Vikings 4×12 – The VisionTEMPO DI LETTURA 4 min

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Può risollevarsi sul finale un episodio che si è fatto notare per una smodata lentezza narrativa? Si anche se a volte non è sufficiente a dare anche un voto superiore. Ma andiamo con ordine.
“The Vision”, anche se ha la dicitura 4×12, si comporta come il secondo episodio di una stagione, ponendosi come il ponte tra la premiere e il terzo episodio. Il time-skip avvenuto tra “The Last Ship” e “The Outsider” ha contribuito a mischiare le carte in tavola, tirando una linea di demarcazione tra due grandi capitoli di Vikings: il primo va da dall’ascesa di Ragnar a Re di Kattegat fino alla sua caduta avvenuta in “The Last Ship“, il secondo dal suo ritorno avvenuto sul finire della 4×10 e meglio visto nella 4×11. Quindi, anche se effettivamente c’è scritto che la puntata in questione è la dodicesima della quarta stagione, è un po’ come se fosse la 2×02. Alla luce di questa impostazione, Michael Hirst ha deciso di ritornare alle origini e ricreare delle dinamiche identiche agli albori della serie, concentrandosi sui dovuti preparativi per la buona riuscita della campagna. Ecco quindi che viene indetto un rituale religioso al fine di guadagnarsi il favore degli dei; ottima scusa narrativa per “destreggiarsi un po’ di stretching caratteriale” anche se è proprio a causa di questa decisione che si assiste a momenti  buoni e altri discutibili.
L’aria di partenza e i preparativi per la campagna romana danno l’occasione a Hirst per far conoscere ancora di più le relazioni che il vasto cast di personaggi ha tra di loro, oltre che sfaccettare la Kattegat post-esilio di Ragnar. In queste circostanze è indubbio che la parte dal leone ancora una volta la fanno i personaggi interpretati da Travis Fimmel e Alex Hogh. Ivar è un personaggio interessante di per sé, poiché vichingo di nome ma non di fatto, grazie a come Alex Hogh riesce a sfaccettare con estrema naturalezza il disprezzo verso il prossimo e la frustrazione di essere nato in un contesto sociale che non perdona difetti fisici, visti appunto come motivo di derisione o maledizione degli dei. Il giovane attore ha un controllo totale della sua arte e, grazie a sguardi e movenze, riesce a tratteggiare Ivar come un personaggio veramente disturbante; in più, il personaggio acquista un non so ché di Shakespeariano quando entra in gioco il contesto famigliare, disseminato di false cortesie e pugnalate alle spalle. Di Ragnar, invece, affascina sopratutto la sua lenta, dolorosa e tortuosa discesa agli inferi, cosa che Travis Fimmel riesce a rendere magistralmente mostrando un personaggio che descrivere come “alla frutta” è un complimento. I tentativi rocamboleschi da tipica ironia Pirandelliana ne sono la prova.
Sfortunatamente però, da “A Good Treason” a questa parte, personaggi come Bjorn e Lagertha sono poco sfruttati e sballottati da uno status-quo all’altro, quasi come se Michael Hirst si accorgesse solo all’ultimo momento di aver trascurato dei character. Così, per “non farli rimanere indietro”, opta per un cambio continuo dei loro ruoli per farli restare sempre freschi non trascurandoli: Hirst ci ha provato, fallendo.
Per quanto interessante sia la ricostruzione storica di uno degli antichi antenati del “in culo alla balena”, purtroppo il tutto procede con una enorme lentezza, lentezza di cui si comincia a sentire una certa nausea. Si può capire la necessità di tenersi il meglio per la fine così come si può capire la voglia di sviluppare tutto nei minimi dettagli ma la pazienza si prende le meritate ferie e l’impazienza comincia a manifestarsi con prepotenza nel cuore e nella mente dello spettatore. Si necessitano sequenze più incisive e che portino della effettiva concretezza.
Nella scorsa puntata tutto il torpore che si avvertiva era ovviato grazie al time-skip e alla voglia di mostrare una Kattegat cambiata. Questa volta, invece, non c’è niente del genere che possa evitare la lentezza di “The Vision” e lo spettatore se la becca tutta salvo poi far sparire il crescente fastidio per il piglio accomodante di Vikings con un cliffhanger coi fiocchi che finalmente mette in moto la seconda parte stagione, dando l’effettiva concretezza di cui si necessitava.
Arriviamo quindi alla domanda fatta in apertura: può un episodio caratterizzato da una dovuta lentezza risollevarsi sul finale? Nel caso di “The Vision”, purtroppo no. Indubbiamente ci si trova di fronte un gran bel cliffhanger che lascia lo spettatore col fiato sospeso e la voglia di vedere la prossima puntata.  Il problema è che non basta. Tocco di classe di tutta la sequenza, poi, sono le scene dove Auslag è inquadrata mentre patisce fisicamente il dolore del figlio, rappresentazione visiva del dolore emotivo che una madre prova per la perdita della progenie. È una sequenza che dura troppo poco e il minutaggio dedicatogli non soddisfa ancora appieno l’esigenza di concretezza dallo spettatore che da questa stagione ha avuto ancora poco.

 

THUMBS UP
THUMBS DOWN
  • Cliffhanger finale
  • Ragnar & Ivar
  • Auslag durante la tempesta
  • Poco spazio a Bjorn e Lagertha
  • Eccessiva lentezza
  • Necessità di concretezza

 

Indubbiamente “The Vision” si meritava un voto che stava tra il Thank Them All e il Save Them All ma, vedendo il comportamento che Vikings ha mostrato finora, ci si sente di arrotondare per difetto e spronarlo a fare di meglio. Per quanto possa essere interessante tutto quello mostrato in questo episodio, la serie di Michael Hirst non si deve accontentare delle briciole. Può dare molto, molto, di più.

 

2.40 milioni – 0.7 rating
The Vision 4×12
1.94 milioni – 0.5 rating

 

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