proprio nella sua risoluzione finale, con il “fallimento” di Thea e il discorso in diretta televisiva di Oliver, che gli autori sembrano quasi rispondere alle nostre perplessità, col protagonista che scende attivamente in campo, dichiarando di raccogliere tutte le responsabilità della sua carica. Dopo uno stentato avvio, il Sindaco Queen è infine nato sul serio, non resta che vedere se farà quanto promesso.
Nell’arco dei due episodi, allora, Oliver appare molto più a suo agio nel proprio ruolo da leader del nuovo team, anzi, forse con un’autorità mai così pronunciata (come fa notare la stessa Felicity), per questo quasi inedita. Per la caratterizzazione dell’Oliver Queen avuta finora, infatti, ben lontana dalla controparte cartacea, la parte del capo-squadra forte e severo sembra calzargli a pennello (sopperendo anche alla scarsa recitazione di Amell). La differenza nel dover guidare un gruppo di ragazzi inesperti ma soprattutto “sconosciuti”, rispetto al doversi confrontare col migliore amico, la sorella o ex-ragazze, è marcata e ben resa. Certo, appassionerebbe di più se la spalla/consigliera, in questo caso, non fosse l’hacker Felicity, la quale sembra stonare nel duro scenario dell’addestramento, soprattutto se la si vede presenziare in tailleur e tacchi. Ora redarguisce il “collega” (primo episodio), ora è invece complice del “preside” (secondo), il personaggio sembra sempre più vittima del ruolo da “maestrina” ormai affidatole. In questo senso, tendiamo a preferire la “stagista” Thea, almeno più umana.
Più slegato da tale discorso generale, il flashback continua comunque a destare più di una curiosità, specialmente se confrontato con quello orrido dello scorso anno. L'”apprendistato russo” di Oliver, dopotutto, è fin dall’inizio nel background originario del personaggio e soprattutto nelle prime stagioni si trovava spesso ad essere chiamato in causa. Per ora sembra essere sulla strada giusta, con la giusta dose di brutalità e durezza (la prova del campanello, che i lettori del manga Naruto avranno sicuramente apprezzato), fino alla chicca dei tagli sulla schiena, proprio uno di quei richiami ricorrenti che ancora mancava di essere mostrato. Per la serie “Arrow non dimentica”, anche Diggle non viene affatto accantonato, con una sotto-trama che, pur essendo anch’essa estranea alle vicende principali, non annoia troppo, soprattutto perché breve e fugace. L’azione pura in “The Recruits”, l’introspezione in “A Matter Of Trust”, con l’ottima trovata del Floyd Lawton in veste di coscienza interiore (quanto stavamo già per urlare allo scandalo), che visto il cliffhanger finale probabilmente apre ad una presenza del personaggio di più ampio respiro nel prossimo episodio.
Insomma, le sensazioni avute con la premiere permangono, è chiaro che “ci stanno provando” e non possiamo che esserne quantomeno felici. Ovviamente non mancano le cadute di stile, con villain di scarso mordente, tra “superpoteri” che ritornano (Stampson) e improbabili citazioni letterarie da parte di spacciatori di strada (sempre Stampson), l’ironia è quel che è (a confronto, quella di The Flash, pur chissà quanto ricercata, è lontana anni luce) e l’insano gusto per il trash è sempre presente. Ma Arrow dopotutto è stato anche questo, anche nei tempi migliori, l’importante è sapersi dosare.
Poteva RecenSerie non sbattersi per voi e raccattare tutte le curiosità e le ammiccate d’occhio per questa incarnazione live-action della città più malfamata dei fumetti? Ma certo che no, doveva eccome! Per la gioia dei nostri carissimi lettori, come abbiamo fatto per il 1° crossover tra The Flash ed Arrow, ci ripetiamo.
- Le AmerTek sono una compagnia fittizia dell’Universo DC fondata da John Henry Irons aka Acciaio specializzata nella produzione di armi. Il suo prodotto più celebre è il fucile BG-60 soprannominato “Toastmaster”. Prima comparsa: Steel #1 del 1994.
- Fa il suo debutto Ragman, supereroe comparso sulle pagine di Ragman #1 del 1976. Al secolo Rory Regan, una volta che tornò dal Vietnam cercò di rifarsi una vita, aiutato dal padre che stravedeva per lui ed era intenzionato a rendere il figlio ricco. Nel tentativo di riempirgli il portafoglio, il padre venne ucciso e per vendicarsi, Rory prese dei vecchi stracci e da essi tirò fuori un costume. Successivamente, venne rivelato che ogni straccio del costume aveva il potere di estirpare dal corpo delle persone malvagie la propria anima per punirli della malvagità che avevano mostrato in vita; una volta che l’anima rientra nel suo costume, può usare le abilità di quella persona in battaglia.
- Il titolo si rifà all’omonima canzone di Billy Joel. Essendo l’episodio scritto da Marc Guggenheim, ed essendo lo scrittore un grande fan di Joel, tutta la puntata è stata scritta seguendo le tematiche della canzone.
- Il nome della droga Stardust è stato inserito come perculata alla rivalità avvenuta tra l’ex-wrestler e Stephen Amell. Il suo vero nome è Cody Garrett Runnels ed è un wrestler di seconda generazione, essendo il figlio di Dusty Rhodes e il fratello di Goldust.
- La donna che parla al telegiornale è Susan Williams, cognata di Hal “Lanterna Verde” Jordan.
- Cadere in una vasca di sostanze chimiche. Mmm… Sarà mica una citazione?
- Quando Freccia Verde dice a Wild Dog che gli piace la maschera da hokey come effettiva maschera e la trova effettivamente figa è un riferimento al suo recente ruolo di Casey Jones.
- Il QG di Freccia Verde viene spesso preso in giro chiamandolo “Arrowcave”. Beh, agli alborissimi di Green Arrow la sua base si chiamava davvero così.
- Nei fumetti Curtis non è un supereroe, ma nel telefilm acquisisce l’identità presa nei comics da Terry Sloane: qui rivisto come un wrestler dal nome “Fair Play”. L’identità che adotta è quella di Mr. Terrific. Il primo fu Terry Sloane, un miliardario di successo la cui memoria fotografica, le abilità atletiche a livello olimpico e l’alta maestria nelle arti marziali fecero di lui un uomo del Rinascimento. Dopo aver conseguito la laurea al college all’età di 13 anni, divenne un capo d’affari di fama nella sua comunità. Avendo raggiunto tutti i suoi obiettivi, sentì che non c’erano più sfide da seguire per lui, trascinandolo verso tendenze suicide. Tuttavia, dopo aver visto una giovane donna gettarsi da un ponte, Sloane reagì con velocità e riuscì a salvarla. Gli disse di chiamarsi Wanda Wilson. Sloane assistette suo fratello, che fu arruolato in una gang, adottando l’identità di Mr. Terrific. Questo gli diede l’idea di cosa gli mancasse: un senso di realizzazione. Creò quindi il “Fair Play Club” per minimizzare la sempre più crescente delinquenza minorile. Prima comparsa: Sensation Comics #1 del 1942.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Legacy 5×01 | 1.87 milioni – 0.7 rating |
The Recruits 5×02 | 1.94 milioni – 0.7 rating |
A Matter Of Trust 5×03 | 1.79 milioni – 0.6 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.