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Il successo del genere supereroico al cinema e in televisione negli ultimi anni è un dato evidente. Se è vero che serie e film sugli eroi in calzamaglia esistono da decenni, è anche vero che solo negli ultimi anni si è assistito da un lato alla creazione di veri e propri universi condivisi, con conseguenti crossover, e dall’altro a una concentrazione di produzioni mai vista prima, tanto sul grande schermo quando sul piccolo, che è quello che interessa a noi di Recenserie. Basti pensare che in casa Marvel dal 1974 al 2006 sono state prodotte solo sei serie live action sui supereroi (e la metà di queste riguardavano Spider-Man!), mentre dal 2013 a oggi hanno visto la luce ben tredici show, contando anche The Gifted e Legion che per ora non trovano posto nel Marvel Cinematic Universe. Più prolifici si sono rivelati gli adattamenti DC Comics, visto che si contano tredici live action dal 1952 al 2011, ma anche in questo caso si tratta di prodotti “spalmati” su oltre mezzo secolo, sostanzialmente stand-alone, dietro i quali non c’era la stessa mentalità produttiva che c’è dietro l’Arrowverse.
Un’altra caratteristica del filone supereroico attuale è la ricerca di una visibilità per tutti gli eroi, non solo per quelli più blasonati e famosi ma anche per figure “minori” che fino a una decina di anni fa difficilmente avrebbero potuto ottenere un ruolo da protagonisti. Il risultato è da un lato molto positivo, perché si ottiene una varietà che i soliti personaggi bianchi caucasici maschi come Spider-Man o Arrow non potrebbero dare e si intercettano i gusti di un pubblico sempre più vasto: la femminista Jessica Jones può essere un punto di riferimento per le donne, Black Lighting e Luke Cage aprono le porte alla trattazione di tematiche etniche di scottante attualità e possono consentire una maggiore immedesimazione agli afroamericani, The Tick offre un’auto-parodia del genere supereroico, The Punisher tratta gli aspetti più cupi del mondo dei vigilantes e contemporaneamente l’orrore della guerra, e così via. Il rovescio della medaglia è che da un lato questa continua ricerca di nuovi prodotti può portare a risultati osceni (ogni riferimento agli Inumani e ad Iron Fist è puramente voluto), dall’altro si rischia di saturare il palinsesto e generare una nausea nei confronti dei paladini della giustizia non molto diversa da quella che ha colpito i vampiri del XXI secolo.
Alla luce di ciò, una certa apprensione nell’approcciarsi a Titans era più che legittima e solo la visione del pilot avrebbe potuto sciogliere o confermare i dubbi. Dopo i quasi sessanta minuti del primo episodio, si può pacificamente affermare che la serie in questione, per inciso la prima prodotta per il nuovo servizio di streaming DC Universe, è molto di più di un mero tentativo di spremere il franchise e ha diverse frecce al proprio arco. Prima, però, è doverosa una piccola presentazione dei Titani. La formazione originale composta da Robin, Kid Flash e Aqualad, ossia le spalle dei più famosi Batman, Flash e Aquaman, esordì ufficiosamente nel 1964 prima di ottenere una propria serie nel 1966, nella quale si assistette sia a un ampliamento del gruppo con diverse new entries sia soprattutto a un graduale spostamento da toni giovanili a tematiche di scottante attuale come la guerra del Vietnam; la serie fu però chiusa nel 1973 per scarse vendite, riaperta nel 1976 e cancellata definitivamente nel 1978. Nei decenni successivi fioccarono diversi tentativi di rilanciare editorialmente il gruppo, con conseguenti cambiamenti nella formazione e nei toni delle storie, mentre nel 2003 vide la luce una serie animata dal titolo Teen Titans, che si rifaceva alla formazione degli anni ’80 composta da Robin, Starfire, Raven, Beast Boy e Cyborg, degna di nota soprattutto per l’estetica che strizzava l’occhio agli anime nipponici. La stessa formazione, con l’eccezione del solo Cyborg, è riproposta anche nel pilot qui recensito, con la differenza che i personaggi sono ancora dei perfetti sconosciuti che iniziano solo parzialmente a interagire gli uni con gli altri.
Se già Black Lightning aveva segnato una decisa maturazione e incupimento delle atmosfere rispetto alla media dei prodotti dell’Arrowverse, con cui peraltro è ancora da chiarire il rapporto, Titans va ulteriormente in questa direzione. Non è solo una questione di violenza grafica, benché il sangue, le morti brutali e i corpi carbonizzati abbiano la loro parte di responsabilità nel rendere meno bambinesco il prodotto: si tratta soprattutto del tono generale di una narrazione cruda e cupa in cui non c’è spazio per la comicità, dell’ambientazione detroitiana sporca e malfamata, della costruzione di personaggi pieni di ombre e lontani da qualsiasi idealizzazione superoministica. Sia chiaro, non siamo ai livelli di Watchmen o di Daredevil, ma la sensazione di essere più dalle parti di Netflix che di CW è forte e il merito sta probabilmente nella maggiore libertà di cui può godere un prodotto rilasciato su un servizio streaming rispetto a uno trasmesso su un canale nazionale. Particolarmente interessante risulta la rilettura del personaggio di Dick Grayson, alias Robin, non tanto per la scelta di farne un poliziotto che ha appeso al chiodo il mantello da supereroe e lo riprende dopo un anno (in questo Black Lightning è arrivato prima), quanto piuttosto per il conflitto con il mentore Batman, peraltro solo accennato e bisognoso di approfondimento nei prossimi episodi. Siamo di fronte a un’ex-spalla delusa e amareggiata da una figura che idealizzava e di cui tuttavia ha compreso gli errori, finendo per non condividerne i metodi e prenderne le distanze (e arrivando persino a sparare un bel “Fuck Batman!” che per molti suonerà una bestemmia); eppure la differenza di vedute tra l’uomo pipistrello e il pettirosso è meno grande di quanto sembri, visto che Grayson, una volta trasferito da Gotham a Detroit, non trova niente di meglio da fare che indossare di nuovo il costume e combattere il crimine rispondendo alla violenza con la violenza. Evidentemente il percorso alternativo che Robin intende seguire è ancora lungi dall’essere trovato.
L’elemento supereroico appare decisamente meno presente nelle vicende degli altri tre Titani, ossia Rachel Roth/Raven, Koriand’r/Starfire e Garfield Logan/Beast Boy. Nel caso di quest’ultimo, ciò è dovuto alla scelta di limitare la sua comparsa agli ultimi istanti dell’episodio, mostrandone a malapena i poteri di metamorfosi in animale. Assai più presente è Rachel, coinvolta in una storyline in cui a farla da padrona è il sovrannaturale nella sua dimensione più orrorifica e in cui il tema della progressiva scoperta e padronanza dei propri poteri, già visto e rivisto in tutte le salse, si intreccia con la ben più intrigante caccia che le dà una misteriosa organizzazione religiosa. Per Starfire, invece, si sceglie di iniziare la narrazione presentandola vittima di un’amnesia che le impedisce di ricordare chi sia e in quali macchinazioni si trovi coinvolta: una scelta narrativa che permette di introdurre il personaggio e i suoi spaventosi poteri senza sovraccaricare lo spettatore (che non è necessariamente uno che ha letto i comics) di troppe informazioni sul suo background, anzi stuzzicando l’attenzione di chi guarda con i tanti misteri che circondano la ragazza. Del resto per far luce su Starfire come si deve ci sarà tempo, undici episodi più una seconda stagione da poco confermata non sono pochi. Sperando che nel frattempo la nuova creatura DC Comics non si sgonfi.
Se già Black Lightning aveva segnato una decisa maturazione e incupimento delle atmosfere rispetto alla media dei prodotti dell’Arrowverse, con cui peraltro è ancora da chiarire il rapporto, Titans va ulteriormente in questa direzione. Non è solo una questione di violenza grafica, benché il sangue, le morti brutali e i corpi carbonizzati abbiano la loro parte di responsabilità nel rendere meno bambinesco il prodotto: si tratta soprattutto del tono generale di una narrazione cruda e cupa in cui non c’è spazio per la comicità, dell’ambientazione detroitiana sporca e malfamata, della costruzione di personaggi pieni di ombre e lontani da qualsiasi idealizzazione superoministica. Sia chiaro, non siamo ai livelli di Watchmen o di Daredevil, ma la sensazione di essere più dalle parti di Netflix che di CW è forte e il merito sta probabilmente nella maggiore libertà di cui può godere un prodotto rilasciato su un servizio streaming rispetto a uno trasmesso su un canale nazionale. Particolarmente interessante risulta la rilettura del personaggio di Dick Grayson, alias Robin, non tanto per la scelta di farne un poliziotto che ha appeso al chiodo il mantello da supereroe e lo riprende dopo un anno (in questo Black Lightning è arrivato prima), quanto piuttosto per il conflitto con il mentore Batman, peraltro solo accennato e bisognoso di approfondimento nei prossimi episodi. Siamo di fronte a un’ex-spalla delusa e amareggiata da una figura che idealizzava e di cui tuttavia ha compreso gli errori, finendo per non condividerne i metodi e prenderne le distanze (e arrivando persino a sparare un bel “Fuck Batman!” che per molti suonerà una bestemmia); eppure la differenza di vedute tra l’uomo pipistrello e il pettirosso è meno grande di quanto sembri, visto che Grayson, una volta trasferito da Gotham a Detroit, non trova niente di meglio da fare che indossare di nuovo il costume e combattere il crimine rispondendo alla violenza con la violenza. Evidentemente il percorso alternativo che Robin intende seguire è ancora lungi dall’essere trovato.
L’elemento supereroico appare decisamente meno presente nelle vicende degli altri tre Titani, ossia Rachel Roth/Raven, Koriand’r/Starfire e Garfield Logan/Beast Boy. Nel caso di quest’ultimo, ciò è dovuto alla scelta di limitare la sua comparsa agli ultimi istanti dell’episodio, mostrandone a malapena i poteri di metamorfosi in animale. Assai più presente è Rachel, coinvolta in una storyline in cui a farla da padrona è il sovrannaturale nella sua dimensione più orrorifica e in cui il tema della progressiva scoperta e padronanza dei propri poteri, già visto e rivisto in tutte le salse, si intreccia con la ben più intrigante caccia che le dà una misteriosa organizzazione religiosa. Per Starfire, invece, si sceglie di iniziare la narrazione presentandola vittima di un’amnesia che le impedisce di ricordare chi sia e in quali macchinazioni si trovi coinvolta: una scelta narrativa che permette di introdurre il personaggio e i suoi spaventosi poteri senza sovraccaricare lo spettatore (che non è necessariamente uno che ha letto i comics) di troppe informazioni sul suo background, anzi stuzzicando l’attenzione di chi guarda con i tanti misteri che circondano la ragazza. Del resto per far luce su Starfire come si deve ci sarà tempo, undici episodi più una seconda stagione da poco confermata non sono pochi. Sperando che nel frattempo la nuova creatura DC Comics non si sgonfi.
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Chi temeva l’ennesima seriuccia sui supereroi adolescenti può stare tranquillo, per ora: la series premiere di Titans convince, ma fa anche promesse che poi dovrà mantenere.
Titans 1×01 | ND milioni – ND rating |
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Divoratore onnivoro di serie televisive e di anime giapponesi, predilige i period drama e le serie storiche, le commedie demenziali e le buone opere di fantascienza, ma ha anche un lato oscuro fatto di trash, guilty pleasures e immondi abomini come Zoo e Salem (la serie che gli ha fatto scoprire questo sito). Si vocifera che fuori dalla redazione di RecenSerie sia una persona seria, un dottore di ricerca e un insegnante di lettere, ma non è stato ancora confermato.