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Price: “Our world is a progression of one life being replaced by another, over and over. This is what’s really meant by evolution. And this series of replacements isn’t about this is black, and this white, this is male, and this female,this is rich, and this poor,this is chaos, and this…”
Mulder: “Control.”
Mulder: “Control.”
Per iniziare correttamente questa recensione occorre sottolineare due cose. La prima è che la critica più aspra mossa a Carter, relativa alla scorsa puntata, era totalmente incentrata sull’unico elemento forse salvabile (paternità di William, CSM afferma di aver fatto ingravidare Scully durante l’episodio 7×15 “En Ami”): 40 minuti di totale vuoto e la critica va ad attaccarsi ad una punchline che ha funzionato da enorme cliffhanger? Risulta decisamente puerile doversi appigliare ad un elemento di questo tipo considerato quanto l’intera puntata rappresentasse un enorme pugno nello stomaco al brand targato FOX. Motivazioni ben più valide sono da ricercare in altri campi ed in altri elementi, non in un semplice desiderio di voler ricostruire e ravvivare il fuoco ormai spento della mitologia di X-Files. Diamo a Cesare quel che è di Cesare.
Il secondo elemento che occorre sottolineare è che, fortunatamente, “This” non è una puntata incentrata sulla mitologia, ma un episodio procedurale dove Mulder e Scully sono chiamati in causa a risolvere un altro mistero, dando modo allo spettatore sia di rivedere vecchi volti (Langly), sia di staccare la mente dall’orribile prima puntata, ma soprattutto di recuperare vecchi (e funzionanti) archetipi narrativi che hanno reso celebre e conosciuto The X-Files nel mondo. Basti citare, anche se giunge come ultimo fattore all’interno della puntata, il finale aperto: questa sorta di costruzione episodica, dove la storia di per sé non aveva una vera e propria conclusione lasciando la porta aperta a riflessioni e/o futuri ripiegamenti di sceneggiatura, rappresenta un elemento caratteristico del brand. Il motto “I want to believe” che Mulder ripete e tende a sottolineare silenziosamente a chiunque gli si approcci, tramite il celebre poster affisso al muro, non è un semplice elemento caricaturale, bensì un vero e proprio mantra narrativo: la soft-music con la quale terminavano le puntate dal finale aperto, la lenta dissolvenza verso i titoli di coda, tutto era alla base di un coinvolgimento estremo verso il proprio pubblico che veniva preso per mano ed accompagnato all’interno di uno show dalla volontà intrinseca di trasmettere i propri messaggi ed il proprio credo. Una cosa quasi poetica, se ci si pensa. Forse è questo uno dei motivi per cui gran parte degli spettatori si è sentito tradito dalla scorsa puntata, nonché uno degli elementi che non convince appieno nemmeno di questo secondo episodio: la mancanza di poetica ed il modo in cui frettolosamente tutto volga a conclusione è un campo completamente sterilizzato dalle emozioni. Proprio per tale il motivo il finale aperto, pur richiamando vecchi stilemi, esula dal campo dei sentimenti e lo spettatore, piuttosto, si sente disorientato non sapendo bene ciò che è appena avvenuto.“Now that you understand that what you really need to know is this. Life on this earth all human life, most animal life is about to be crushed. Burned to the ground. The computer simulator down the hall is necessary for our evolution as a species. When we leave this planet, this life will have evolved into that. Of the hundreds of extraordinary minds uploaded into that world, the only one that figured out it was living in a computer simulation had seven billion choices to contact in this world.And the one person Langly reached out to was you.”La puntata ruota attorno a due fattori ambivalenti che a tratti lavorano in sinergia regalando ottime scene e punchline, mentre altre volte invece debilitano la visione: i due elementi sono rappresentati dai due personaggi principali (Scully e Mulder) e dall’insanabile fattore fan-service che da qui in poi verrà identificato dal nome rimembranze.
Scully e Mulder dimostrano più e più volte la loro incredibile sinergia scenica: vedere recitare nuovamente uno accanto all’altra David Duchovny e Gillian Anderson rappresenta un piacere per gli occhi. L’animo sopra le righe e canzonatorio di Mulder torna prepotentemente in scena, in questa puntata meno spooky del solito, ma non è da intendersi questo come un fattore negativo. Anzi. La Anderson d’altro canto è in netta evidenza in quanto a recitazione, specialmente ad inizio puntata nel minutaggio action-drama (la sparatoria). The X-Files torna al vecchio: sguardi e dialoghi taglienti tra i due personaggi, imperdibili momenti di affetto ed una sequela infinita di dialoghi che sfociano nel comico. Insomma, verrebbe da pensare che The X-Files si sia svegliato dal suo torpore.
A fiaccare gli animi, però, ci pensa gran parte della trama che per ovvi motivi vive di rimandi, citazioni e noiosissime rimembranze. È naturale che uno show mastodontico come The X-Files cerchi qualche appiglio nel passato, ma ad un certo punto della visione non possono che risultare eccessivi ed a loro modo opprimenti nei confronti della nuova storia che Chris Carter è deciso a voler portare in scena.
Nonostante il ritorno ad una vecchia struttura narrativa, le falle rimangono sotto la luce del sole, anche se si è tentato di ovviare a ciò tentando di celarle sotto il tappeto sfruttando elementi che richiamino il rigoglioso passato. La verità è ancora là fuori, sicuramente. Ma anche la vera qualità di The X-Files deve essere in sua compagnia.“Who needs Google when you got Scully?”
Il secondo elemento che occorre sottolineare è che, fortunatamente, “This” non è una puntata incentrata sulla mitologia, ma un episodio procedurale dove Mulder e Scully sono chiamati in causa a risolvere un altro mistero, dando modo allo spettatore sia di rivedere vecchi volti (Langly), sia di staccare la mente dall’orribile prima puntata, ma soprattutto di recuperare vecchi (e funzionanti) archetipi narrativi che hanno reso celebre e conosciuto The X-Files nel mondo. Basti citare, anche se giunge come ultimo fattore all’interno della puntata, il finale aperto: questa sorta di costruzione episodica, dove la storia di per sé non aveva una vera e propria conclusione lasciando la porta aperta a riflessioni e/o futuri ripiegamenti di sceneggiatura, rappresenta un elemento caratteristico del brand. Il motto “I want to believe” che Mulder ripete e tende a sottolineare silenziosamente a chiunque gli si approcci, tramite il celebre poster affisso al muro, non è un semplice elemento caricaturale, bensì un vero e proprio mantra narrativo: la soft-music con la quale terminavano le puntate dal finale aperto, la lenta dissolvenza verso i titoli di coda, tutto era alla base di un coinvolgimento estremo verso il proprio pubblico che veniva preso per mano ed accompagnato all’interno di uno show dalla volontà intrinseca di trasmettere i propri messaggi ed il proprio credo. Una cosa quasi poetica, se ci si pensa. Forse è questo uno dei motivi per cui gran parte degli spettatori si è sentito tradito dalla scorsa puntata, nonché uno degli elementi che non convince appieno nemmeno di questo secondo episodio: la mancanza di poetica ed il modo in cui frettolosamente tutto volga a conclusione è un campo completamente sterilizzato dalle emozioni. Proprio per tale il motivo il finale aperto, pur richiamando vecchi stilemi, esula dal campo dei sentimenti e lo spettatore, piuttosto, si sente disorientato non sapendo bene ciò che è appena avvenuto.“Now that you understand that what you really need to know is this. Life on this earth all human life, most animal life is about to be crushed. Burned to the ground. The computer simulator down the hall is necessary for our evolution as a species. When we leave this planet, this life will have evolved into that. Of the hundreds of extraordinary minds uploaded into that world, the only one that figured out it was living in a computer simulation had seven billion choices to contact in this world.And the one person Langly reached out to was you.”La puntata ruota attorno a due fattori ambivalenti che a tratti lavorano in sinergia regalando ottime scene e punchline, mentre altre volte invece debilitano la visione: i due elementi sono rappresentati dai due personaggi principali (Scully e Mulder) e dall’insanabile fattore fan-service che da qui in poi verrà identificato dal nome rimembranze.
Scully e Mulder dimostrano più e più volte la loro incredibile sinergia scenica: vedere recitare nuovamente uno accanto all’altra David Duchovny e Gillian Anderson rappresenta un piacere per gli occhi. L’animo sopra le righe e canzonatorio di Mulder torna prepotentemente in scena, in questa puntata meno spooky del solito, ma non è da intendersi questo come un fattore negativo. Anzi. La Anderson d’altro canto è in netta evidenza in quanto a recitazione, specialmente ad inizio puntata nel minutaggio action-drama (la sparatoria). The X-Files torna al vecchio: sguardi e dialoghi taglienti tra i due personaggi, imperdibili momenti di affetto ed una sequela infinita di dialoghi che sfociano nel comico. Insomma, verrebbe da pensare che The X-Files si sia svegliato dal suo torpore.
A fiaccare gli animi, però, ci pensa gran parte della trama che per ovvi motivi vive di rimandi, citazioni e noiosissime rimembranze. È naturale che uno show mastodontico come The X-Files cerchi qualche appiglio nel passato, ma ad un certo punto della visione non possono che risultare eccessivi ed a loro modo opprimenti nei confronti della nuova storia che Chris Carter è deciso a voler portare in scena.
Nonostante il ritorno ad una vecchia struttura narrativa, le falle rimangono sotto la luce del sole, anche se si è tentato di ovviare a ciò tentando di celarle sotto il tappeto sfruttando elementi che richiamino il rigoglioso passato. La verità è ancora là fuori, sicuramente. Ma anche la vera qualità di The X-Files deve essere in sua compagnia.“Who needs Google when you got Scully?”
THUMBS UP | THUMBS DOWN |
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Puntata a suo modo sufficiente, sperando che questa stagione dia modo alla nuova storia di prevalere sulla vecchia, accantonando prima o poi tutte quelle rimembranze non necessarie e soffocanti. We want to believe.
My Struggle 11×01 | 5.19 milioni – 1.4 rating |
This 11×02 | 3.95 milioni – ND rating |
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Conosciuto ai più come Aldo Raine detto L'Apache è vincitore del premio Oscar Luigi Scalfaro e più volte candidato al Golden Goal.
Avrebbe potuto cambiare il Mondo. Avrebbe potuto risollevare le sorti dell'umana stirpe. Avrebbe potuto risanare il debito pubblico. Ha preferito unirsi al team di RecenSerie per dar libero sfogo alle sue frustrazioni. L'unico uomo con la licenza polemica.
Io l’ho trovata un’accozzaglia di infinite stupidaggini. Se questo è il nuovo X Files, beh, meglio ricordarsi di quello vecchio e dimenticare al più presto questo scempio.