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Serge: “Wile E. Coyote. Always chases Roadrunner, always with an elaborate plan, always fails. You know, I always say: ‘Why do this, Coyote? All you need is an AR-15, and meep-meep no more’.”
Butcher: “Exactly. See? We’re just gonna shoot Roadrunner in the fucking head.”
Butcher: “Exactly. See? We’re just gonna shoot Roadrunner in the fucking head.”
L’esplosione (metaforica, ma anche visiva) avvenuta sul finire dello scorso episodio rappresenta la carica di adrenalina che occorreva a questa stagione: sangue, cervelli sparsi in una stanza, quasi a voler adornarne l’interno e paura. Soprattutto paura. Ed è attorno a questa paura che diverse figure all’interno della serie cercano di costruire il proprio personale successo: chi tramite predominio economico, chi (plot twist di fine episodio) tramite predominio elettorale.
Dopo la terribile carneficina occorsa in diretta televisiva il Presidente degli Stati Uniti vara in maniera celere l’approvazione per la somministrazione del Compound V a quante più persone possibili per potersi armare contro il nemico invisibile, contro gli Altri. Altri che spaventano, terrorizzano e che lasciano lo stesso Homelander inebetito in quanto ignaro dei retroscena dell’attacco. La corsa al Compound V, tuttavia, rappresenta quell’ultimo passo a cui Stormfront anela da quando lottava tra le fila del Reich tedesco: quella che si prospetta è infatti una massiva epurazione etnica in favore dei super, a discapito degli umani, delle persone comuni, che diventerebbero vera e propria carne da macello. Da sottolineare la coerenza della sceneggiatura di questa stagione che, tra puntate forse eccessivamente monotone e veri e propri capolavori, è riuscita a predisporre ogni singolo tassello del proprio domino al posto giusto in attesa della spinta finale.
Altro elemento che contraddistingue fin dall’inizio questa serie è la perfetta umanizzazione, per quanto concerne pregi e difetti, dei supereroi: non si tratta di campioni (e campionesse) di giustizia e nemmeno di persone prive di difetti. Si tratta di cavie da laboratorio a cui è stato imposto un ruolo nella società nel quale faticano ad inserirsi. Lo dimostra Maeve, banalmente, fumando una sigaretta: un dettaglio tanto misero quanto perfetto per sottolineare proprio questa umanizzazione dei personaggi in grado di renderli più reali.
Il risentimento di Homelander verso tutto e tutti, in grado di diventare vero e proprio odio verso il suo stesso figlio così fortemente amato fino a quel momento. Da citare, per quanto riguarda Homelander, anche il racconto relativo alla sua prima uscita pubblica come super, terminata in completa solitudine con il volto bagnato dalle sue stesse lacrime.
Ma anche Stormfront, la “Nazi bitch”, che smembrata dal colpo laser di Ryan si ritrova, esanime a terra, a mormorare (tradotto dal tedesco):“It was beautiful. How we sat there under the shadow of the apple trees. Do you remember that day, Frederick? Chloe put her arm outside of the car’s window. We found a perfect spot next to the river under the shadow of the apple trees. It was the first time that Chloe had eaten (ate) a fresh apple. I was so happy, it was wonderful. I wished that it would never end.”Colpita, quindi, dal ricordo della figlia e dalla tristezza relativa alla perdita dei suoi famigliari (già portata in scena in alcuni frangenti delle passate puntate).
Superfluo citare A-Train e The Deep, entrambi rappresentazione perfetta di questo realismo caratteriale di cui si sta parlando. Un’umanità che spiazza, quindi, e che rende anche i super dei peccatori, delle persone (non più eroi) capaci di compiere errori ed innominabili nefandezze.
Diversi sono i personaggi che nel corso della puntata vengono brutalmente eliminati: Becca (dal suo stesso figlio, involontariamente), Stormfront (sempre da Ryan dopo un duello decisamente epico contro Maeve, Starlight e Kimiko), Alastair Adana (il leader della Church Of The Collective), ma anche l’intero commando che Stan Edgar manda nella baita di Homelander per recuperare suo figlio.
Morti, quindi, ma anche rivelazioni e colpi di scena, come si appuntava all’inizio della recensione, relativamente a diversi personaggi. Quello meno pronosticabile è sicuramente il doppiogioco della congress woman Victoria Neuman, artefice della carneficina occorsa in diretta nazionale nel precedente finale di puntata e che qui si ripete andando a far saltare in aria la testa ad Alastair dopo essere stata velatamente ricattata durante una telefonata in seguito al supporto datole per indebolire la Vought. Un indebolimento che colpisce ancora una volta Stan Edgar che, nonostante venga continuamente mostrato come il più furbo e spietato della stanza, fatica a mostrarsi all’altezza delle aspettative.
“What I Know” si presenta sotto diversi punti di vista come una sorta di happy ending: Starlight ed Hughie sembrano riuscire a riavvicinarsi definitivamente; MM fa ritorno dalla propria famiglia; Kimiko e Serge sembrano in grado di potersi definitivamente avvicinare, riuscendo a limare le loro rinvigorite personalità.
Ma è un finale dolce amaro per i due veri personaggi principali di questa serie, entrambi privati della donna che amavano (tra l’altro, uccise entrambe da Ryan): Butcher ed Homelander. Il primo non sembra minimamente interessato alla proposta di creare la task force sottopostagli dalla direttrice della CIA (che ora ha in custodia il piccolo supereroe); il secondo si fa beffa della città masturbandosi sopra di essa in una scena tra il metaforico ed il comico.
Homelander, costretto alla pubblica ammenda si ritrova ora completamente isolato all’interno dei Sette: Maeve e Starlight gli hanno voltato le spalle; Stormfront è morta (o tenuta in ostaggio in fin di vita?); Blacknoir è ridotto ad un vegetale. Inoltre la sua stessa azienda (Vought) ed il suo capo (Stan Edgar) hanno dimostrato completa mancanza di fiducia dimostrando di essere pronti a voltargli le spalle al momento opportuno.
Nuovi equilibri, quindi, e personaggi privati completamente di qualsiasi appiglio pronti a darsi battaglia. Ma, soprattutto, sembra sorgere un nuovo fronte di antagonisti (Victoria Neuman) che potrebbe rappresentare un possibile elemento per la creazione di un fronte comune tra i Sette e i Boys.
Le aspettative sono alte, ma questo ottavo episodio ha dimostrato la capacità di The Boys di prendere qualsiasi tipo di equilibrio narrativo fin qui portato in scena, appallottolarlo e “stick up your Nazi kitty”, come Kimiko e Serge direbbero.
Dopo la terribile carneficina occorsa in diretta televisiva il Presidente degli Stati Uniti vara in maniera celere l’approvazione per la somministrazione del Compound V a quante più persone possibili per potersi armare contro il nemico invisibile, contro gli Altri. Altri che spaventano, terrorizzano e che lasciano lo stesso Homelander inebetito in quanto ignaro dei retroscena dell’attacco. La corsa al Compound V, tuttavia, rappresenta quell’ultimo passo a cui Stormfront anela da quando lottava tra le fila del Reich tedesco: quella che si prospetta è infatti una massiva epurazione etnica in favore dei super, a discapito degli umani, delle persone comuni, che diventerebbero vera e propria carne da macello. Da sottolineare la coerenza della sceneggiatura di questa stagione che, tra puntate forse eccessivamente monotone e veri e propri capolavori, è riuscita a predisporre ogni singolo tassello del proprio domino al posto giusto in attesa della spinta finale.
Altro elemento che contraddistingue fin dall’inizio questa serie è la perfetta umanizzazione, per quanto concerne pregi e difetti, dei supereroi: non si tratta di campioni (e campionesse) di giustizia e nemmeno di persone prive di difetti. Si tratta di cavie da laboratorio a cui è stato imposto un ruolo nella società nel quale faticano ad inserirsi. Lo dimostra Maeve, banalmente, fumando una sigaretta: un dettaglio tanto misero quanto perfetto per sottolineare proprio questa umanizzazione dei personaggi in grado di renderli più reali.
Il risentimento di Homelander verso tutto e tutti, in grado di diventare vero e proprio odio verso il suo stesso figlio così fortemente amato fino a quel momento. Da citare, per quanto riguarda Homelander, anche il racconto relativo alla sua prima uscita pubblica come super, terminata in completa solitudine con il volto bagnato dalle sue stesse lacrime.
Ma anche Stormfront, la “Nazi bitch”, che smembrata dal colpo laser di Ryan si ritrova, esanime a terra, a mormorare (tradotto dal tedesco):“It was beautiful. How we sat there under the shadow of the apple trees. Do you remember that day, Frederick? Chloe put her arm outside of the car’s window. We found a perfect spot next to the river under the shadow of the apple trees. It was the first time that Chloe had eaten (ate) a fresh apple. I was so happy, it was wonderful. I wished that it would never end.”Colpita, quindi, dal ricordo della figlia e dalla tristezza relativa alla perdita dei suoi famigliari (già portata in scena in alcuni frangenti delle passate puntate).
Superfluo citare A-Train e The Deep, entrambi rappresentazione perfetta di questo realismo caratteriale di cui si sta parlando. Un’umanità che spiazza, quindi, e che rende anche i super dei peccatori, delle persone (non più eroi) capaci di compiere errori ed innominabili nefandezze.
Diversi sono i personaggi che nel corso della puntata vengono brutalmente eliminati: Becca (dal suo stesso figlio, involontariamente), Stormfront (sempre da Ryan dopo un duello decisamente epico contro Maeve, Starlight e Kimiko), Alastair Adana (il leader della Church Of The Collective), ma anche l’intero commando che Stan Edgar manda nella baita di Homelander per recuperare suo figlio.
Morti, quindi, ma anche rivelazioni e colpi di scena, come si appuntava all’inizio della recensione, relativamente a diversi personaggi. Quello meno pronosticabile è sicuramente il doppiogioco della congress woman Victoria Neuman, artefice della carneficina occorsa in diretta nazionale nel precedente finale di puntata e che qui si ripete andando a far saltare in aria la testa ad Alastair dopo essere stata velatamente ricattata durante una telefonata in seguito al supporto datole per indebolire la Vought. Un indebolimento che colpisce ancora una volta Stan Edgar che, nonostante venga continuamente mostrato come il più furbo e spietato della stanza, fatica a mostrarsi all’altezza delle aspettative.
“What I Know” si presenta sotto diversi punti di vista come una sorta di happy ending: Starlight ed Hughie sembrano riuscire a riavvicinarsi definitivamente; MM fa ritorno dalla propria famiglia; Kimiko e Serge sembrano in grado di potersi definitivamente avvicinare, riuscendo a limare le loro rinvigorite personalità.
Ma è un finale dolce amaro per i due veri personaggi principali di questa serie, entrambi privati della donna che amavano (tra l’altro, uccise entrambe da Ryan): Butcher ed Homelander. Il primo non sembra minimamente interessato alla proposta di creare la task force sottopostagli dalla direttrice della CIA (che ora ha in custodia il piccolo supereroe); il secondo si fa beffa della città masturbandosi sopra di essa in una scena tra il metaforico ed il comico.
Homelander, costretto alla pubblica ammenda si ritrova ora completamente isolato all’interno dei Sette: Maeve e Starlight gli hanno voltato le spalle; Stormfront è morta (o tenuta in ostaggio in fin di vita?); Blacknoir è ridotto ad un vegetale. Inoltre la sua stessa azienda (Vought) ed il suo capo (Stan Edgar) hanno dimostrato completa mancanza di fiducia dimostrando di essere pronti a voltargli le spalle al momento opportuno.
Nuovi equilibri, quindi, e personaggi privati completamente di qualsiasi appiglio pronti a darsi battaglia. Ma, soprattutto, sembra sorgere un nuovo fronte di antagonisti (Victoria Neuman) che potrebbe rappresentare un possibile elemento per la creazione di un fronte comune tra i Sette e i Boys.
Le aspettative sono alte, ma questo ottavo episodio ha dimostrato la capacità di The Boys di prendere qualsiasi tipo di equilibrio narrativo fin qui portato in scena, appallottolarlo e “stick up your Nazi kitty”, come Kimiko e Serge direbbero.
“What is the point of life without dancing?”
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Beh, che dire: The Boys “you’ve got them all by the balls“.
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.