“I almost forgot what it was like to celebrate a birthday. That’s because we’re usually saving the city from being destroyed this time of year.”
Continua l’operazione nostalgia intrapresa già settimana scorsa (tra l’altro con un titolo – Honor Thy Fathers – che è anche una citazione esplicita agli inizi della serie), con un episodio che, seppur non punti molto sull’aspetto emotivo, convince per solidità e struttura: “Missing” è in un qualche modo la perfetta sintesi dei grandi passi avanti fatti finora da Arrow. Probabilmente nessuno, quando un anno fa Damien Darhk terrorizzava Star City con il progetto Genesis, si sarebbe aspettato ancora qualcosa dalla serie, che sembrava ormai sul viale del tramonto. A distanza di un anno invece è ritornata ad essere quel livello medio-alto di intrattenimento che ne aveva contraddistinto le origini.
La prima cosa che salta all’occhio di questa maturazione è lo spostamento del punto di vista operato rispetto alle passate stagioni. Nelle prime quattro, come ricorda Oliver con un pizzico di meta-narrazione, in quel di maggio we’re usually saving the city from being destroyed. Per la prima volta invece si elimina l’aspetto catastrofico e apocalittico in favore di quello che è un vero e proprio scontro tra personalità e eredità diverse. Un taglio più intimo, incentrato sul protagonista che, anche solo per l’effetto novità che rappresenta, non può che far bene.
Dopo l’Undertaking di Merlyn, l’invasione dell’esercito di Slade Wilson, lo scontro alla diga contro Ra’s Al Ghul e il già citato progetto Genesis, Star City non è più protagonista dello scontro finale e -fermo restando i limiti imposti dall’origine fumettistica – il tutto ne guadagna in termini di credibilità senza dover rinunciare necessariamente al pathos che ci si aspetta dall’imminente season finale. Il crescendo narrativo viene infatti alimentato sia da un sempre pregevole Adrian Chase (forse poteva risultare leggermente anticlimatica la sua debacle nell’episodio precedente, ma qui ritorna subito in grande spolvero), sia dall’impressione di chiusura che aleggia su tutta la stagione, ma soprattutto su questi ultimi episodi.
“Ehi, kid. I’m glad you came back.”
Ci sono alcuni elementi all’interno della mitologia che Arrow ha costruito in questi cinque anni che valgono indubbiamente più di altri. Probabilmente non ci si ricorderà a lungo dei flashback ambientati ad Hong Kong o di tutti i criminali comparsi sulla lista di Oliver Sr., ma dimenticarsi del valore rappresentato da Lian Yu, Yao Fei, Slade Wilson a.k.a. Deathstroke, Malcolm Merlyn che riesce a entrare sempre e comunque nel covo è quasi impossibile. In “Missing”, sia nei flashback che nel presente, sono molti i ritorni graditi al fandom e, seppure alcuni lontani precedenti non avevano colto in pieno l’occasione, è qui molto più facile riconoscere la bontà d’intenti che sta animando Berlanti e soci: riempire la puntata alla vigilia del season finale di tutti gli elementi cardine dello show non è il tentativo disperato di chi alla deriva cerca in ogni modo di risollevarsi; è semplicemente la punta di diamante di una stagione che ha allontanato con decisione tutti i becchini e gli avvoltoi che gli gravitavano attorno. Come a dire, un anno fa Arrow respirava a fatica, mentre oggi torna a risplendere di luce propria.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Honor Thy Fathers 5×21 | 1.65 milioni – 0.6 rating |
Missing 5×22 | 1.44 milioni – 0.5 rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.