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Per Netflix dicembre ha rappresentato il mese del “fuori tutto”, anticipando il consueto periodo post natalizio in cui nei negozi inizia a viversi l’aria degli sconti. Ecco quindi l’uscita dell’ennesimo prodotto originale della piattaforma streaming, questa volta direttamente dal Messico: Diablero.
Un prodotto difficile da incasellare (si percepisce un certo scadente sci-fi, ma anche un black humor non eccessivamente troppo spinto) il cui termine di paragone più simile potrebbe essere Happy!, con una grossa differenza, però: quest’ultima serie tv ha saputo intrattenere e si è rivelata un prodotto di tutto rispetto a cavallo tra il 2017 ed il 2018. Il vero pregio di Diablero, a conti fatti, è quello di condensare tutto il suo racconto nei canonici quaranta minuti televisivi che tanto sembrano essere scomparsi nell’ultimo periodo.
Diablero ed Happy! hanno però un elemento in comune: entrambe le serie non erano state inizialmente concepite come serie tv, bensì provengono da altri medium: la serie messicana, infatti, è basata sul libro intitolato “El Diablo me obligò”. Il plot è talmente semplice da scadere in più punti nel cliché narrativo: una giovane bambina, che si scoprirà ad inizio episodio essere la figlia del prete protagonista della storia, viene rapita da quello che viene riconosciuto essere un demone. Ramiro (il prete) chiede quindi aiuto all’improbabile personaggio, nonché cacciatore di demoni, Elvis “Diablero” Infante ed alla sua spalla Nancy Gama (una sorta di evocatrice di demoni).
Il personaggio giustamente più approfondito è Diablero che viene, come il più gigantesco dei cliché vorrebbe, presentato come un vero antieroe: dedito all’alcool ed alle risse, più interessato a ricavare denaro che ad aiutare il prossimo con il proprio dono/mestiere. Niente di nuovo sotto il Sole, verrebbe da dire.
Ed a conti fatti è così. La serie appare un miscuglio tra tanti prodotti capaci di avere successo in passato (Constantine, L’Esorcista), situazioni narrative di cui si è già fatto largamente uso (padre alla disperata ricerca della figlia rapita) ed una connotazione mistica e grottesca che tutto sommato non guasta. L’unica nota di differenziazione è forse riscontrabile nell’utilizzo della lingua spagnola all’interno della serie, ma si tratta di un dettaglio talmente minimo e paesaggistico da non poter essere preso seriamente in considerazione.
Accantonato quindi il lato drama che, come appuntato sopra, è da ignorare totalmente per non bruciarsi tutti i neuroni nel cercare di capirne meccaniche e problematiche, restano gli sprazzi di black humor e la connotazione sci-fi della storia.
Del black humor non ha quasi senso parlare dal momento che le pochissime battute presenti nei dialoghi risultano castrate e depotenziate sia da un linguaggio che poteva essere colorito un po’ di più, sia dal mancato mordente di molte di esse. Di tre generi seriali chiamati in causa (drama, black humor e sci-fi) rimane da fare affidamento al terzo, quindi. E chiaramente in ultima battuta rimane il peggiore dei tre generi presentato nella storia: basterebbe citare la scena in cui Nancy fugge dall’ospedale camminando sulla facciata esterna dell’edificio per insinuare nella mente dello spettatore l’idea di trafiggersi la fronte tentando di praticarsi una lobotomia. Anche se le avvisaglie già c’erano state, come per esempio la scena del topo resuscitato da una goccia di demone. Ed anche attorno a questo dettaglio andrebbe aperta una gigantesca parentesi: secondo quale logica un demone diventa un liquido? Diventa tale solo perché Diablero si porta appresso bottiglie oppure c’è una connotazione chimica tra la forma gassosa (con la quale vengono mostrati in altri momenti dell’episodio) e quella liquida in cui vengono imprigionati? Probabilmente tutti dettagli che in otto puntate non troveranno mai spazio, ma un po’ di sana curiosità non ha mai fatto male.
Anche se, a dirla tutta, la domanda più importante al termine dei quaranta minuti è solo una: perché Netflix lascia spazio a questo tipo di prodotti? Mercato di espansione?
Un prodotto difficile da incasellare (si percepisce un certo scadente sci-fi, ma anche un black humor non eccessivamente troppo spinto) il cui termine di paragone più simile potrebbe essere Happy!, con una grossa differenza, però: quest’ultima serie tv ha saputo intrattenere e si è rivelata un prodotto di tutto rispetto a cavallo tra il 2017 ed il 2018. Il vero pregio di Diablero, a conti fatti, è quello di condensare tutto il suo racconto nei canonici quaranta minuti televisivi che tanto sembrano essere scomparsi nell’ultimo periodo.
Diablero ed Happy! hanno però un elemento in comune: entrambe le serie non erano state inizialmente concepite come serie tv, bensì provengono da altri medium: la serie messicana, infatti, è basata sul libro intitolato “El Diablo me obligò”. Il plot è talmente semplice da scadere in più punti nel cliché narrativo: una giovane bambina, che si scoprirà ad inizio episodio essere la figlia del prete protagonista della storia, viene rapita da quello che viene riconosciuto essere un demone. Ramiro (il prete) chiede quindi aiuto all’improbabile personaggio, nonché cacciatore di demoni, Elvis “Diablero” Infante ed alla sua spalla Nancy Gama (una sorta di evocatrice di demoni).
Il personaggio giustamente più approfondito è Diablero che viene, come il più gigantesco dei cliché vorrebbe, presentato come un vero antieroe: dedito all’alcool ed alle risse, più interessato a ricavare denaro che ad aiutare il prossimo con il proprio dono/mestiere. Niente di nuovo sotto il Sole, verrebbe da dire.
Ed a conti fatti è così. La serie appare un miscuglio tra tanti prodotti capaci di avere successo in passato (Constantine, L’Esorcista), situazioni narrative di cui si è già fatto largamente uso (padre alla disperata ricerca della figlia rapita) ed una connotazione mistica e grottesca che tutto sommato non guasta. L’unica nota di differenziazione è forse riscontrabile nell’utilizzo della lingua spagnola all’interno della serie, ma si tratta di un dettaglio talmente minimo e paesaggistico da non poter essere preso seriamente in considerazione.
Accantonato quindi il lato drama che, come appuntato sopra, è da ignorare totalmente per non bruciarsi tutti i neuroni nel cercare di capirne meccaniche e problematiche, restano gli sprazzi di black humor e la connotazione sci-fi della storia.
Del black humor non ha quasi senso parlare dal momento che le pochissime battute presenti nei dialoghi risultano castrate e depotenziate sia da un linguaggio che poteva essere colorito un po’ di più, sia dal mancato mordente di molte di esse. Di tre generi seriali chiamati in causa (drama, black humor e sci-fi) rimane da fare affidamento al terzo, quindi. E chiaramente in ultima battuta rimane il peggiore dei tre generi presentato nella storia: basterebbe citare la scena in cui Nancy fugge dall’ospedale camminando sulla facciata esterna dell’edificio per insinuare nella mente dello spettatore l’idea di trafiggersi la fronte tentando di praticarsi una lobotomia. Anche se le avvisaglie già c’erano state, come per esempio la scena del topo resuscitato da una goccia di demone. Ed anche attorno a questo dettaglio andrebbe aperta una gigantesca parentesi: secondo quale logica un demone diventa un liquido? Diventa tale solo perché Diablero si porta appresso bottiglie oppure c’è una connotazione chimica tra la forma gassosa (con la quale vengono mostrati in altri momenti dell’episodio) e quella liquida in cui vengono imprigionati? Probabilmente tutti dettagli che in otto puntate non troveranno mai spazio, ma un po’ di sana curiosità non ha mai fatto male.
Anche se, a dirla tutta, la domanda più importante al termine dei quaranta minuti è solo una: perché Netflix lascia spazio a questo tipo di prodotti? Mercato di espansione?
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Le feste natalizie sono sempre una gioia: cene in famiglia, giochi in scatola, regali e un pizzico di riposo che non guasta mai. Se volete mantenere questo tipo di serenità fisica e psicologica, non perdete tempo con Diablero. Risparmiate tempo per altro.
The Demons Are Among Us 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.