Se già i primi due episodi avevano sorpreso in positivo fugando molti dubbi circa questo nuovo adattamento dell’omonimo romanzo di James Clavell, “Domani È Un Altro Giorno” e “Il Recinto In Otto Parti” confermano esattamente le stesse sensazioni.
Arrivati quasi a metà stagione ci può affermare di non essere stati abbagliati dal pilot per poi finire nell’oblio di una miniserie serie limitata mediocre, Shōgun, e nello specifico i due showrunner Rachel Kondo e Justin Marks, sembrano sapere esattamente quello che stanno facendo.
“We grieve those we have lost by continuing their fight.“
Anche la possibile difficoltà iniziale, insita in una produzione girata per l’80-90% in giapponese, non è assolutamente una limitazione ma, al contrario, si è ben presto trasformata in un valore aggiunto visto che, per sua fortuna, questo nuovo adattamento di Shōgun arriva in un momento storico ben diverso rispetto al predecessore del 1980. Predecessore che infatti era praticamente recitato solamente in inglese affiancando costantemente un traduttore al protagonista o facendolo parlare per diverso tempo anche da solo. Kondo e Marks, nell’epoca dello streaming internazionale, giovano di serie come Squid Game che hanno fatto da apripista per il pubblico americano ed europeo, ora decisamente più aperto a guardare prodotti non doppiati in italiano/inglese.
Giusto per fare un esempio (ma si invita il lettore a recuperare la prima miniserie del 1980), l’audacia di Rachel Kondo e Justin Marks nel raccontare la storia da molteplici punti di vista va premiata perchè da un lato si può serenamente empatizzare con l’Anjin John Blackthorne e le sua difficoltà comunicative nell’impatto forzato con questa nuova società, mentre dall’altro lato viene dato molto spazio anche alla prospettiva giapponese, alle dinamiche feudali e alla loro opinione di Blackthorne. Tutte cose che non emergevano in alcun modo 40 anni fa.
L’ANJIN CONQUISTA IL GIAPPONE
Considerando che la serie consta di 10 episodi, a questo punto si può dire che il prologo sia ufficialmente terminato e che si siano mossi i primi passi nello sviluppo della trama.
In tal senso si può suddividere Shōgun in due trame a livello macro e micro: c’è quella personale focalizzata sulla relazione tra Mariko e l’Anjin (che in questi due episodi diventa letteralmente più “profonda”), e poi c’è quella relativa alla lotta di potere dei cinque reggenti, che di fatto è un “Toranaga VS tutti gli altri”.
Nella scorsa recensione si era già azzardato un paragone con Game Of Thrones, vagamente corretto ma pur sempre esagerato visto la complicatissima trama e mitologia dietro l’opera di Martin. Le somiglianze comunque ci sono lo stesso perchè, specialmente grazie a Toranaga, si constata un’interessante serie di stratagemmi e di mosse che fanno proprio immaginare lo scontro come una sorta di scacchiera dove da un lato c’è Toranaga e l’Anjin e dall’altro gli altri quattro reggenti. Va sottolineato poi come, sebbene non esistano “buoni” o “cattivi”, l’empatia dello spettatore sia indirizzata completamente verso i primi, in una sorta di faziosità che è comprensibilmente creata per facilitare l’interesse del pubblico mainstream che ha bisogno di trovare un punto di riferimento per guardare 10 ore con passione.
E parlando di passione non si può non citare come, dopo la morte del marito, Mariko si conceda a l’Anjin poi negando di essere stata lei la concubina della notte precedente. È lecito pensare che ci siano motivazioni che giustifichino questa scelta di Mariko visto che la sua storia è stata volutamente omessa, pertanto si concede il beneficio del dubbio in attesa di più spiegazioni. Ovviamente se non arriveranno il tutto in retrospettiva assumerà dei connotati più negativi.
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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“Domani È Un Altro Giorno” e “Il Recinto In Otto Parti” divertono, intrigano e piacciono moltissimo, facendo quasi desiderare una release completa da poter assaporare in un binge-watching compulsivo. Ma forse è meglio così perchè questo Giappone va assaggiato a piccoli pezzi e assaporato sotto ogni aspetto.
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Fondatore di Recenserie sin dalla sua fondazione, si dice che la sua età sia compresa tra i 29 ed i 39 anni. È una figura losca che va in giro con la maschera dei Bloody Beetroots, non crede nella democrazia, odia Instagram, non tollera le virgole fuori posto e adora il prosciutto crudo ed il grana. Spesso vomita quando è ubriaco.