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Nato dalla collaborazione tra l’americano servizio di streaming Hulu e il britannico canale BBC Channel 4, The First va ad unirsi alla ormai folta schiera di prodotti cinematografici a tema “esplorazione spaziale” degli ultimi anni: Interstellar, The Martian, Arrival. Basti pensare che quasi contemporaneamente alla sua uscita, a Venezia è stato presentato, nemmeno a farlo apposta con titolo simile, il film First Man. Se in quest’ultimo Ryan Gosling interpreta Neil Armstrong, primo uomo – appunto – sulla Luna, in The First non si guarda al passato ma al futuro, raccontando le vite dei primi uomini su Marte.
Potrebbe sembrare scorretto paragonare un prodotto seriale come The First ai film(oni) sopra citati. In realtà il paragone viene facile quando si pensa al fatto che il protagonista è il due volte premio Oscar Sean Penn. Col viso visibilmente invecchiato e il corpo, altrettanto visibilmente, allenato, Penn interpreta Tom Hagerty, un astronauta veterano di viaggi nello spazio. Le vicende di The First sono ambientate in un futuro (2030) naturalmente più tecnologico, ma nemmeno troppo distante rispetto a quello che potremmo immaginare: gli elettrodomestici e le auto rispondono ai comandi vocali, gli smartphone sembrano essere stati completamente superati dagli Apple Watch e da minuscoli auricolari wireless nascosti nell’orecchio, gli occhiali permettono di rivedere i proprio ricordi come se fossero video (Black Mirror style).
Se le atmosfere e i colori vi ricordano gli asettici grigi e bianchi ambienti della Washington di House Of Cards, non è solo una vostra impressione: sceneggiatore e ideatore di The First è infatti Beau Willimon, a cui si deve la nascita dello show americano con protagonisti Kevin Spacey e Robin Wright che nel 2013 fece la fortuna della nascente Netflix; regista dell’episodio pilota (così come del secondo) è Agnieszka Holland, già regista di alcuni episodi della prima creatura di Willimon. Un altro elemento che sembrerebbe caro all’ideatore della serie è la presenza di un personaggio femminile elegante, potente e algido. Le veci di Claire Underwood sono qui svolte dal personaggio di Laz Ingram, capo dell’azienda che sta per compiere l’importante missione di mandare 5 esseri umani sul pianeta rosso, interpretata da Natascha McElhone (Californication e Designated Survivor). Se Tom, almeno in questi primi 45 minuti, appare un personaggio malinconico e sensibile, lei è altrettanto malinconica ma più dura e impassibile. Tant’è che la puntata si apre con una loro conversazione in cui espongono idee contrastanti e l’unica altra loro interazione sarà un breve scontro in cui lui la esorta a mostrarsi più umana.
Non volendo rovinare l’episodio a chi non l’ha ancora visto non si indugerà qui sull’evento fondamentale da cui si dipanerà la storia. Basta dire che, per essere un pilot, non manca l’effetto sorpresa: grazie alla rilevanza dell’evento e alla costruzione della storyline intorno ad esso, il ritmo è ben sostenuto, nonostante sia un drama e non un action. Si intuisce come la serie si distingua dalla maggior parte dei lavori sopra citati che girano intorno allo stesso tema perché sembra interessata a raccontare principalmente dei drammi umani.
Non ci si trova in un futuro distopico in cui gli umani hanno finito le risorse della terra ed il viaggio su Marte è l’ultima salvezza per la sopravvivenza della specie umana; il viaggio verso il nuovo pianeta è solo un nuovo passo della crescita dell’umanità, “il viaggio più lungo che l’uomo abbia mai intrapreso“. È presto per dirlo ma è possibile che l’ambientazione “spaziale” sia solo un pretesto per raccontare le storie di diversi personaggi alle prese con problemi che esulano dallo spazio, Marte e le difficoltà nel raggiungerlo. Come a voler dire che gli astronauti o i manager di un’azienda che produce space shuttle abbiano gli stessi problemi delle persone comuni: figli adolescenti, solitudine, rimpianti.
Di nuovo, è presto per dirlo e bisogna rimandere il giudizio alle puntate successive per conferme o smentite.
Potrebbe sembrare scorretto paragonare un prodotto seriale come The First ai film(oni) sopra citati. In realtà il paragone viene facile quando si pensa al fatto che il protagonista è il due volte premio Oscar Sean Penn. Col viso visibilmente invecchiato e il corpo, altrettanto visibilmente, allenato, Penn interpreta Tom Hagerty, un astronauta veterano di viaggi nello spazio. Le vicende di The First sono ambientate in un futuro (2030) naturalmente più tecnologico, ma nemmeno troppo distante rispetto a quello che potremmo immaginare: gli elettrodomestici e le auto rispondono ai comandi vocali, gli smartphone sembrano essere stati completamente superati dagli Apple Watch e da minuscoli auricolari wireless nascosti nell’orecchio, gli occhiali permettono di rivedere i proprio ricordi come se fossero video (Black Mirror style).
Se le atmosfere e i colori vi ricordano gli asettici grigi e bianchi ambienti della Washington di House Of Cards, non è solo una vostra impressione: sceneggiatore e ideatore di The First è infatti Beau Willimon, a cui si deve la nascita dello show americano con protagonisti Kevin Spacey e Robin Wright che nel 2013 fece la fortuna della nascente Netflix; regista dell’episodio pilota (così come del secondo) è Agnieszka Holland, già regista di alcuni episodi della prima creatura di Willimon. Un altro elemento che sembrerebbe caro all’ideatore della serie è la presenza di un personaggio femminile elegante, potente e algido. Le veci di Claire Underwood sono qui svolte dal personaggio di Laz Ingram, capo dell’azienda che sta per compiere l’importante missione di mandare 5 esseri umani sul pianeta rosso, interpretata da Natascha McElhone (Californication e Designated Survivor). Se Tom, almeno in questi primi 45 minuti, appare un personaggio malinconico e sensibile, lei è altrettanto malinconica ma più dura e impassibile. Tant’è che la puntata si apre con una loro conversazione in cui espongono idee contrastanti e l’unica altra loro interazione sarà un breve scontro in cui lui la esorta a mostrarsi più umana.
Non volendo rovinare l’episodio a chi non l’ha ancora visto non si indugerà qui sull’evento fondamentale da cui si dipanerà la storia. Basta dire che, per essere un pilot, non manca l’effetto sorpresa: grazie alla rilevanza dell’evento e alla costruzione della storyline intorno ad esso, il ritmo è ben sostenuto, nonostante sia un drama e non un action. Si intuisce come la serie si distingua dalla maggior parte dei lavori sopra citati che girano intorno allo stesso tema perché sembra interessata a raccontare principalmente dei drammi umani.
Non ci si trova in un futuro distopico in cui gli umani hanno finito le risorse della terra ed il viaggio su Marte è l’ultima salvezza per la sopravvivenza della specie umana; il viaggio verso il nuovo pianeta è solo un nuovo passo della crescita dell’umanità, “il viaggio più lungo che l’uomo abbia mai intrapreso“. È presto per dirlo ma è possibile che l’ambientazione “spaziale” sia solo un pretesto per raccontare le storie di diversi personaggi alle prese con problemi che esulano dallo spazio, Marte e le difficoltà nel raggiungerlo. Come a voler dire che gli astronauti o i manager di un’azienda che produce space shuttle abbiano gli stessi problemi delle persone comuni: figli adolescenti, solitudine, rimpianti.
Di nuovo, è presto per dirlo e bisogna rimandere il giudizio alle puntate successive per conferme o smentite.
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The First è sicuramente un prodotto che accende la curiosità del pubblico grazie a un pilota sapientemente costruito e alla presentazione di due personaggi sicuramente interessanti. Resta in sospeso se l’esplorazione spaziale che dovrebbe ricoprire il tema centrale non sia solo un’ambientazione per i drammi umani dei protagonisti o assumerà un ruolo importante nella storia.
Separation 1×01 | ND milioni – ND rating |
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