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“That’s not glory. That’s History.”
Nel continuo sviluppo della sua ancora nuova piattaforma, Disney+ inizia ad espandersi anche con altri prodotti originali che esulano da supereroi, cartoni animati e serie appartenenti ad alcuni dei suoi più importanti franchising.
In collaborazione con National Geographic Studios, sulla piattaforma debutta così The Right Stuff, serie composta da appena 8 episodi che vuole raccontare il percorso di alcuni eroi davvero esistiti della nostra Storia. L’historical drama in realtà è un adattamento dell’omonimo libro del 1979 di Tom Wolfe, libro da cui nel 1983 è stato poi tratto il film diretto da Philip Kaufman. Wolfe ha portato avanti la sua opera attraverso ricerche e interviste ponendo al centro della sua analisi il Project Mercury, il primo progetto americano, attuato dal 1958 al 1963, che aveva come obiettivo portare l’uomo nello spazio (e riportarlo indietro sano e salvo). Il tutto in piena Guerra Fredda, possibilmente prima che l’impresa riuscisse ai nemici sovietici.
Così come l’opera di Tom Wolfe, The Right Stuff versione serie tv, vuole raccontare proprio di questo progetto, non racchiudendo però l’impresa solo nel viaggio in sé fatto dagli astronauti, ma facendo un passo indietro e soffermandosi sugli uomini dietro il casco spaziale. La lente d’ingrandimento viene quindi posta sui Mercury Seven, i sette astronauti che hanno partecipato al progetto e che sono passati alla storia come gli alfieri della figura dell’astronauta così come è vista oggi.
La serie inizia la sua narrazione il 5 maggio del 1961 a Cape Canaveral in Florida, momento in cui un primo razzo sta per lasciare il suolo terrestre per arrivare in orbita, ma di questo si ha solo un assaggio. Tutto il resto del pilot viene invece ambientato 2 anni prima, nel 1959, data in cui la neonata NASA inizia il reclutamento dei futuri astronauti tra i migliori piloti della nazione, uomini disposti ad accettare il pericolo e prima di tutto costretti a sottoporsi a dure visite mediche e psichiche, il tutto, come specificato da Wolfe nel suo libro, affinché i prescelti avessero “the right stuff“ per la missione che sarebbero stati chiamati ad assolvere.
Seppur il primo episodio si mantiene in quest’ottica esplorativa nei suoi primi 45 minuti circa, come si sottolineava precedentemente l’obiettivo della serie è quella di esplorare a fondo non solo l’impresa degli astronauti, ma accendendo l’interesse prima di tutto sugli uomini stessi. La nascita di questo progetto infatti, all’epoca aveva creato un’attenzione quasi morbosa del pubblico nei confronti degli astronauti e delle loro famiglie, con alcune sinossi della serie che descrivono questa curiosità estrema verso i Mercury Seven come catalizzatore per la nascita del primo “reality show americano”. Al contrario dei numerosi film che hanno raccontato dei viaggi nello spazio e che, a causa del tempo ridotto di narrazione, si sono soffermati maggiormente sull’impresa in sé, la serie può permettersi di espandere l’attenzione e soffermarsi maggiormente sulla parte più umana. Qualcosa di simile è stato recentemente proposto anche da un’altra serie, questa volta targata Netflix, Away (ma già c’era stato un assaggio nel 2018 con The First, serie Hulu con Sean Penn), che ha basato maggiormente la narrazione sui viaggi mentali dell’equipaggio rispetto al viaggio vero e proprio. Al contrario di Away però, che era pur sempre una storia totalmente inventata, la marcia in più di The Right Stuff e della decisione di approfondire accuratamente l’aspetto umano sta nell’autenticità della storia che, seppur ripresa e riformulata per esigenze sceniche, mantiene un contatto stretto con la realtà.
Tuttavia, non si può certo dire che il progetto si mostri come una novità assoluta sulla scena, per un racconto che segue comunque un pattern già visto in abbondanza; il pilot si mostra in maniera egregia nella sua presentazione, accennando anche a conflitti interni tra gli astronauti che potrebbero accendere qualche scintilla in più per una storia che altrimenti rischia di essere abbastanza piatta. Questo soprattutto se il focus sulla parte personale degli astronauti risultasse poi l’unico punto centrale dell’intera narrazione che invece potrebbe mostrarsi maggiormente dinamica e d’interesse dedicando un giusto ruolo anche alla parte spaziale vera e propria.
Pur rimanendo “semplice” nella sua prima proposizione però, The Right Stuff non sfigura di certo nel dietro le quinte: la serie ideata da Mark Lafferty e prodotta dalla Appian Way Productions tra i produttori conta proprio il fondatore di quest’ultima, Leonardo DiCaprio. Di tutto rispetto è anche il cast che sfoggia tra gli altri Aaron Staton, James Lafferty e Patrick Fischlerin, mettendo in primo piano attori come la star di Suits Patrick J. Adams nei panni di John Glenn, il protagonista di Limitless Jake McDorman qui interprete di Alan Shepard e il fu Capitan Hook di Once Upon A Time Colin O’Donoghue nelle vesti di Gordon Cooper. Le convincenti performance soprattutto di questi ultimi tre, veri protagonisti del pilot, fanno ben sperare per il prosieguo della serie, a patto però che nei prossimi episodi siano aiutati da una trama ben più solida.
In collaborazione con National Geographic Studios, sulla piattaforma debutta così The Right Stuff, serie composta da appena 8 episodi che vuole raccontare il percorso di alcuni eroi davvero esistiti della nostra Storia. L’historical drama in realtà è un adattamento dell’omonimo libro del 1979 di Tom Wolfe, libro da cui nel 1983 è stato poi tratto il film diretto da Philip Kaufman. Wolfe ha portato avanti la sua opera attraverso ricerche e interviste ponendo al centro della sua analisi il Project Mercury, il primo progetto americano, attuato dal 1958 al 1963, che aveva come obiettivo portare l’uomo nello spazio (e riportarlo indietro sano e salvo). Il tutto in piena Guerra Fredda, possibilmente prima che l’impresa riuscisse ai nemici sovietici.
Così come l’opera di Tom Wolfe, The Right Stuff versione serie tv, vuole raccontare proprio di questo progetto, non racchiudendo però l’impresa solo nel viaggio in sé fatto dagli astronauti, ma facendo un passo indietro e soffermandosi sugli uomini dietro il casco spaziale. La lente d’ingrandimento viene quindi posta sui Mercury Seven, i sette astronauti che hanno partecipato al progetto e che sono passati alla storia come gli alfieri della figura dell’astronauta così come è vista oggi.
La serie inizia la sua narrazione il 5 maggio del 1961 a Cape Canaveral in Florida, momento in cui un primo razzo sta per lasciare il suolo terrestre per arrivare in orbita, ma di questo si ha solo un assaggio. Tutto il resto del pilot viene invece ambientato 2 anni prima, nel 1959, data in cui la neonata NASA inizia il reclutamento dei futuri astronauti tra i migliori piloti della nazione, uomini disposti ad accettare il pericolo e prima di tutto costretti a sottoporsi a dure visite mediche e psichiche, il tutto, come specificato da Wolfe nel suo libro, affinché i prescelti avessero “the right stuff“ per la missione che sarebbero stati chiamati ad assolvere.
Seppur il primo episodio si mantiene in quest’ottica esplorativa nei suoi primi 45 minuti circa, come si sottolineava precedentemente l’obiettivo della serie è quella di esplorare a fondo non solo l’impresa degli astronauti, ma accendendo l’interesse prima di tutto sugli uomini stessi. La nascita di questo progetto infatti, all’epoca aveva creato un’attenzione quasi morbosa del pubblico nei confronti degli astronauti e delle loro famiglie, con alcune sinossi della serie che descrivono questa curiosità estrema verso i Mercury Seven come catalizzatore per la nascita del primo “reality show americano”. Al contrario dei numerosi film che hanno raccontato dei viaggi nello spazio e che, a causa del tempo ridotto di narrazione, si sono soffermati maggiormente sull’impresa in sé, la serie può permettersi di espandere l’attenzione e soffermarsi maggiormente sulla parte più umana. Qualcosa di simile è stato recentemente proposto anche da un’altra serie, questa volta targata Netflix, Away (ma già c’era stato un assaggio nel 2018 con The First, serie Hulu con Sean Penn), che ha basato maggiormente la narrazione sui viaggi mentali dell’equipaggio rispetto al viaggio vero e proprio. Al contrario di Away però, che era pur sempre una storia totalmente inventata, la marcia in più di The Right Stuff e della decisione di approfondire accuratamente l’aspetto umano sta nell’autenticità della storia che, seppur ripresa e riformulata per esigenze sceniche, mantiene un contatto stretto con la realtà.
Tuttavia, non si può certo dire che il progetto si mostri come una novità assoluta sulla scena, per un racconto che segue comunque un pattern già visto in abbondanza; il pilot si mostra in maniera egregia nella sua presentazione, accennando anche a conflitti interni tra gli astronauti che potrebbero accendere qualche scintilla in più per una storia che altrimenti rischia di essere abbastanza piatta. Questo soprattutto se il focus sulla parte personale degli astronauti risultasse poi l’unico punto centrale dell’intera narrazione che invece potrebbe mostrarsi maggiormente dinamica e d’interesse dedicando un giusto ruolo anche alla parte spaziale vera e propria.
Pur rimanendo “semplice” nella sua prima proposizione però, The Right Stuff non sfigura di certo nel dietro le quinte: la serie ideata da Mark Lafferty e prodotta dalla Appian Way Productions tra i produttori conta proprio il fondatore di quest’ultima, Leonardo DiCaprio. Di tutto rispetto è anche il cast che sfoggia tra gli altri Aaron Staton, James Lafferty e Patrick Fischlerin, mettendo in primo piano attori come la star di Suits Patrick J. Adams nei panni di John Glenn, il protagonista di Limitless Jake McDorman qui interprete di Alan Shepard e il fu Capitan Hook di Once Upon A Time Colin O’Donoghue nelle vesti di Gordon Cooper. Le convincenti performance soprattutto di questi ultimi tre, veri protagonisti del pilot, fanno ben sperare per il prosieguo della serie, a patto però che nei prossimi episodi siano aiutati da una trama ben più solida.
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The Right Stuff non si presenta di certo come una novità, provando a raccontare un passo fondamentale della Storia ma attraverso uno stile di narrazione che appare poco incalzante. Tuttavia, approcciandosi con un atteggiamento meno impegnativo, il pilot si lascia tranquillamente guardare, creando quella giusta curiosità che spinge a voler continuare la visione e scoprire se i prossimi episodi riusciranno a fare quel passo in più.
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Nata con la passione per telefilm e libri, cresciuta con quella per la scrittura. Unirle è sembrata la cosa più naturale. Allegra e socievole finché non trova qualcosa fuori posto, il disordine non è infatti contemplato.
Tra una mania e l'altra, si fa carico di un'estenuante sensibilità che la porta a tifare per lo sfigato di turno tra i personaggi cui si appassiona: per dirla alla Tyrion Lannister, ha un debole per “cripples, bastards and broken things”.