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La grandezza di una serie non si misura soltanto prendendo in esame gli episodi più riusciti e i finali di stagione, ma valutando anche e soprattutto gli episodi intermedi, i cosiddetti filler. Ammettiamolo: a nessuno piacciono i filler, perché ci sembrano inutili, senza senso, e spesso noiosi. Un grande prodotto, però, è in grado di intrattenere anche in episodi di quel tipo. L’esempio più celebre è sicuramente la famosissima 3×10 di Breaking Bad. 45 minuti passati a guardare due tizi che provano ad uccidere una mosca, ma con un livello di tensione sempre su livelli altissimi.
In genere, i filler vengono usati soprattutto nelle stagioni tradizionali broadcast, quelle con 22/23/24 puntate, o in quelle cable più lunghe (16 episodi, come The Walking Dead), mentre sono molto più rari quando ci si trova davanti a prodotti seriali con 8 o 10 episodi. In questo senso, la scelta di Quarry di rallentare ulteriormente il ritmo dopo un secondo episodio non propriamente frenetico può inizialmente sorprendere, ma in realtà è assolutamente funzionale nel definire la cifra stilistica della serie.
Quanti, dopo il pilot, avevano pensato che si potesse trasformare quasi in un procedurale, con Mac che avrebbe dovuto uccidere su commissione uno sconosciuto (o più sconosciuti) ad episodio e con i problemi personali sullo sfondo? Fortunatamente, per ora gli sceneggiatori hanno deciso di virare su un qualcosa di meno scontato, riducendo all’osso gli eventi tangibili e puntando tutto sulla psicologia dei personaggi, sulla loro evoluzione. Ad esempio, nella recensione di You Don’t Miss Your Water, si erano espresse perplessità nei confronti del personaggio di Buddy. Esse erano dovute al timore che ci si trovasse di fronte ad una macchietta comica messa lì per stemperare un po’ la forte atmosfera cupa e drammatica che permea l’universo di Mac Conway. Appare ovvio dire, alla luce di questo terzo episodio, che le nostre paure si stanno rivelando infondate. Partendo da un momento teoricamente non così denso di spunti da utilizzare – la madre che gli ricuce la ferita – si sviluppano in poche scene l’apparente felicità di Buddy, il rapporto con la madre e la sua profonda (e inaspettata) voglia di uscire da quel giro così pieno di violenza, e la sua solitudine, testimoniata dalla scena al club. Menzione speciale per l’australiano Damon Herriman (decine di ruoli marginali per lui, tra cui il più famoso è quello di Richard Hauptmann in J. Edgar. Hauptmann era il carpentiere tedesco condannato per il rapimento del figlio del celebre aviatore/inventore Charles Lindbergh), che è riuscito a mostrare in maniera così limpida tutti i turbamenti del suo personaggio.
L’evento principale (e anche unico, in un certo senso) di questo episodio è il rapimento di Joni da parte di Suggs, l’investigatore privato con la gamba di legno che Mac e Arthur dovevano uccidere. Nonostante inizialmente possa sembrare così, il punto focale non è il tentativo di Mac di trovare la moglie, quanto il suo senso di smarrimento: nonostante non le parlasse più da giorni, e in cuor suo la odiasse per averlo tradito con Cliff Williams, nel momento esatto in cui scopre del rapimento si rende conto del fatto che la moglie sia il suo unico collegamento rimasto, l’unica persona con la quale ha ancora un rapporto. Il suo migliore amico è morto, e i genitori non gli vogliono più parlare; se dovesse perdere anche Joni, il viaggio verso le tenebre sarebbe di sola andata.
Nelle scene finali, quando i due si abbracciano e Mac le promette di trovare il suo rapitore, toccandole anche la coscia, si ha la sensazione che voglia tornare a vivere come prima della guerra, e non considera più il lavoro per il Broker come una priorità. A conferma di ciò, quando Karl gli dice che Broker vorrebbe sapere la sua posizione, lui gli risponde che ciò accadrà dopo l’uccisione di Suggs. Per usare una frase tanto cara agli statunitensi, family first.
Come per un bizzarro gioco del destino, questa volta è Joni ad essere fredda e diffidente, e non la si può anche biasimare, visti i comportamenti del marito e, soprattutto, le rivelazioni fattele dal suo rapitore, che includevano l’adulterio della sera precedente e un accenno al lavoro di sicario su commissione. Quando si ama una persona, nulla è peggio del vederla completamente trasformata, diversa. Joni non riconosce più il marito, e quel “Who are you, Mack?” ne è l’emblema. Difficilmente il loro rapporto si sanerà, ma di sicuro sarà una delle colonne portanti anche dei prossimi episodi.
Per il resto, continua l’indagine della polizia sulla morte di Cliff Williams, e sta emergendo sempre di più il detective Tommy Olsen. Per quel poco che abbiamo potuto vedere su di lui, di sicuro si tratta di un tipo ostinato che vuole arrivare in fondo alle questioni (a differenza del suo collega) e, soprattutto, non sembra essere un grande fan dei militari, anzi. Quest’ultimo aspetto (supportato dal suo rimarcare spesso i presunti crimini di guerra di Mac e Arthur, e anche la lettura di articoli di giornale relativi ai fatti di Quan Thang) potrebbe motivarlo ancora di più ad indagare e a scontrasi prima con Mac e poi, forse, con il Broker e la sua rete (a proposito del personaggio di Peter Mullan, si è scoperto che il nero che gironzolava attorno a Ruth è un suo uomo, che ora ha il compito di sorvegliare Quarry, sintomo del fatto che non ci sia una totale fiducia nei suoi confronti).
Infine, un piccolo appunto: avrete probabilmente notato che, oltre agli avvenimenti, in Quarry anche i dialoghi sono ridotti all’osso; infatti, ci sono scene composte da silenzi lunghi anche 5 minuti (o più). Questa scelta (e anche quella di non mettere la musica in sottofondo quando i personaggi non parlano) è perfetta per far capire ancora di più l’estraniamento di Mac dal resto del mondo, oltre a rendere l’atmosfera ancora più cupa. Bene così.
In genere, i filler vengono usati soprattutto nelle stagioni tradizionali broadcast, quelle con 22/23/24 puntate, o in quelle cable più lunghe (16 episodi, come The Walking Dead), mentre sono molto più rari quando ci si trova davanti a prodotti seriali con 8 o 10 episodi. In questo senso, la scelta di Quarry di rallentare ulteriormente il ritmo dopo un secondo episodio non propriamente frenetico può inizialmente sorprendere, ma in realtà è assolutamente funzionale nel definire la cifra stilistica della serie.
Quanti, dopo il pilot, avevano pensato che si potesse trasformare quasi in un procedurale, con Mac che avrebbe dovuto uccidere su commissione uno sconosciuto (o più sconosciuti) ad episodio e con i problemi personali sullo sfondo? Fortunatamente, per ora gli sceneggiatori hanno deciso di virare su un qualcosa di meno scontato, riducendo all’osso gli eventi tangibili e puntando tutto sulla psicologia dei personaggi, sulla loro evoluzione. Ad esempio, nella recensione di You Don’t Miss Your Water, si erano espresse perplessità nei confronti del personaggio di Buddy. Esse erano dovute al timore che ci si trovasse di fronte ad una macchietta comica messa lì per stemperare un po’ la forte atmosfera cupa e drammatica che permea l’universo di Mac Conway. Appare ovvio dire, alla luce di questo terzo episodio, che le nostre paure si stanno rivelando infondate. Partendo da un momento teoricamente non così denso di spunti da utilizzare – la madre che gli ricuce la ferita – si sviluppano in poche scene l’apparente felicità di Buddy, il rapporto con la madre e la sua profonda (e inaspettata) voglia di uscire da quel giro così pieno di violenza, e la sua solitudine, testimoniata dalla scena al club. Menzione speciale per l’australiano Damon Herriman (decine di ruoli marginali per lui, tra cui il più famoso è quello di Richard Hauptmann in J. Edgar. Hauptmann era il carpentiere tedesco condannato per il rapimento del figlio del celebre aviatore/inventore Charles Lindbergh), che è riuscito a mostrare in maniera così limpida tutti i turbamenti del suo personaggio.
L’evento principale (e anche unico, in un certo senso) di questo episodio è il rapimento di Joni da parte di Suggs, l’investigatore privato con la gamba di legno che Mac e Arthur dovevano uccidere. Nonostante inizialmente possa sembrare così, il punto focale non è il tentativo di Mac di trovare la moglie, quanto il suo senso di smarrimento: nonostante non le parlasse più da giorni, e in cuor suo la odiasse per averlo tradito con Cliff Williams, nel momento esatto in cui scopre del rapimento si rende conto del fatto che la moglie sia il suo unico collegamento rimasto, l’unica persona con la quale ha ancora un rapporto. Il suo migliore amico è morto, e i genitori non gli vogliono più parlare; se dovesse perdere anche Joni, il viaggio verso le tenebre sarebbe di sola andata.
Nelle scene finali, quando i due si abbracciano e Mac le promette di trovare il suo rapitore, toccandole anche la coscia, si ha la sensazione che voglia tornare a vivere come prima della guerra, e non considera più il lavoro per il Broker come una priorità. A conferma di ciò, quando Karl gli dice che Broker vorrebbe sapere la sua posizione, lui gli risponde che ciò accadrà dopo l’uccisione di Suggs. Per usare una frase tanto cara agli statunitensi, family first.
Come per un bizzarro gioco del destino, questa volta è Joni ad essere fredda e diffidente, e non la si può anche biasimare, visti i comportamenti del marito e, soprattutto, le rivelazioni fattele dal suo rapitore, che includevano l’adulterio della sera precedente e un accenno al lavoro di sicario su commissione. Quando si ama una persona, nulla è peggio del vederla completamente trasformata, diversa. Joni non riconosce più il marito, e quel “Who are you, Mack?” ne è l’emblema. Difficilmente il loro rapporto si sanerà, ma di sicuro sarà una delle colonne portanti anche dei prossimi episodi.
Per il resto, continua l’indagine della polizia sulla morte di Cliff Williams, e sta emergendo sempre di più il detective Tommy Olsen. Per quel poco che abbiamo potuto vedere su di lui, di sicuro si tratta di un tipo ostinato che vuole arrivare in fondo alle questioni (a differenza del suo collega) e, soprattutto, non sembra essere un grande fan dei militari, anzi. Quest’ultimo aspetto (supportato dal suo rimarcare spesso i presunti crimini di guerra di Mac e Arthur, e anche la lettura di articoli di giornale relativi ai fatti di Quan Thang) potrebbe motivarlo ancora di più ad indagare e a scontrasi prima con Mac e poi, forse, con il Broker e la sua rete (a proposito del personaggio di Peter Mullan, si è scoperto che il nero che gironzolava attorno a Ruth è un suo uomo, che ora ha il compito di sorvegliare Quarry, sintomo del fatto che non ci sia una totale fiducia nei suoi confronti).
Infine, un piccolo appunto: avrete probabilmente notato che, oltre agli avvenimenti, in Quarry anche i dialoghi sono ridotti all’osso; infatti, ci sono scene composte da silenzi lunghi anche 5 minuti (o più). Questa scelta (e anche quella di non mettere la musica in sottofondo quando i personaggi non parlano) è perfetta per far capire ancora di più l’estraniamento di Mac dal resto del mondo, oltre a rendere l’atmosfera ancora più cupa. Bene così.
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Quarry continua a convincere anche in questo terzo episodio, grazie ad un preciso lavoro sui personaggi e a delle atmosfere sempre azzeccatissime. Grazie Cinemax.
Figure Four 1×02 | 0.17 milioni – 0.06 rating |
A Mouthful Of Splinters 1×03 | 0.20 milioni – 0.06 rating |
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Romano, studente di scienze politiche, appassionato di serie tv crime. Più il mistero è intricato, meglio è. Cerco di dimenticare di essere anche tifoso della Roma.