“Life goes on, right?”
Dopo un episodio sconvolgente (non per i fatti ma per la forza espressiva) Narcos ci offre un’altra puntata altrettanto esplosiva. “The Enemies Of My Enemy” riporta i soldati sul campo di battaglia: da una parte Pablo, rinforzato dopo l’attacco, dall’altra la Legge che con difficoltà si rialza dopo il pugno nello stomaco: la morte di Carrillo. La vita continua sia per Escobar che per l’antidroga e per il governo, lo dice la voce over di Murphy rimodellando il celebre “show must go on”.
Escobar pensa di poter stare tranquillo, di non aver nulla da temere, o almeno di avere un po’ di vantaggio in questa folle corsa, il Blocco di ricerca invece ha le mani legate, ha sì le informazioni, ma non sa come usarle. Se da una parte troneggia il leone, carismatico e unico come non mai, dall’altra c’è Peña, figura interessante e misteriosa, che deve prendere una decisione. L’agente farebbe e fa di tutto per mettere le mani sul dio del narcotraffico, anche allearsi con il nemico – e si badi bene non si tratta né di corruzione, né di gesto avventato, al contrario è una scelta ponderata.
“The Enemies Of My Enemy” è una sorta di misè en abyme linguistica e concettuale, i nemici dei miei nemici; non ci sono più leggi scritte, cadono altri paletti, perché quando la situazione è così drammatica, si modificano le regole del gioco. Nemico e alleato diventano interscambiabili (serpente e gatto giocano dalla stessa parte per prendere il topo).
Pablo è come un panzer, duro, granitico, ferino. La sua vita continua, nonostante tutto: nella villa in cui si rifugia con la famiglia sembra che l’inferno non sia ancora arrivato. Si gode la vittoria dell’ultima battaglia, continua ad essere libero, protetto dai sicarios, dal popolo, fedelissimo adepto di una religione tutta pagana e dalla polizia non all’altezza della situazione. Nuota, parla con gli avvocati – immagini di repertorio in cui vediamo il vero Pablo -, come l’araba fenice risorge dalla sue ceneri e mostra ancora una volta la sua bella coda.
Dopo aver ucciso il nemico pubblico, il nemico storico, Pablo è serafico, avvinto su se stesso, come il serpente riposa dopo aver ingurgitato le carni della preda, mollemente adagiato su un lettino per godersi la prole. Escobar accarezza la figlia, gioca con il figlio con un sorriso dolce e con mano protettiva, la stessa che ha freddato Carrillo, abbraccia Tata con le stesse spire con cui ha stretto il collo della DEA. Scrive le sue parole, i suoi pericolosi ragionamenti mentre gli uomini del Blocco brancolano nel buio. “L’inferno” può attendere per il dio dei narcotrafficanti. Escobar vive come se niente fosse, come se non avesse fatto una mattanza nello scorso episodio.
E’ una conca di felicità e amore quella in cui si trova – o forse in cui finge di trovarsi -, quella in cui “ripone” la sua famiglia, gioiello di una preziosa collezione. Non vuole che loro capiscano cosa sta accadendo: dopo le morti che hanno colpito il suo esercito Pablo raggiunge gli altri a tavola – teneramente imbandita da Tata, inconsapevole della crudele guerra tra fazioni che si sta tenendo per strada – reprimendo la rabbia. Il male dunque solo lambisce le mura e i corpi della sua famiglia, arde tutto intorno e il Patron tenta ancora di proteggerli.
“Tus dias estan contados Pablo, nadie a tu alrededor sobrevivirà”
Con queste parole, appese al collo di Velasco trucidato, capiamo che per Pablo la vita non sarà più così facile. Parole che pesano come macigni perché toccano proprio il suo punto debole, la sua famiglia, i suoi affetti. Come sempre capita, il rito dell’impiccagione diventa monumentum, monitum per i sopravvissuti, in questo caso per il grande sopravvissuto. Il volto scuro di Escobar ci fa comprendere che il messaggio è arrivato a destinazione e la conseguenza è l’ordine di fare i bagagli.
E’ incredibile quanto Narcos si modelli sulla vicenda del suo protagonista: racconta un momento prima il precipizio e il momento dopo la calma, allarga le maglie della Storia e della Fiction, riferendosi a materiale di repertorio, immergendosi nella vicenda umana. Tutto si concentra su Pablo che rimane origine e metro di ogni cosa, termine di ogni relazione (Moncada e Peña, Peña e Murphy) e motivazione per cui si compie o meno un gesto (la scelta di Peña di allearsi con Moncada). Il corpo del protagonista è “luogo narrativo” su cui si innesta la storia stessa, fulcro su cui l’occhio spettatoriale si raccoglie.
“Martinez was right. We all need a method.”
Dall’altra parte della barricata ci sono Murphy e Peña, volti umani di un’Istituzione che arranca sotto i colpi della criminalità; così non si resta sconvolti quando il secondo agente, sfibrato dall’incapacità di movimento in cui è intrappolato, chiede aiuto agli uomini di Moncada. Non sarà certo la scelta migliore ma è l’unica possibile, spesso il limite tra legalità e illegalità, tra giusto e sbagliato è labilissimo, spesso si è equilibristi tra il vuoto e la comfort zone e proprio lì si trova Peña. Se l’uomo della DEA vuole solo sconfiggere il cancro del narcotraffico, gli uomini di Moncada giocano al gatto col topo (uccidono a poco a poco tutti gli uomini del dio di Medellin) e a farne le spese è la Colombia, martoriata e distrutta. I sicarios di Pablo vengono uccisi, cadono nel vuoto, vengono impiccati con messaggi minatori e le forze dell’ordine non possono che stare ad osservare.
Nel momento in cui la polizia fa parte del capannello di persone, spettatori di un morto impiccato – un altro riferimento in chiave pagana alla religione: la crocifissione; c’è il “ladrone”, manca però ancora il cristo laico -, e non è quindi forza agente, si capisce che il cortociruito è ormai in atto e la conflagrazione vicina.
Ormai Pablo non è più al sicuro e una nuova potenza sta prendendo piede.
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The Good, The Bad, And The Dead 2×04 | ND milioni – ND rating |
The Enemies Of My Enemy 2×05 | ND milioni – ND rating |
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Un tempo recensore di successo e ora passato a miglior vita per scelte discutibili, eccesso di binge-watching ed una certa insubordinazione.