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L’universo narrativo Marvel, quantomeno per quanto concerne il mezzo televisivo/cinematografico, ha registrato, soprattutto negli ultimi anni, una crescita e uno sviluppo esponenziali tali da portare gli appassionati più saltuari del fumetto (recensore compreso) a pronunciare sempre più frequentemente uno dei mantra capatondiani più conosciuti dagli amanti, e non, del comico made in Mai Dire Lunedì: “Mobbasta veramente però!“. Seguendo il medesimo schema impostato dalla saga cinematografica fin dal suo primissimo capitolo – Iron Man nell’oramai lontano 2008 – anche le serie televisive di casa Marvel hanno progressivamente acquisito una connotazione molto più filmica, tanto da sembrare quasi dei lungometraggi a puntate, una caratteristica che solitamente viene valutata positivamente per diversi motivi, uno su tutti la possibilità di approfondire la caratterizzazione e lo sviluppo dei vari character allo scopo di creare un maggior coinvolgimento emotivo da parte dello spettatore. D’altro canto, il considerevole minutaggio dedicato al singolo supereroe in ciascuno show Marvel, porta con sé un rischio particolarmente vivido: quello di annoiare a morte chi guarda, a maggior ragione visto il numero di episodi stagionali – oramai diventato quasi uno standard a prescindere dalla storia che si decida di raccontare – che ogni anno rischia di essere eccessivo portando così ad un fisiologico annacquamento della narrazione.
Prima conseguenza di questo annacquamento è, naturalmente, la smorzamento della portata drammatica degli avvenimenti, almeno in teoria, cruciali dal punto di vista della progressione narrativa. Trovandoci ancora al quinto episodio, dunque nemmeno a metà del cammino stagionale, questo difetto risulta ancora ben mascherato, seppur presente fin dalle prime battute di questo secondo atto con l’eccessivo focus sul conflitto padre-figlio, l’accettazione della disabilità da parte di Misty, o il tentativo di recupero del rapporto madre-figlia da parte di Mariah, tutte tematiche coerenti con lo stile e la struttura dello show, ma “strizzate” in maniera eccessiva fino a renderle quasi ridondanti.
Secondo esito di questa diluizione è la costante sensazione di essere vicini al momento clou, senza che in realtà vi si giunga realmente. Un lungo procrastinare che si traduce, in ultima analisi, nello svilimento della suddetta componente drammatica e, in alcuni casi, in una sorta di artificiosità nella trama che invalida il tentativo di conferire realismo e naturalezza ad uno show che, proprio per sua natura, necessita di una struttura di questo genere per poter acquisire credibilità agli occhi dello spettatore.
Fin dall’inizio di questa seconda stagione, l’elemento centrale sul quale gli autori hanno voluto mettere l’accento è il cambiamento nello status di Luke Cage, divenuto in breve un personaggio pubblico e, come tale, soggetto a tutte le conseguenze della sua nuova condizione di VIP. Tra selfie, autografi e altre manifestazioni forzate di affetto nei confronti dei suoi ammiratori, il protagonista dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni, con i problemi economici (spesso trascurati nelle storie riguardanti i supereroi) e con tutte le altre questioni a cui nemmeno un vigilante antiproiettile può sottrarsi. Molto interessante la scelta di porre il focus sul lato umano di Luke, tormentato su più fronti, familiare, amoroso, “professionale”, e per giunta fresco di KO da parte della sua nemesi stagionale; un po’ meno interessanti le dinamiche relative alla “quest” dei 100.000$, a tratti ridicola in alcuni suoi sviluppi, ma comunque utile per smorzare l’atmosfera nei momenti di eccessiva serietà scaturiti dalle storyline secondarie, ancora in fase di sviluppo e quindi meno digeribili rispetto all’odissea stagionale di Luke. In tal senso anche Piranha e gli intermezzi musicali giocano un ruolo fondamentale, elementi indispensabili per il suddetto alleggerimento.
Nel complesso comunque l’episodio risulta scorrevole e l’avanzamento di trama, seppur centellinato, risulta ben amalgamato con la porzione di minutaggio per così dire filler. Pecca forse più grave sta nella scrittura del personaggio di Luke, quest’anno vittima di un lavoro di scrittura un po’ superficiale – o forse troppo complesso, non è chiaro – che trasforma il protagonista in una personalità bi(se non tri)polare in grado di passare da picchiatore gentiluomo a gigante assetato di sangue in poche frazioni di secondo. Ad ogni modo, una sufficienza più che meritata.
Prima conseguenza di questo annacquamento è, naturalmente, la smorzamento della portata drammatica degli avvenimenti, almeno in teoria, cruciali dal punto di vista della progressione narrativa. Trovandoci ancora al quinto episodio, dunque nemmeno a metà del cammino stagionale, questo difetto risulta ancora ben mascherato, seppur presente fin dalle prime battute di questo secondo atto con l’eccessivo focus sul conflitto padre-figlio, l’accettazione della disabilità da parte di Misty, o il tentativo di recupero del rapporto madre-figlia da parte di Mariah, tutte tematiche coerenti con lo stile e la struttura dello show, ma “strizzate” in maniera eccessiva fino a renderle quasi ridondanti.
Secondo esito di questa diluizione è la costante sensazione di essere vicini al momento clou, senza che in realtà vi si giunga realmente. Un lungo procrastinare che si traduce, in ultima analisi, nello svilimento della suddetta componente drammatica e, in alcuni casi, in una sorta di artificiosità nella trama che invalida il tentativo di conferire realismo e naturalezza ad uno show che, proprio per sua natura, necessita di una struttura di questo genere per poter acquisire credibilità agli occhi dello spettatore.
Fin dall’inizio di questa seconda stagione, l’elemento centrale sul quale gli autori hanno voluto mettere l’accento è il cambiamento nello status di Luke Cage, divenuto in breve un personaggio pubblico e, come tale, soggetto a tutte le conseguenze della sua nuova condizione di VIP. Tra selfie, autografi e altre manifestazioni forzate di affetto nei confronti dei suoi ammiratori, il protagonista dovrà fare i conti con le conseguenze delle sue azioni, con i problemi economici (spesso trascurati nelle storie riguardanti i supereroi) e con tutte le altre questioni a cui nemmeno un vigilante antiproiettile può sottrarsi. Molto interessante la scelta di porre il focus sul lato umano di Luke, tormentato su più fronti, familiare, amoroso, “professionale”, e per giunta fresco di KO da parte della sua nemesi stagionale; un po’ meno interessanti le dinamiche relative alla “quest” dei 100.000$, a tratti ridicola in alcuni suoi sviluppi, ma comunque utile per smorzare l’atmosfera nei momenti di eccessiva serietà scaturiti dalle storyline secondarie, ancora in fase di sviluppo e quindi meno digeribili rispetto all’odissea stagionale di Luke. In tal senso anche Piranha e gli intermezzi musicali giocano un ruolo fondamentale, elementi indispensabili per il suddetto alleggerimento.
Nel complesso comunque l’episodio risulta scorrevole e l’avanzamento di trama, seppur centellinato, risulta ben amalgamato con la porzione di minutaggio per così dire filler. Pecca forse più grave sta nella scrittura del personaggio di Luke, quest’anno vittima di un lavoro di scrittura un po’ superficiale – o forse troppo complesso, non è chiaro – che trasforma il protagonista in una personalità bi(se non tri)polare in grado di passare da picchiatore gentiluomo a gigante assetato di sangue in poche frazioni di secondo. Ad ogni modo, una sufficienza più che meritata.
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Non un brutto episodio, ma sicuramente c’è ancora molto da fare per compiere il cosiddetto salto di qualità. Per il momento Marvel’s Luke Cage rappresenta indubbiamente lo show meno coinvolgente del filone “The Defenders”, nonostante abbia alle spalle uno sfondo politico-sociale decisamente più variegato rispetto ai suoi colleghi, e purtroppo questo è dovuto ad un parco personaggi molto debole – anche se la new entry Bushmaster promette bene – e ad una trama sfruttata male, talvolta troppo “diluita” e per questo colpevole di smorzare la portata drammatica degli avvenimenti centrali della narrazione. Il tempo per migliorare c’è, vedremo se nella seconda metà di stagione la storia riuscirà finalmente a decollare.
I Get Physical 2×04 | ND milioni – ND rating |
All Souled Out 2×05 | ND milioni – ND rating |
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Ventinovenne oramai da qualche anno, entra in Recenserie perché gli andava. Teledipendente cronico, giornalista freelance e pizzaiolo trapiantato in Scozia, ama definirsi con queste due parole: bello. Non ha ancora accettato il fatto che Scrubs sia finito e allora continua a guardarlo in loop da dieci anni.